Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-03-2012, n. 5070 Sfratto e licenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con ordinanza del 29 febbraio 2008 il Tribunale di Pistoia, sez. dist. di Pescia, convalidò lo sfratto per morosità intimato da Immobiliare Marika s.n.c. a Safa Cartoni Fibrati s.r.l., conduttrice di un immobile di proprietà dell’intimante. Avverso la convalida, la convenuta propose appello, deducendo, per quanto qui interessa, che in data 2 agosto 2000, aveva stipulato con la controparte un preliminare di vendita del bene condotto in locazione e che da quel momento questo le era stato concesso in godimento a titolo di comodato, sicchè la domanda di rilascio doveva essere dichiarata improponibile, in quanto fondata su un contratto non più esistente.

Nel corso del giudizio di gravame l’appellata, che aveva contestato le avverse deduzioni, affermò di rinunciare alle pretese dipendenti dall’ordinanza impugnata.

L’impugnante, preso atto della rinuncia, dichiarò allora di insistere nel gravame, ai fini, quanto meno, della pronuncia sulle spese, in base al principio della soccombenza virtuale.

Con sentenza del 3 settembre 2009 la Corte d’appello di Firenze, previa pronuncia di nullità dell’ordinanza di convalida, ha rigettato l’appello, dichiarando risolto il contratto di locazione per morosità della conduttrice.

Per la cassazione di tale decisione ricorre a questa Corte la Curatela del Fallimento di Safa Cartoni Fibrati s.r.l. in liquidazione, formulando tre motivi, illustrati anche da memoria.

Resiste con controricorso l’immobiliare Marika s.n.c. di Maria Monti & C..

Motivi della decisione

1 Nel motivare il suo convincimento la Curia territoriale ha osservato che, contrariamente all’assunto dell’impugnante, la perdurante esistenza e la piena operatività del contratto di locazione trovava un riscontro specifico nel preliminare di vendita, atteso che ivi le parti avevano espressamente dato atto che l’immobile promesso in vendita era attualmente occupato a titolo di locazione dalla promissaria acquirente. Ha aggiunto che la circostanza che nel periodo successivo i canoni non fossero stati versati, e neppure richiesti, non dimostrava affatto, siccome preteso dall’appellante, la volontà di trasformare, da oneroso a gratuito, il rapporto in corso tra i paciscenti.

2 Di tale scelta decisoria si duole la curatela nel primo motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 1362, 1571, 2697 cod. civ., nonchè vizi motivazionali ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5.

Secondo l’esponente la Corte d’appello avrebbe erroneamente considerato dimostrato il rapporto di locazione sulla base della dichiarazione ricognitiva contenuta nel preliminare, laddove nessun contratto era stato versato in atti dall’intimante. Nè la prova dei fatti costitutivi della domanda poteva evincersi dalle fatture prodotte nella procedura di sfratto, atteso che esse avevano ad oggetto immobili diversi da quello promesso in vendita. In ogni caso la volontà di mantenere in vita il pregresso rapporto era smentita dagli atti negoziali con i quali le parti avevano prorogato il termine per la stipula del rogito nonchè, in generale, dalla loro condotta successiva alla formalizzazione delle intese sulla programmata alienazione del cespite.

3 Rileva il collegio che le esposte critiche sono, per certi aspetti inammissibili, per altri infondate.

Anzitutto il riferimento a documenti pretesamente idonei a contrastare la versione dei fatti posta a base della domanda di risoluzione, oltre a veicolare questioni del tutto nuove, è gravemente carente sotto il profilo dell’autosufficienza. Non è superfluo in proposito ricordare che le sezioni unite di questa Corte, pur avendo in tempi recentissimi chiarito che l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, mediante la produzione dello stesso, e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione, presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 3, hanno tuttavia precisato che resta ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità, ex art. 366 cod. proc. civ., n. 6, del contenuto degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè dei dati necessari al loro reperimento (confr.

Cass. civ. 3 novembre 2011, n. 22726).

Ora, nella fattispecie, siffatti oneri, sia per quanto attiene al contenente, sia per quanto attiene al contenuto della prova precostituita richiamata dall’impugnante, sono rimasti inadempiuti.

3 Per altro verso la curatela, pur denunciando astrattamente la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, svolge censure astratte e generiche sulla ricostruzione della volontà delle parti operata dal giudice di merito. In realtà, considerato l’espresso e pacifico riferimento, contenuto nel preliminare di vendita, al contratto di locazione in corso, la scelta decisoria adottata risulta fondata su una lettura ragionevole e plausibile del contenuto degli accordi intercorsi tra promittente e promissario.

In tale contesto, e a fronte di un iter motivazionale congruo e logicamente corretto, le critiche formulate dalla ricorrente si risolvono, in definitiva, nella sollecitazione a una rivalutazione dei fatti e delle prove, preclusa in sede di legittimità. 4 Con il secondo motivo l’impugnante, lamentando violazione della L. n. 431 del 1998, art. 1, comma 4, nonchè, ancora una volta, vizi motivazionali, ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, sostiene che non poteva essere pronunciata la risoluzione per inadempimento del contratto di locazione ad uso abitativo concluso tra Immobiliare Marika s.n..c. e Safa s.r.l., perchè lo stesso, in quanto non stipulato in forma scritta, era affetto da nullità rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

Con il terzo, prospettando violazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346 e D.P.R. n. 131 del 1986, art. 3, comma 1, nonchè vizi motivazionali, ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, assume che la mancata registrazione del contratto verbale di locazione avrebbe dovuto indurre il giudice di merito a dichiararne la nullità. 5 Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono inammissibili. E’ sufficiente, a tacer d’altro, considerare che esse introducono aspetti fattuali e giuridici non trattati nella sentenza impugnata, e quindi nuovi, laddove è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che, qualora una determinata questione – che implichi un accertamento di fatto – sia stata ignorata dal giudice di inerito, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione nei precedenti gradi, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione (confr. Cass. civ. sez. lav.

28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1, 31 agosto 2007, n. 18440). E invero i motivi del ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilità questioni già comprese nel "thema decidendum" del giudizio di appello, di modo che, salvo che si prospettino profili rilevabili d’ufficio, è preclusa la proposizione di doglianze che, modificando la precedente impostazione, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi o introducano, comunque, piste ricostruttive fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli allegati nelle precedenti fasi processuali (confr. Cass. civ., sez. 1, 13 aprile 2004, n. 6989).

Il ricorso, in definitiva, deve essere integralmente rigettato. Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.200,00 (di cui Euro 2.000,00 per onorari), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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