Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-03-2012, n. 5069 Prelazione e riscatto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I fatti di causa rilevanti ai fini della decisione del ricorso, possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

Meucci Parking s.r.l., conduttrice di un immobile venduto all’asta pubblica nell’ambito di un giudizio di scioglimento della comunione tra i proprietari/locatori, convenne in giudizio P.F. e M.F., acquirenti dello stesso, chiedendo che venisse accertato il suo diritto di prelazione.

Con sentenza del 28 dicembre 2005 il Tribunale di Roma rigettò la domanda.

Proposto dalla soccombente gravame, la Corte d’appello lo ha respinto in data 11 maggio 2010.

In motivazione ha osservato il giudicante, per quanto qui interessa, che il diritto di prelazione di cui alla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 38, presuppone la volontarietà e l’onerosità dell’alienazione;

che, proprio valorizzando il dato testuale, la giurisprudenza aveva sempre negato la prelazione in caso di fallimento o di vendita coattiva dell’immobile, a nulla rilevando l’inesistenza di una norma analoga alla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, comma 2, che, in materia di prelazione agraria, espressamente ne esclude l’operatività in caso di vendita forzata; che gli istituti della prelazione e del riscatto, in quanto limitazioni delle facoltà del proprietario, non sono estensibili in via analogica.

Ha aggiunto che, in ogni caso, dalla documentazione versata in atti emergeva che le parti avevano in contratto esplicitamente convenuto che la conduttrice non potesse, a mezzo del bene locato, esercitare attività a diretto contatto con il pubblico di talchè non era applicabile l’istituto dell’avviamento commerciale, al quale strettamente ineriva quello della prelazione.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte Meucci Parking s.r.l., formulando un solo motivo, illustrato anche da memoria.

Resistono con controricorso P.F. e M.F..

Motivi della decisione

1 Con un unico, articolato motivo la ricorrente denuncia violazione della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 38 e 39, nonchè vizi motivazionali in relazione a un punto decisivo della controversia, ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5.

Sotto un primo profilo censura la soluzione data dal giudice di merito alla questione, di puro diritto, dell’applicabilità, in favore del conduttore, della prelazione di cui alla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 38, laddove, essendo il bene concesso in locazione per un uso diverso da quello abitativo, di proprietà di più persone, i comunisti scelgano la via dello scioglimento giudiziale della comunione, segnatamente optando per la modalità divisoria costituita dalla vendita al pubblico incanto.

Ricapitolati i punti salienti delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, sostiene l’esponente che la Corte territoriale sarebbe partita dalla erronea convinzione che l’intervento giudiziale escluda ex se la volontarietà dell’alienazione, laddove l’analisi andrebbe condotta caso per caso. Evidenzia quindi che nella fattispecie il giudice dello scioglimento della comunione aveva dato atto che non vi erano contrasti tra le parti sul ricorso alla vendita all’asta, precisando altresì che, essendo l’immobile oggetto di locazione commerciale, doveva essere rispettato il diritto di prelazione della locataria. Ne deduce che, considerato il carattere volontario dell’alienazione, andava affermata la perdurante operatività della tutela offerta dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 38.

Aggiunge che la procedura delineata nella norma testè richiamata ben poteva essere rispettata, comunicando al conduttore il prezzo di aggiudicazione e le modalità di pagamento e ciò tanto più che l’aggiudicazione non determina di per sè l’effetto traslativo.

Sotto altro, concorrente profilo, lamenta l’impugnante l’assoluta apoditticità dell’affermazione secondo cui il contratto di locazione escludeva la possibilità del conduttore di esercitare attività a contatto diretto con il pubblico, il che precludeva l’operatività della prelazione. E invero, a prescindere dalla considerazione che non vi sarebbe necessaria concorrenza tra tale istituto e la tutela dell’avviamento commerciale, come impropriamente ritenuto dal giudice di merito, il contratto prevedeva in realtà la locazione a uso esclusivo di parcheggio, il che implicava necessariamente un rapporto con il pubblico, di talchè il giudice di merito avrebbe dovuto porsi il problema del contrasto della clausola con l’oggetto del contratto e quindi della eventuale nullità della stessa, della L. 27 luglio 1978, n. 392, ex art. 79. 2 Le censure sono fondate.

La sentenza impugnata risulta articolata su due autonome rationes decidendi, ognuna delle quali è astrattamente sufficiente a sorreggerla: da un lato, l’inoperatività del diritto di prelazione del conduttore in caso di alienazione per via giudiziaria dell’immobile locato; dall’altro, l’insussistenza, nella fattispecie, di quei connotati dell’attività svolta dal locatario ai quali la legge subordina il riconoscimento del diritto stesso.

