Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-03-2012, n. 5071 Beni di interesse storico, artistico e ambientale prelazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 17 novembre 1996 D.T. S.H., D.T.M. e R.M.R. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali chiedendone la condanna al risarcimento del danno, quantificato in misura pari agli interessi ed alla rivalutazione monetaria, subito per il ritardato pagamento della somma di L. 3.219.000.000, loro spettante a seguito dell’esercizio da parte di detto Ministero della prelazione sulla vendita del complesso immobiliare (OMISSIS), sottoposto al vincolo di cui alla L. n. 1089 del 1939, non avendo l’Amministrazione emesso, alla data del 17 marzo 1989 di comunicazione del provvedimento di prelazione, il mandato di pagamento in favore delle esponenti.

Deducevano al riguardo che il Ministero aveva disposto il deposito della somma suindicata presso la Cassa Depositi e Prestiti e ne aveva ordinato lo svincolo, con gli interessi al tasso ridotto dell’1,5% previsto per i depositi amministrativi, soltanto il 13 settembre 1995, successivamente alla conclusione, in data 9 novembre 1994, in modo favorevole allo stesso Ministero, del procedimento – al cui esito aveva vincolato il deposito della somma in oggetto instaurato presso il TAR del Lazio dall’acquirente dell’immobile che aveva contestato la legittimità dell’esercizio della prelazione.

Il Tribunale rigettava la domanda.

Con sentenza del 15 aprile 2002 la Corte di Appello di Roma, adita dall’attrice R., rigettava l’impugnazione, osservando che il Ministero aveva espressamente comunicato agli interessati sia l’avvenuto deposito della somma, sia la circostanza che detto deposito era vincolato all’esito del procedimento dinanzi al giudice amministrativo promosso dal privato acquirente, onde eventuali ragioni di non condivisione di tale provvedimento avrebbero dovuto esser fatte valere nelle forme previste, eventualmente mediante impugnazione di esso dinanzi al giudice amministrativo competente.

La corte di Cassazione, adita dall’attrice R., con sentenza n. 13379 del 12.6.2007, accoglieva il primo motivo di ricorso, rilevando che erroneamente la corte di appello aveva affermato che la mancata impugnazione del provvedimento della P.A., disponente il deposito, dovendo essere impugnato davanti al giudice competente, precludeva al giudice ordinario l’affermazione di responsabilità della p.a. nel ritardo del pagamento. La corte demandava al giudice del rinvio l’accertamento della conformità del deposito effettuato dal Ministero alla previsione del R.D. n. 363 del 1913, art. 65, comma 3, nonchè la verifica degli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano di cui all’art. 2043 c.c..

La corte di appello di Roma, quale giudice di rinvio, rigettava l’appello rilevando che il provvedimento di deposito della somma presso la Cassa depositi e prestiti fosse giustificato dalla pendenza del ricorso amministrativo proposto dall’acquirente e che la creditrice attrice percepiva gli interessi per il periodo di indisponibilità della somma, corrisposti dalla Cassa.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la R. R.M..

Resiste con controricorso il Ministero.

La ricorrente ha presentato memoria.

Motivi della decisione

1.2.Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 40 del 1999, artt. 59 e 60, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè il vizio motivazionale dell’impugnata sentenza.

Assume la ricorrente che il provvedimento con il quale l’amministrazione esercita il diritto di prelazione segna il passaggio allo Stato della proprietà del bene, mentre il pagamento del prezzo in favore dell’avente diritto non integra condizione o requisito di detto trasferimento con la conseguenza, ove l’amministrazione non provveda, della responsabilità della p.a., quale debitrice inadempiente nei confronti del proprietario.

1.2.Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione del R.D. n. 363 del 1013, art. 65, nonchè il vizio motivazionale della sentenza a norma dell’art. 363 c.p.c., nn. 3 e 5. 1.3. Con il terzo motivo lamenta la ricorrente la violazione del R.D. n. 1913, art. 65 e degli artt. 1219 e 1224 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Secondo la ricorrente il mancato pagamento del prezzo contemporaneamente all’esercizio della prelazione consente la costituzione in mora della p.a. inadempiente, nella fattispecie avvenuta, cui consegue la liquidazione del danno presuntivamente subito dal creditore senza necessità di prova, nella misura degli interessi legali, oltre il maggior danno eventuale.

