Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-09-2011) 17-10-2011, n. 37486 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 8 ottobre 2009, il Tribunale di Bologna, ha ritenuto M.F. responsabile del reato di lesioni e di violenza sessuale ai danni della moglie C.T. (limitatamente agli episodi del 18, 19, 20 gennaio 2009) e, concesse le attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di anni quattro di reclusione;

i Giudici hanno assolto l’imputato dal reato di maltrattamenti e da altri reati di violenza sessuale, sempre ai danni della moglie, con la formula perchè il fatto non sussiste.

La decisione del Tribunale è stata confermata dalla Corte di Appello di Bologna con sentenza 4 agosto 2010.

Per giungere a tale conclusione, i Giudici hanno disatteso la richiesta di rinnovazione del dibattimento per escutere i consulenti della difesa (non ammessi dal Tribunale perchè non inserirti nella lista dei testi) sulle lesioni riportate dalla parte lesa o di perizia su tale tema ritenendo che i referti dei sanitari fossero compatibili con la descrizione della violenza sessuale fornita dalla donna. Indi, i Giudici hanno rilevato la credibilità intrinseca della parte lesa che ha reso dichiarazioni lineari e prive di esagerazioni; il racconto accusatorio ha trovato conferme, oltre che nei certificati medici, nella testimonianza dei Carabinieri che avevano trovato la C. piangente e prostrata quando sono intervenuti, dopo l’episodio del 20 gennaio, allertati da una amica alla quale la parte lesa aveva manifestato propositi di suicidio.

La circostanza che la C., pur non nascondendo la sua intenzione di separarsi, non avesse raccontato ad amici e parenti le violenze domestiche è stata giustificata dalla Corte territoriale come manifestazione di vergogna per la sua situazione.

Confutando una critica difensiva, i Giudici hanno precisato che la parte lesa non è stata giudicata credibile ad intermittenza; tutti i fatti narrati sono stati reputati veritieri, ma per alcuni l’imputato poteva non avere l’esatta percezione del dissenso agli atti sessuali della moglie.

L’assunto della difesa, secondo la quale l’appellante non era in grado di avere rapporti se non con la collaborazione della donna, è stato ritenuto non provato.

Per la gravita dei fatti non è stata concessa l’attenuante prevista dall’art. 609 bis c.p., u.c..

Per l’annullamento della sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:

– che il mancato inserimento dei consulenti tra i testi della difesa non impediva al Tribunale di acquisire il loro elaborato, di escutere gli esperti e garantire la giustizia sostanziale;

– che l’accertamento sulla compatibilità delle lesioni con la versione dei fatti resa dalla donna (che i consulenti di parte hanno negato decisamente) si presentava come connotato della decisività;

di conseguenza, i Giudici dovevano disporlo ex art. 507 c.p.p. oppure art. 603 c.p.p., comma 3;

– che, per quanto concerne l’attendibilità della C., i Giudici hanno fatto una "inversione logica" dando per provato una credibilità che dovevano accertare e reputando le asserzioni della donna prevalenti sui dati processuali di segno contrario;

– che, in tale ottica, i Giudici hanno fornito una errata interpretazione dello stato di agitazione della donna e del comportamento del M. al momento della irruzione dei Carabinieri;

– che è stato travisato il contenuto dei certificati medici che si pongono in contrasto con la versione dell’abuso fornita dalla C. e la smentiscono;

– che i testi escussi hanno squalificato la asserita condotta familiare violenta e vessatoria dell’imputato;

– che non sono state considerate alternative ricostruzioni della vicenda e la prospettazione di una denuncia strumentale alla separazione;

– che non è dato reperire in ragione di quali differenze il presunto dissenso della C. ai rapporti sessuali non era avvertibile in certe occasioni e percepibile in altre;

– che la credibilità della donna è stata negata, almeno in parte, delle avvenute assoluzioni;

– che l’assenza di una comprovata della volontà l’imputato di coazione, giustificava una assoluzione o l’applicazione della ipotesi dell’art. 609 bis c.p., u.c.;

che non è congrua la motivazione sull’entità del risarcimento dei danni.

I Giudici di merito si sono trovati a confrontarsi, come avviene nella maggior parte dei reati sessuali, con le versioni inconciliabili dei protagonisti della vicenda; la donna, che sosteneva di avere subito rapporti non voluti, e l’imputato che affermava che la moglie era consenziente.

In tale contesto probatorio, il compito della Cassazione ha un orizzonte circoscritto in quanto non deve estendersi ad una rinnovata ponderazione del coacervo probatorio, ma limitarsi a verificare se la conclusione dei Giudici di merito presenti un apparato argomentativi sufficiente ed immune da manifesta illogicità.

In esito a tale circoscritto esame, la Corte rileva che la impugnata sentenza non presenta, sullo argomento della credibilità della parte lesa, vizi motivazionali deducibili in questa sede.

Sul tema, non è condivisibile la tesi difensiva secondo la quale la Corte con "censurabile inversione logica" abbia apoditticamente reputato veritiera la C. e screditato le emergenze probatorie di segno contrario.