3 Ora, l’esame delle critiche formulate alla prima di tali ragioni, deve muovere dalla considerazione che la L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 38, del quale l’impugnante reclama in questa sede l’applicazione, riconosce il diritto di prelazione al conduttore di immobile adibito a uso diverso dall’abitazione – alle condizioni che si andranno poi a specificare – nel caso in cui il locatore intenda trasferirne la proprietà a titolo oneroso.

Il connotato della volontarietà, oltre che dell’onerosità dell’alienazione, quale presupposto essenziale per l’insorgere del diritto, emerge in maniera inconfutabile dalla formulazione letterale della norma, il che ha indotto gli interpreti a escluderne l’operatività in caso di vendita forzata (confr. Cass. civ. 16 dicembre 1996, n. 11225), ovvero di vendita disposta nell’ambito di procedura fallimentare a carico del locatore (confr. Cass. civ. 30 maggio 1984, n. 3298), trattandosi di vendite coatte, incompatibili con il carattere liberamente dispositivo della cessione dell’immobile oggetto della previsione normativa.

4 Del tutto coerentemente si è poi ritenuto siffatto approccio ermeneutico avvalorato, piuttosto che smentito, dal disposto della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, comma 2, che, occupandosi della prelazione agraria, espressamente ne esclude l’operatività in caso di vendita forzata, liquidazione coatta, fallimento. E’ stato invero correttamente evidenziato che tale esclusione, lungi dal confermare la persuasività di una lettura sistematica in chiave di insussistenza della deroga, laddove non prevista – in applicazione del noto brocardo: uhi lex voluit dixit ubi noluit tacuit – era necessaria proprio per circoscrivere nell’ambito delle dismissioni volontarie del fondo l’insorgenza del diritto di prelazione dell’affittuario, del mezzadro, del colono, del compartecipante o del confinante, altrimenti esteso, in ragione della formulazione del primo comma, a tutti i casi di trasferimento a titolo oneroso del predio (confr. Cass. civ. n. 11225/1996 cit.).

5 Per una più completa ricognizione dell’ordinamento, come ricostruito dal diritto vivente, va poi segnalato che laddove l’atto di alienazione non sia riconducibile alla libera determinazione del proprietario, come nella vendita fallimentare, è stata altresì affermata l’inoperatività della prelazione ereditaria, al pari di quella urbana e agraria, reputandosi irragionevole che disposizioni di legge dirette a tutelare interessi di natura pur sempre privatistica possano limitare od ostacolare l’attività di natura pubblicistica degli organi fallimentari diretta alla liquidazione dei beni del fallito per il soddisfacimento dei creditori (confr. Cass. 7 luglio 1999 n. 7056).

6 Il riferimento alla particolare rilevanza degli interessi coinvolti nelle procedure concorsuali offre lo spunto per un’ulteriore riflessione.

Al fondo delle opzioni ermeneutiche enunciate c’è l’esigenza di armonizzare un assetto normativo che, pur non ignorando gli scopi sociali e gli obiettivi di politica economica, agraria o di preservazione dei vincoli famigliari dall’ingerenza di estranei, di volta in volta perseguiti dal legislatore attraverso l’istituto della prelazione (confr. Cass. civ. 14 giugno 1992, n. 7244; Cass. civ. 7 luglio 1999, n. 7056), rinviene le ragioni della incompatibilità ontologica tra lo stesso e la vendita forzata, nell’esigenza di non intralciare le finalità di tutela del ceto creditorio perseguite dalle procedure di smobilitazione coattiva del patrimonio del debitore, sia nell’ambito dell’esecuzione singolare che di quella collettiva, quasi che tra i prelazionari – qui certant de lucro captando, sia pure per fini stimati socialmente utili dall’ordinamento – e i creditori – qui certant de damno vitando, con effetti che potrebbero travolgere altri operatori economici l’ordinamento considerasse funzionale ai propri scopi generali, privilegiare questi ultimi: preferenza realizzata, appunto, liberando il regime di circolazione del bene da lacci e lacciuoli che potrebbero scoraggiare potenziali acquirenti, così conculcando l’obiettivo di conseguire la massima remunerazione possibile dalla sua alienazione. Non a caso, la considerazione di altri interessi pubblicistici, valutati ancor più preminenti, torna a sbilanciare la tutela in favore del prelazionario, malgrado l’intervento di procedure concorsuali o di espropriazione forzata, quando sia in gioco la tenuta dei livelli occupazionali, e quindi la salvaguardia del diritto al lavoro, costituzionalmente garantito (art. 4 Cost.) – come è per l’imprenditore che, a titolo di affitto, abbia assunto la gestione, anche parziale di imprese soggette, L. 23 luglio 1991, n. 223, ex art. 3, comma 4, alla disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale, nei casi di dichiarazione di fallimento, di emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordinaria delle stesse – ovvero quando si tratti di tutelare il patrimonio storico e artistico della Nazione, in ottemperanza, ancora una volta, a un precetto costituzionale (art. 9 Cost.), come si ricavava in via interpretativa dal rinvio della L. 1 giugno 1939, n. 1089, art. 73, al R.D. 30 gennaio 1913, n. 363, art. 60 e come si ricava ora dall’ampiezza del dettato del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 60. 7 In realtà, considerata la varietà di forme e di disciplina che l’istituto della prelazione può assumere, sia nella versione legale che in quella convenzionale, e anche all’interno di esse, appare miglior partito rinunciare a ricostruire un precetto valido per tutte le ipotesi, e andare piuttosto a rintracciare, secondo un più duttile metodo di approccio, la regula iuris da applicare, nel silenzio della legge, al caso concreto, estrapolandola, di volta in volta e all’esito di un ponderato scrutinio degli interessi in conflitto, dai principi generali dell’ordinamento.