2.1. Ritiene questa Corte che i tre motivi di ricorso vadano esaminati congiuntamente, stante la loro connessione.

Essi sono in parte infondati ed in parte inammissibili.

Va, anzitutto premesso, che nella fattispecie il ricorso per cassazione investe una sentenza emessa in sede di rinvio.

Ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 1, l’enunciazione del principio di diritto vincola sia il giudice di rinvio sia la stessa Corte di cassazione, nel senso che, qualora sia nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di rinvio, la Corte deve giudicare muovendo dal medesimo principio di diritto precedentemente enunciato, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte. Nel giudizio di rinvio è inibito alle parti prendere conclusioni diverse dalle precedenti o che non siano conseguenti alla cassazione, così come non sono modificabili i termini oggettivi della controversia espressi o impliciti nella sentenza di annullamento, e tale preclusione investe non solo le questioni espressamente dedotte o che avrebbero potuto essere dedotte dalle parti, ma anche le questioni di diritto rilevabili d’ufficio, ove esse tendano a porre nel nulla od a limitare gli effetti intangibili della sentenza di cassazione e l’operatività del principio di diritto, che in essa viene enunciato non in via astratta, ma agli effetti della decisione finale della causa. (Cass. n. 327 del 12/01/2010).

3.1. Nella fattispecie la sentenza di cassazione con rinvio questa Corte ha rilevato che, con riguardo alla vendita di cose di interesse artistico e storico, ai sensi della L. n. 1089 del 1939, art. 32, comma 3, e del R.D. n. 363 del 1913, art. 65, comma 2, applicabili nella specie ratione temporis, il provvedimento con il quale viene esercitato il diritto di prelazione segna il passaggio allo Stato della proprietà del bene, mentre il pagamento del prezzo in favore dell’avente diritto non integra condizione o requisito di detto trasferimento, salva restando, ove l’Amministrazione non vi provveda nei modi e nei termini prescritti, la responsabilità della medesima quale debitrice inadempiente (v. sul punto Cass. 1996 n. 7142; 1989 n. 5206).

3.2. Sulla base di questa premessa, tale precedente decisione di questa Corte ha – altresì – rilevato che la sentenza di appello aveva erroneamente affermato che la mancata impugnazione nelle sedi competenti del provvedimento di deposito della somma costituente il prezzo della prelazione, vincolato all’esito del giudizio amministrativo promosso dal privato compratore del bene prelazionato, precludeva al giudice adito la possibilità di valutare l’attribuibilita del ritardo nel pagamento di detta somma a responsabilità della Pubblica Amministrazione; che, dopo la nota sentenza a sezioni unite n. 500 del 1999, nel caso in cui venga introdotta dinanzi al giudice ordinario una domanda risarcitoria ai sensi dell’art. 2043 c.c., nei confronti della Pubblica Amministrazione per illegittimo esercizio di una funzione pubblica può essere fonte di responsabilità aquiliana, e quindi dar luogo al risarcimento del danno ingiusto, sempre che risulti danneggiato, per effetto della attività illegittima posta in essere dalla Pubblica Amministrazione, l’interesse al bene della vita al quale il primo si collega, e sempre che detto interesse risulti meritevole di tutela secondo il diritto positivo. In tali casi il giudice adito, al fine di verificare la riconducibilità della fattispecie ad un illecito disciplinato dall’art. 2043 e.e. può procedere direttamente ad accertare l’illegittimità del provvedimento amministrativo, non configurandosi pregiudizialità del giudizio di annullamento dell’atto dinanzi al giudice amministrativo rispetto a quello promosso dinanzi al giudice ordinario (v. per tutte Cass. 2006 n. 27498; 2006 n. 15259; S.U. 2006 n. 11094; 2005 n. 20358).

