Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-09-2011) 17-10-2011, n. 37485

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 2 ottobre 2006, il Tribunale di Torino ha ritenuto P. R. responsabile dei reati di violenza sessuale e maltrattamenti ai danni della figlia F., minore degli anni dieci, e l’ha condannato alla pena di anni dieci e mesi sei di reclusione.

I Giudici nella loro sentenza hanno messo a fuoco quanto segue.

La bambina aveva sintomi di malessere dopo la conflittuale separazione personale dei genitori che sono andati incrementandosi nel tempo. Nel 2001, è stata portata ad un centro di Neuropsichiatria infantile, ove non sono stati riscontrati abusi sessuali; nel 2003 ha raccontato i fatti per cui è processo alla madre, e li ha ripetuti in modo analogo alla psicologa che l’aveva in cura (dott. Pe.) ed, infine, la narrazione è stata ribadita in sede di audizione protetta. F. (dichiarata dal perito capace di testimoniare e credibile) è stata ritenuta attendibile per l’accuratezza del suo racconto, la coerenza del narrato, il riferimento a sensazioni e particolari incompatibili con le sue conoscenze.

Il Tribunale ha scartato la tesi che la bambina avesse riferito esperienze non vissute e o fosse stata istigata dalla madre o dai familiari ad accusare falsamente il padre.

La decisione del primo Giudice è stata confermata dalla Corte di Appello di Torino, con sentenza 17 maggio 2010. Per giungere a tale conclusione, i Giudici (dopo avere respinto la eccezione di nullità della sentenza impugnata per carenza di motivazione) hanno disatteso la richiesta di rinnovazione del dibattimento per una perizia psichiatrica sull’imputato e per una nuova perizia psicologica sulla minore. In merito a questa ultima istanza, i Giudici hanno precisato che al perito competeva solo di verificare se la bambina fosse abile a deporre e per cui non gli spettava di sondare ipotesi alternative o valutare le prove; l’esperto ha effettuato in contraddittorio tutte le indagini necessarie, compreso l’interrogatorio della minore ai limitati fini peritali senza metodologie inappropriate o avendo dato per certo che gli abusi si fossero verificati. Infine la Corte, censurando una critica difensiva, ha rilevato che il Tribunale – accertata mediante l’esperto la capacità della minore a deporre e l’assenza di cause perturbanti il suo narrato – non ha demandato al perito la valutazione delle prove, ma le ha ponderate direttamente con particolare riferimento a quella fondamentale, cioè, l’audizione della minore nello incidente probatorio. Tale audizione è stata condotta con una tecnica professionale ineccepibile senza domande suggestive, ma solo conseguenti alle risposte per approfondirle;

nello esame protetto, la bambina ha riferito particolari "sconvolgenti" che non le possono essere stati da altri suggeriti nè da lei inventati ed ha posto in essere una dichiarazione (analoga a quella fatta alla madre ed alla analista) equilibrata, precisa, coerente, intrinsecamente attendibile. La tesi che il percorso che ha portato la bambina alla sua esposizione abbia determinato un risultato sfalsato della narrazione è, secondo i Giudici, non ancorata a dati che la rendano credibile.

Per l’annullamento della sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:

– che, in presenza di una motivazione del Tribunale carente, la Corte ha fatto solo un "aggiustamento" omettendo ogni argomentazione sulla pena:

– che la perizia non ha le caratteristiche di una prova scientifica giuridicamente qualificata per le seguenti ragioni: l’esperto non ha esplicitato i suoi metodi; ha travalicato i suoi compiti dando giudizi sulla attendibilità della minore, ha raccolto le dichiarazioni con modalità non conformi a quelle raccomandate dalla comunità scientifica, ha usato inadatti test proiettivi, non ha assunto una posizione neutrale, non ha considerato ipotesi alternative a quelle della abuso, non ha valutato la possibilità della instaurazione della cd. sindrome di alienazione parentale, non ha evidenziato che il racconto è ricco di incongruenze ed alcuni dettagli sono inverosimili;

– che era necessaria una perizia psichiatrica del P. sia ai fini della imputabilità sia per controllare la credibilità della minore dal momento che la coprofagia è indicativa di gravi disturbi psichiatrici quali la disgregazione dell’io;

– che i Giudici non hanno motivato sul reato di maltrattamenti.

Il ricorrente ha presentato una memoria aggiunta nella quale ribadisce ed approfondisce con citazioni scientifiche quanto asserito nei motivi principali.

La Corte di appello ha emesso la sentenza impugnata in data 17 maggio 2010 e depositato la motivazione il 23 luglio 2010, nel termine di giorni novanta che si era assegnata; pertanto, nessun avviso del deposito era richiesto nè per il Difensore nè per il P. presente alla udienza dibattimentale.