8 Proprio collocandosi in tale prospettiva le sezioni unite di questa Corte, chiamate a risolvere un contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla spendibilità, nell’ambito della procedura di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, del diritto di prelazione previsto in via convenzionale, nello statuto di un consorzio, ne hanno affermato la perdurante operatività, segnatamente escludendo che il diritto del prelazionario resti caducato con l’apertura della procedura o, dopo l’omologazione, con il trasferimento della disponibilità dei beni al liquidatore, dato che gli effetti della liquidazione conseguono, in ogni caso (anche) alle determinazioni del debitore (confr. Cass. civ., sez. un. 27 luglio 2004, n. 14083).

Peraltro nel medesimo arresto il Supremo Collegio ha altresì avuto cura di rimarcare che nulla osta, in via di principio, a che l’aggiudicazione del bene in asta pubblica venga condizionata al mancato esercizio della prelazione, segnatamente richiamando, oltre al disposto dell’art. 4 98 cod. proc. civ., i casi, già innanzi segnalati, in cui il patto di prelazione si inserisce e perdura malgrado la vendita forzata.

9 Conforta la necessità di una metodologia di indagine ermeneutica scevra da apriorismi il confronto con altre due significative pronunce del giudice di legittimità. Chiamata a stabilire la compatibilità del diritto di prelazione previsto in favore dell’affittuario coltivatore diretto dalla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, con la liquidazione di un’eredità beneficiata, attraverso pubblici incanti, questa Corte ha escluso l’equiparazione della liquidazione a quelle fattispecie – quali vendita forzata e procedure concorsuali – che non ne consentono l’esercizio, non trattandosi, come nelle predette ipotesi, di procedura imposta e ben potendosi configurare un’aggiudicazione in asta pubblica condizionata al mancato esercizio della prelazione agraria da parte dell’avente diritto (Cass. civ., 12 ottobre 1982, n. 5264).

A sua volta Cass. civ. n. 2576 del 2004 ha affermato la perdurante efficacia della clausola di prelazione inserita in un contratto di affitto di azienda nel quale il curatore del fallimento del locatore era subentrato, L. Fall., ex art. 80 (R.D. 16 marzo 1942, n. 267), rilevando: a) che l’assunto della caducazione tacita della clausola contrastava con la pienezza del subingresso del curatore, subingresso che aveva luogo nell’intero rapporto contrattuale; b) che esso pregiudicava altresì gli interessi, per vero oggetto di preminente considerazione, da parte del legislatore fallimentare, del contraente in bonis; c) che disposizioni come l’abrogato della L. 27 febbraio 1985, n. 49, art. 14, o il vigente della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 3, comma 4, confermavano l’insussistenza di una incompatibilità oggettiva e di sistema tra prelazione e vendita fallimentare (Cass. civ. 11 febbraio 2004, n. 2576; contra Cass. civ. 28 febbraio 2000, n. 2209).

10 Il panorama giurisprudenziale richiamato consente di affrontare con il necessario spirito pragmatico le scivolose problematiche poste dal primo dei due problemi in esame, problematiche in ordine alle quali il collegio osserva quanto segue.