3.3. Secondo la sentenza di cassazione che disponeva il rinvio, "a tale indagine il giudice di merito si era completamente sottratto, mentre compito della Corte di merito era al contrario quello di accertare – secondo i principi elaborati nella richiamata giurisprudenza – la presenza degli elementi costitutivi dell’illecito fonte di responsabilità risarcitoria ai sensi dell’art. 2043 c.c., con specifico riferimento alla sussistenza dell’evento dannoso, alla qualificabilità del danno come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento, all’esistenza di un nesso causale tra lo stesso danno e la condotta della Pubblica Amministrazione, alla imputabilità dell’evento a responsabilità di detta Amministrazione. Tale imputabilità andava peraltro valutata non soltanto sulla base del dato obiettivo della eventuale illegittimità del provvedimento amministrativo di deposito della somma spettante alle venditrici presso la Cassa Depositi e Prestiti, ma attraverso un più complesso apprezzamento, esteso al profilo soggettivo del dolo o della colpa, che come è noto è configurabile qualora l’atto amministrativo sia stato adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l’esercizio delle funzione amministrativa e che costituiscono limiti esterni alla discrezionalità della Pubblica Amministrazione". 3.4. Ne consegue che la sentenza n. 13779/2007, dopo aver detto che era compito del giudice del rinvio accertare la legittimità del deposito vincolato della somma dovuta dall’amministrazione presso la Cassa Depositi e Prestiti, aveva fissato il principio giuridico secondo cui, in caso di illegittimità di tale deposito con vincolo temporale, e quindi privo di effetti liberatori immediati, tale fatto poteva dare in astratto luogo ad una responsabilità aquiliana della P.A., ed in questi termini ne andava valutata ed accertata l’esistenza, tenendo conto dei principi fissati dalla sentenza delle S.U. n. 500/1999. 4.1. Tale principio di diritto (responsabilità aquiliana in ipotesi di eventuale illegittimità del vicolo di deposito), non è ulteriormente discutibile in questa sede, proprio per i limiti imposti dagli artt. 384 e 394 c.p.c..

4.2. Nella fattispecie il giudice del rinvio ha rigettato l’impugnazione, e quindi la domanda degli attuali ricorrenti, sulla base di 2 ragioni decisorie, tra loro autonome.

Anzitutto il giudice di rinvio ha ritenuto che nella fattispecie il provvedimento di deposito era legittimo, a norma del R.D. n. 363 del 1913, art. 65, poichè, nonostante che ne fosse previsto il vincolo fino alla fine del procedimento amministrativo sulla pretesa illegittimità della prelazione da parte dello Stato, tuttavia ciò non impediva alla parte di percepire gli interessi per il periodo di indisponibilità, nella misura corrisposta dalla Cassa depositi e prestiti.

4.3. In ogni caso il giudice del rinvio ha adottato una seconda ratio decidendi, ritenendo che, ove anche fosse stato illegittimo il decreto che disponeva il deposito vincolato del prezzo della prelazione, ciò nella fattispecie non dava luogo ad un illecito aquiliano, poichè tale provvedimento vincolato era giustificato dalla pendenza del ricorso amministrativo riguardante la legittimità della prelazione.

Il giudice del rinvio escludeva, quindi, la responsabilità dell’illecito aquiliano a carico dell’amministrazione, poichè la stessa si era ispirata a criteri di buona amministrazione e di cautela contemperandoli con quelli del venditore che percepiva pur sempre un interesse nei termini corrisposti dalla cassa.

Tale seconda ratio decidendi (esclusione dell’illecito aquiliano per una sostanziale mancanza dell’elemento soggettivo) è immune da censure e costituisce corretta applicazione del principio di cui alla sentenza di rinvio di questa Corte, che espressamente rimandava ai principi di cui alla sentenza delle S.U. n. 5997 del 1999. 4.4. Stante la correttezza della seconda ratio decidendi, fondata sulla ritenuta mancanza dell’illecito aquiliano nel comportamento della p.a., le censure attinenti alla prima ratio decidendi (assunta illegittimità del deposito vincolato del prezzo presso la cassa depositi e prestiti) risultano inammissibili per sopravvenuta carenza di interesse.

4.5. Infatti va osservato che, in tema di ricorso per cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle "rationes decidendi" rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 24/05/2006, n. 12372; Cass. 16/08/2006, n. 18170; Cass. 29/09/2005, n. 19161).

5. Il ricorso va pertanto rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 10.000,00, di cui Euro 10.000,00 per spese, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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