In questo contesto, il dies a quo del termine per ricorrere in Cassazione (giorni quarantacinque) iniziava a decorrere il 15 settembre 2010 a causa della sospensione dei termini nel periodo feriale; consegue che l’impugnazione proposta l’11 novembre 2010 è tardiva.

Tale computo è stato confutato alla odierna udienza dal Difensore il quale ha sostenuto che la sospensione prevista dalla L. n. 742 del 1969 si applica anche ai termini processuali per la redazione della sentenza. La tesi si pone in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che si è consolidata dopo la decisione delle Sezioni Unite 7478/1996 le cui conclusioni la Corte condivide ed alla cui elaborata motivazione rimanda (conf. ex plurimis le seguenti sentenze: Sez. 1 38396/2002, 49223/2004, 29688/2001; Sez. 2 23694/2008; Sez. 3 35738/2007; Sez. 4 12685/2001, 28931/2002, 41834/2007; Sez. 6 460/1997, 10675/2003).

In sunto, si rileva che non è soggetta alla disciplina della sospensione ex L. n. 742 del 1996 il periodo entro il quale il giudice deve redigere la senza sia perchè l’istituto in esame vale solo per i termini che hanno una sanzione processuale (e tali sono solo i termini delle parti) sia perchè la ratio della normativa, come risulta dai lavori preparatori, è quello di assicurare ai difensori ed alle parti un periodo di riposo in relazione ad atti processuali che richiedono il loro intervento o la loro assistenza;

il diritto alle ferie dei magistrati – non necessariamente usufruitoli nel periodo 1 agosto – 15 settembre, è regolato dallo ordinamento giudiziario.

Per quanto esposto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge.

La Corte, pur esonerata a causa della inammissibilità della impugnazione dal motivare ulteriormente nel merito, reputa opportuno, stante la delicatezza del caso e la gravità della condanna, rilevare che i motivi di ricorso, pur molto articolati, sono, comunque, non meritevoli di accoglimento.

Innanzi tutto, sono da disattendere le critiche al deficit argomentativo della prima sentenza ove sono trascritte le investigazioni effettuate, riportate le parti essenziali delle deposizioni testimoniali, il contenuto della perizia sulla capacità a testimoniare della minore; indi i Giudici hanno avuto cura di evidenziare le ragioni per le quali hanno ritenuto affidabile il racconto accusatorio della minore e per le quali erano da disattendere le deduzioni difensive.

Inoltre non corrisponde al vero la censura difensiva sullo appiattimento dei Giudici di merito alle conclusioni del perito che sono state utilizzate al solo scopo di motivare la capacità a testimoniare di F. per l’assenza di attitudini immaginative e disturbi nella sfera cognitiva ed affettiva che possano interferire con la capacità di percepire il reale, di ricordarlo e riferirlo.

Sul punto, la Corte di Appello ha ben evidenziato il limite intrinseco di utilizzo del parere tecnico, e dei relativi accertamenti, valevole per il circoscritto tema della capacità a deporre della minore.

E’ vero che al perito era stato posto anche il quesito relativo alla verifica "della presenza di circostanze che potrebbero escludere la valutazione di attendibilità dell’eventuale racconto circa i fatti di abuso sessuale…."; sul punto, l’esperto ha risposto negativamente.

La situazione non deve ingenerare equivoci perchè il perito aveva il circoscritto compito di rispondere sulla credibilità od clinica non estendibile allo accertamento dei fatti per cui è processo.

Ora le accese critiche del ricorrente al metodo scientifico di conduzione del lavoro del perito, in parte, sono prive della necessaria concretezza ed, in parte, non concernenti la attitudine a testimoniare della giovane dichiarante, ma il tema diverso – di esclusiva competenza del Giudice e non delegatale all’esperto – della tenuta probatoria del suo racconto della bambina, quindi, della sua attendibilità.

La Corte non hanno affidato al perito la valutazione delle prove, non hanno menzionato quanto la bambina aveva riferito all’esperto (utilizzabile solo ai fine della relazione peritale a sensi dell’art. 228 c.p.p., comma 3) ed ha ancorato il giudizio positivo sulla veridicità del racconto accusatorio della minore alle risultanze della audizione protetta (definita unica ed insostituibile prova) condotta con le dovute cautele e con assoluta professionalità.

Dal contenuto della trama narrativa, la Corte ha tratto la conclusione che F. esponesse esperienze veramente vissute e non frutto di immaginazione o confabulazione; ha ancorato il convincimento, anche, al rilevo che la bambina riferiva di sensazioni e di particolari (come il desiderio di autoerotismo dopo le manipolazioni del padre) che siglavano la autenticità del suo racconto.

Le dichiarazioni fatte da F. alla madre ed alla psicoterapeuta sono state utilizzate per rilevare la costanza nel tempo della esposizione e conseguente indice di affidabilità.

I Giudici si sono posti il problema relativo al "percorso storico espositivo" che avrebbe potuto riverberarsi negativamente sull’esito dello incidente probatorio, ma hanno escluso la sostenibilità di una tale "proprietà transitiva".

Il tema merita un approfondimento.

Le persone che raccolgono le prime confidenze del minore possono, anche inconsapevolmente, compromettere il processo delle rievocazione libera e genuina del ricordo, ad esempio, con domande mal poste ed inducenti, con un argomento suggerito prima ancora che il bambino parli, con squalifica delle risposte ricevute, con richieste di ripetizione del racconto. Sul punto, bisogna considerare che i bambini sono soggetti naturalmente influenzabili e, se escussi con inappropriati metodi, possono immagazzinare nella loro memoria creativa e malleabile falsi ricordi autobiografici: se si fosse verificata una tale situazione, nella ipotesi in esame, il primitivo inquinamento della futura testimone si sarebbe consolidato nella sua mente e protratto nel tempo con la conseguenza che il risultato dello incidente probatorio sarebbe sfalsato.

Sullo argomento necessita verificare quello che è il vero punto focale del ricorso, cioè, la possibilità (che è stata esclusa da Giudici di merito) che il racconto di F. sia stato contaminato da interferenze e suggestioni esterne.

Ora le emergenze processuali non consentono di ritenere, nonostante la particolare e grave situazione di conflittualità tra i coniugi, che F. sia il veicolo di calunniose accuse della madre;

neppure è lecito concludere che la bambina, stante la sua tenera età, sia stata in grado di architettare consapevolmente una menzogna costruita in modo coerente e logico, per danneggiare il padre.

Residua l’alternativa che minore sia stata influenzata dal non corretto metodo con il quale è stata interrogata dagli adulti di riferimento. Al fine che rileva, è utile ripercorrere le tappe con le quali la piccola ha snodato il suo racconto (a cominciare dal primo che normalmente è il più genuino) per verificare le modalità con le quali è avvenuta la emersione dei ricordi e controllare se la traccia mestica si è incrementata o modificata nel tempo a causa delle domande e delle reazioni degli adulti di riferimento.

Una tale indagine è effettuabile da questa Corte (senza necessità di compulsare gli atti processuali) dal momento che le sentenze dei Giudici di merito (in particolare, quella del Tribunale) contengono una trascrizione, quasi totale, delle dichiarazioni delle persone che hanno ricevuto le confidenze della bambina.

La prima è stata la madre che ha spiegato ai Giudici come F. si sia aperta con lei e dalla sua testimonianza non risulta che abbia influito con atteggiamento manipolatorio sulle dichiarazioni della bambina. La donna, non aveva sospetti su comportamenti sedutivi del marito nei confronti di F. e, quindi, non aveva motivi per interrogarla con domande inducenti su tale tema; inoltre, come osservato dalla Corte di Appello, pur in aspro conflitto con il coniuge, non ha dimostrato un accanimento nei suoi confronti anzi, una volta ricevuta la confidenza della figlia, ha avuto un atteggiamento cauto di attesa e si è rivolta ad una psicologa con ciò dimostrando che il suo intento principale era quello di proteggere la figlia e non di accusare il marito.

F. ha ripetuto la sua narrazione (incrementate da altri particolari) alla psicologa che è persona attrezzata per l’audizione dei minori e consapevole dei metodi appropriati per interrogarli. La dottoressa ha spiegato nella sua testimonianza dibattimentale le modalità con le quali ha intervistato la bambina e le risposte ricevute e come nel tempo si è arricchito il ricordo; dalle dichiarazioni della psicologa (credibili perchè provenienti da persona non interessata all’esito del processo) risulta che gli interrogatori sono stati effettuati con metodi corretti.

Indi, nelle varie sedi in cui è stata sentita, la bambina ha sostanzialmente ripetuto quanto riferito alla madre ed alla psicologa.

Per quanto riferito, la prospettazione difensiva, pur in astratto plausibile, non è ancorata ad elementi concreti ed è, anzi, squalificata dalle evidenze probatorie disponibili che non giustificano la conclusione che F. sia stata manipolata; ad analoga conclusione si deve pervenire per la prospettata sindrome di alienazione parentale.

Nè incidente sulla credibilità di F. si pone la richiesta di rinnovazione del dibattimento per espletare una perizia psichiatrica sull’imputato dal momento che la perversione che la figlia gli attribuisce è riscontrabile in soggetti sia sani sia malati.

In merito al delitto di maltrattamenti, la prima sentenza presenta una sintetica motivazione e la seconda (in relazione, anche, alle generiche censure dell’atto di appello sul tema) è silente.

Relativamente al regime sanzionatorio, si rileva come alla Corte territoriale non erano state formulate deduzioni sul quantum della pena.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle Ammende ed alla rifusione delle spese della parte civile liquidate in complessivi Euro duemila oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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