E’ ben vero che il comb. disp. degli artt. 1116 e 720 cod. civ., art. 788 cod. proc. civ. e art. 569 cod. proc. civ., comma 3, esige che qualora, dovendosi procedere alla divisione giudiziale di beni immobili in comunione non altrimenti divisibili, ne sia necessaria l’alienazione, questa avvenga nelle forme proprie della vendita, senza o con incanto, disciplinata nell’ambito dell’espropriazione forzata. Ma l’applicazione di un istituto processuale mutuato da altro settore dell’ordinamento non autorizza confusioni tra procedure che, malgrado la strumentale omologia esterna, rispondono a istanze di tutela profondamente diverse.

Anzitutto, considerato il rilievo che nella disciplina dettata dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 38, assume l’elemento della volontarietà dell’alienazione, quale presupposto essenziale per l’insorgere del diritto di prelazione di cui qui si controverte, non è del tutto neutro il diverso atteggiarsi del fattore psicologico nell’espropriato e nel condividente, posto che al più quest’ultimo subisce la vendita, quale unico mezzo per addivenire alla spartizione del cespite, in tesi chiesta da altro condividente, senza tuttavia che possa mai dirsi, come per l’esecutato, che l’alienazione avviene, addirittura, in suo danno. E tanto a tacer del fatto che, nella fattispecie, non sono insorti contrasti tra le parti sul ricorso alla vendita all’asta (confr. sub 1).

Quel che soprattutto rileva, però, è la diversità degli interessi coinvolti nell’uno e nell’altro procedimento, interessi la cui valutazione, per quanto innanzi detto, svolge una funzione decisiva nell’individuazione della regola applicabile al caso concreto. Ora, sotto questo riguardo non può sfuggire che la vendita eventualmente disposta nel giudizio di divisione mira esclusivamente a monetizzare, nell’interesse del comunista, la quota di cespite della quale lo stesso sia titolare, laddove nel giudizio di espropriazione la monetizzazione ha luogo nell’interesse dei creditori, che, attraverso l’apprensione di tutto o di parte del ricavato della vendita, potranno soddisfare le proprie ragioni. Nè tale ricostruzione si presta a essere ripensata allorchè nel giudizio di divisione intervengano, ex art. 1113 cod. civ., i creditori di uno dei partecipanti, posto che per tal via l’ordinamento riconosce loro, in via meramente cautelare, la possibilità di presenziare all’apprensione, da parte del loro debitore, di denaro liquido, al fine di agevolare l’adempimento dell’obbligazione.

In tale contesto non si vede francamente quali siano gli interessi preminenti a fronte dei quali dovrebbe venir meno, in casi siffatti, il diritto di prelazione. E ciò tanto più che l’interesse del conduttore ad acquisire la proprietà delle mura ove svolge la sua attività, ha sì natura privatistica, ma è di rilievo generale, rientrando certamente tra i fini dell’ordinamento il consolidamento e l’espansione dell’apparato produttivo del Paese.

11 E’ poi il caso di aggiungere, per puro scrupolo di completezza, che le esposte conclusioni sono del tutto compatibili con l’affermazione secondo cui, in caso di divisione giudiziale di immobile non comodamente divisibile, ai sensi dell’art. 720 cod. civ., il comproprietario per la quota minore, che gestisca nello stesso un esercizio commerciale, non può opporre la prelazione di cui alla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 38, al comproprietario avente diritto alla quota maggiore al quale il bene sia stato attribuito (Cass. civ., 18 settembre 1991, n. 97489).

Come esattamente evidenziato dalla Corte in motivazione, la disposizione invocata, non suscettibile di interpretazione analogica o estensiva, presuppone la libera determinazione del proprietario- locatore di trasferire a titolo oneroso l’immobile, laddove nella fattispecie il comproprietario che, in virtù dei meccanismi propri della divisione, acquisisca il cespite per intero, lungi dal voler trasferire la sua parte di proprietà, intende porre fine alla comunione.

12 Deriva da tutto quanto sin qui detto che ha errato il giudice di merito nel ritenere inoperante il diritto di prelazione di Meucci Parking perciò solo che il cespite era stato venduto per via giudiziaria, nell’ambito di un giudizio di divisione. Quel diritto, invero, non era ne è paralizzato dalle modalità della dismissione, con le quali risulta pienamente compatibile, sia sul piano dogmatico, che su quello pratico, posto che l’esercizio del diritto di prelazione si colloca nella fase in cui il prezzo sia divenuto definitivo, all’esito del sub procedimento di vendita, con relativa aggiudicazione (confr. Cass. civ. 11 febbraio 2004, n. 2576; Cass. civ. 20 ottobre 1999, n. 11760 e, sia pure indirettamente, Cass. sez. un. 14 maggio 1981, n. 3163).