I Giudici hanno considerato intrinsecamente credibile la donna per il suo racconto lineare, privo di contraddizioni e di esagerazioni e per la esistenza di riscontri oggettivi; anche la genesi della notizia di reato (originata da un intervento dei Carabinieri non sollecitato dalla C.) è stata valorizzata dal Tribunale per sostenere la globale affidabilità della dichiarante ed escludere un uso strumentale della giustizia.

Indi, la Corte ha preso in esame le censure dell’imputato – il quale aveva evidenziato emergenze processuali che, a suo dire, squalificavano le accuse- e le ha motivatamente disattese.

La fondamentale tesi difensiva per contrastare la affidabilità del racconto della parte lesa si incentra sulla non compatibilità delle sue di dichiarazioni, riguardanti le violenze fisiche patite in esito allo episodio del 20 gennaio 2009, con il risultato dei relativi certificati medici.

L’imputato censura che il Tribunale non abbia attivato il suo residuale potere officioso in ordine alle prove, ricorrendo alla previsione dell’art. 507 cod. proc. pen., e che la Corte non abbia disposto perizia pur in presenza di una macroscopica errata lettura dei referti evidenziata dal consulente di parte.

Sul punto, i Giudici di merito hanno preso nella dovuta considerazione il motivo di appello inerente alla rinnovazione della istruzione dibattimentale rilevando come ulteriori indagini sulla donna fossero inutili (stante il lasso di tempo trascorsi dai fatti);

inoltre, la violenza, esercitata nell’ambito domestico, non rappresentava una forma estrema di costrizione fisica e la donna non aveva opposto strenua resistenza per cui le tracce fisiche repertate (con assenza di lesioni ai genitali) sono in sintonia con la sua versione.

In tale modo, la Corte ha valorizzato lo snodarsi dei fatti (la cui ricostruzione spetta in via esclusiva al magistrato) più che gli esiti della violenza (la cui valutazione può essere affidata ad un esperto) che erano correlati alla lieve vis segnalata dalla donna.

In sostanza, non si trattava di accertare la natura delle lesioni, sulla cui entità non vi era dubbio alcuno (lieve eritema in regione perianale, arrossamento alla guancia destra, due graffi ed escoriazioni), ma di verificare la loro coerenza con la narrazione della C..

Così inquadrato il contesto, la valutazione del tema di prova non necessitava di competenze specifiche che esulano dal bagaglio culturale dei Giudici; pertanto, la conclusione della Corte territoriale non merita censure.

Per l’episodio in esame, la sentenza ha evidenziato un altro riscontro oggettivo (oltre l’esito dei certificati medici) rappresentato dalla condizione in cui fu trovata la parte lesa poco dopo la patita violenza (che era piangente, confusa, in evidente stato di prostrazione e dichiarava di volersi separare del marito) dai Carabinieri accorsi perchè allertati dai propositi si suicidio della donna manifestati ad una amica.

Dello stess della moglie, l’imputato fornisce una personale interpretazione – alternativa a quella correttamente fornita dalla Corte territoriale – ed introduce problematiche di fatto che esulano dai limiti cognitivi della Cassazione.

Ad uguale conclusione, si deve pervenire in relazione alle censure dello appellate sulla incidenza sulla credibilità della C. delle testimonianze (che rilevano una vita serena della coppia); la Corte territoriale ha evidenziato il motivo per il quale la donna non si era confidata con amici e parenti e la ragione per la quale le loro dichiarazioni non fossero rilevanti con motivazione congrua, completa, corretta e, pertanto, insindacabile in questa sede. Neppure è riscontrabile una intrinseca illogicità della motivazione per avere i Giudici ritenuto credibile la donna "a correnti alterne" in relazione solo a certi episodi e non attendibile per altri per i quali l’imputato è stato assolto. Invero, la Corte ha reputato totalmente affidabile la parte lesa e provati nella loro materialità i fatti denunciati; solo alcuni di essi, tuttavia, avevano rilevanza penale ed integravano il reato di violenza sessuale per l’esplicito dissenso della donna agli atti sessuali percepibile dal marito.

Per quanto concerne l’attenuante speciale della minore gravita dei fatti, si rileva come la Corte di Appello abbia escluso la fattispecie dell’art. 609 bis c.p., u.c. per la oggettiva gravita dei reati, per la loro reiterazione e per l’assoluta mancanza di rispetto per il coniuge; il ricorrente non segnala seri argomenti a suo favore per superare questa conclusione, logica e aderente alle emergenze probatorie, In merito alla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno (euro trentamila), il ricorrente censura che la Corte abbia preso in considerazione l’abbandono della abitazione coniugale da parte della C. che è stata una sua scelta unilaterale.

Sul tema, si osserva come i Giudici abbiano liquidato solo i danni morali (parametrati alle gravi sofferenze psichiche patite dalla donna tra le quali hanno inserito l’abbandono della abitazione familiare determinato dal comportamento vessatorio del marito);

trattandosi di quantificazione di tipo equitativo essa è rimessa al prudente apprezzamento del Giudice di merito e, poichè fondato su indici ragionevoli, il quantum non è sindacabile dalla Cassazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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