Del resto – lo si è evidenziato innanzi (punto 8) l’ordinamento ben conosce casi in cui la prelazione può essere fatta valere in un momento successivo all’esperimento di snodi cruciali delle procedura di vendita coattiva, come accade nella espropriazione della partecipazione del socio di società a responsabilità limitata, nella quale entro dieci giorni dall’aggiudicazione la società può presentare un altro acquirente che offra lo stesso prezzo (art. 2471 cod. civ.), nonchè nelle già menzionate procedure concorsuali a carico di imprese soggette all’intervento straordinario dell’integrazione salariale, ove vi sia un imprenditore che, a titolo di affitto, ne abbia assunto la gestione, anche parziale (L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 3).

12 Si è detto innanzi (al punto 2) che la sentenza impugnata ha altresì ritenuto insussistenti, nella fattispecie, i connotati dell’attività propria del locatario ai quali la legge subordina il riconoscimento del diritto di cui qui si controverte.

Delle censure mosse a tale ratio decidendi conviene ora occuparsi.

Va premesso che dal comb. disp. della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 35 e 41, emerge che la prelazione è attribuita ai soli conduttori che svolgano nel locale oggetto del contratto attività comportanti rapporti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori: in sostanza a tali operatori, selezionati nell’ambito della più ampia categoria dei conduttori di immobili destinati a uso diverso da quello abitativo, il legislatore ha riconosciuto, rispetto agli altri, un trattamento di miglior favore, attribuendo loro sia l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, sia, appunto, il diritto di prelazione (confr. Corte Cost. n. 128 del 1983).

E’ peraltro pacifico che, per potere usufruire delle relative utilità, occorre che l’immobile locato sia effettivamente destinato ad attività che comportino il contatto con il pubblico e, quindi, che tali locali siano aperti alla frequentazione diretta ed indifferenziata di chi abbia necessità e interesse a relazionarsi con l’impresa; che grava sul conduttore l’onere di fornire, con qualsiasi mezzo, la prova della relativa situazione di fatto, sempre che la frequentazione degli utenti non risulti implicitamente, in virtù del notorio, dalla destinazione dell’immobile ad attività che necessariamente la implichi; che, come nessun rilievo assume, a tal fine, la clausola contrattuale con la quale il conduttore dichiari unilateralmente che l’immobile verrà utilizzato per lo svolgimento di attività comportanti contatti diretti con il pubblico, essenziale essendo solo la destinazione effettiva (confr. Cass. civ., 19 maggio 2010, n. 12278), del pari la non conformità di questa all’uso pattiziamente convenuto – che quei contatti escludeva – non paralizza l’insorgere del diritto di prelazione, ove siano decorsi tre mesi dal momento in cui il locatore ha avuto conoscenza del mutamento di attività del conduttore, posto che, in base alla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 80, scaduto il predetto termine, il locatore decade dal diritto di chiedere la risoluzione del contratto per arbitrario mutamento di destinazione dell’immobile (confr. Cass. civ., 12 novembre 1996, n. 9881).

12 In tale contesto risulta del tutto inappagante, e in sostanza scorretto, il richiamo del giudice di merito alla previsione contrattuale che escludeva che la locatrice potesse esercitare attività, tramite il bene locato, a diretto contatto con il pubblico. E invero, accertata quale fosse la destinazione dell’immobile locato pattiziamente convenuta, era necessario porsi il problema, ove la stessa fosse tale da implicare necessariamente quel contatto, della compatibilità della clausola di esclusione con il disposto della L. n. 392 del 1978, art. 79 e quindi della sua eventuale nullità, in quanto volta ad eludere, in via preventiva, i diritti del conduttore (confr. Cass. civ. 22 aprile 1999, n. 3984);

ovvero, accertato che l’uso effettivo era diverso da quello convenuto, e che dunque v’era stato un mutamento di destinazione a iniziativa del conduttore, era necessario verificare il rilievo della destinazione impressa, in concreto, all’immobile locato, alla luce della condotta, in tesi inerte, del locatore.

Ne deriva che, anche sotto questo profilo le critiche della ricorrente colgono nel segno.

13 In definitiva, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che, nel decidere, si atterrà ai seguenti principi di diritto:

1) il diritto di prelazione del conduttore di immobile destinato a uso diverso da quello abitativo non è escluso dal fatto che il bene locato, appartenente a più persone, venga venduto all’asta nell’ambito di un giudizio di scioglimento della comunione tra i proprietari locatori;

2) il diritto di prelazione del conduttore di immobile destinato a uso diverso da quello abitativo non è escluso dalla previsione contrattuale che inibisca al conduttore lo svolgimento di attività implicanti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, in presenza di un uso effettivo dell’immobile, implicante quei contatti, uso conforme a quello convenuto o implicitamente assentito dal locatore.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *