Corte Suprema di Cassazione – Penale Sezione III Sentenza n. 3969 del 2006 deposito del 01 febbraio 2006 ANIMALI LEGGE PENALE PARTE CIVILE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata il Tribunale di Crotone ha affermato la colpevolezza di S? P? in ordine al reato di cui all’art. 727 c.p., ascrittogli per avere abbandonato un cane.

E’ stato accertato in punto di fatto che lo S? aveva portato il cane di proprietà della moglie dal veterinario, perché ne accertasse le condizioni fisiche, essendo stato investito, ed il dottore aveva riscontrato che l’animale aveva riportato un trauma al bacino, che avrebbe reso necessario un periodo di cure ed assistenza per almeno venti giorni. Nella circostanza l’imputato si mostrava preoccupato, in quanto doveva partire e non poteva prendersi cura del cane. Alcuni giorni dopo, di sera, l’addetta ad un centro di raccolta di cani randagi udiva forti latrati provenire da una gabbia in cui erano rinchiusi i cani e constatava che gli animali già presenti nel canile abbaiavano contro una cagnetta, tutta bagnata ed infangata, che non faceva parte del gruppo preesistente. Nel prosieguo si accertava che l’animale era da identificarsi con quello di proprietà della moglie dello S?.

Il giudice di merito ha, quindi, affermato che il fatto integra il reato di cui alla contestazione ed ha escluso l’attendibilità di quanto dichiarato dal fratello dell’imputato, sentito quale teste, il quale aveva affermato di essere stato lui a lasciare il cane all’esterno della gabbia in cui erano rinchiusi gli altri animali.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia con vari motivi di gravame.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 727 c.p..

Si deduce che la condotta attribuita all’imputato non integra la fattispecie contravvenzionale di cui alla contestazione, essendo stato accertato che l’animale non era stato abbandonato, ma depositato presso un canile pubblico. Si deduce, inoltre che il giudice di merito ha ravvisato la sussistenza del reato in considerazione della sofferenza inferta all’animale per essere stato allontanato dai padroni, mentre tale fatto non integra certamente la fattispecie dell’abbandono di animali domestici, che deve implicare un pericolo per l’incolumità dell’animale abbandonato.

Con il secondo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la sentenza per carenza o manifesta illogicità della motivazione.

Si deduce che il giudice di merito ha attribuito, senza adeguata motivazione, la condotta illecita all’imputato, pur essendo stato accertato che il cane apparteneva alla moglie di quest’ultimo. Si deduce inoltre che è stata disattesa l’attendibilità di quanto dichiarato dal teste S? F?, che ha attribuito a se stesso la condotta di cui alla contestazione, avendo peraltro precisato di avere lasciato il cane fuori del recinto degli animali, benché tale deposizione non fosse contrastata dalle altre emergenze processuali.

Con il terzo motivo si denuncia la sentenza per violazione di legge in relazione all’ammissione della costituzione di parte civile dell’ENPA ed alla condanna al risarcimento del danno morale in favore di detto ente.

Con l’ultimo motivo si deduce, infine, che la sentenza ha erroneamente dichiarato le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, pur non essendo stata contestata alcuna recidiva, risultando peraltro che l’imputato è incensurato.

Il ricorso è fondato limitatamente alla pronuncia di condanna dell’imputato al risarcimento del danno morale nei confronti dell’ENPA.

Rileva preliminarmente la Corte che il reato non è prescritto, essendo stato sospeso il relativo termine per rinvio del dibattimento dal 20.1.2005 al 15.3.2005 su richiesta dell’imputato per il complessivo periodo di mesi uno e giorni ventisei.

Il primo motivo di gravame è infondato.

Va premesso in punto di diritto che sussiste indubbia continuità normativa tra la fattispecie del maltrattamento di animali, di cui all’art. 727 c.p., con particolare riferimento all’ipotesi dello "abbandono di animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività" e la fattispecie di cui all’art. 727 c.p., come novellato dall’art. 1 della L. 20.7.2004 n. 189, che punisce con la più grave sanzione alternativa dell’arresto o dell’ammenda l’identica condotta.

Ciò precisato in ordine alla persistente punibilità della fattispecie contravvenzionale, osserva la Corte che il giudice di merito ha esattamente inquadrato la condotta dell’imputato nell’ipotesi di reato ascrittagli.

E’ stato, infatti, tra l’altro, accertato che lo S? non aveva consegnato il cane agli addetti al canile pubblico, ma lo aveva abbandonato di nascosto nel recinto in cui erano custoditi gli altri cani randagi e che tale fatto aveva comportato un indubbio pericolo per l’incolumità dell’animale, in quanto gli altri cani avrebbero potuto aggredire ed anche sbranare l’intruso approfittando del suo stato di infermità, come peraltro dimostrato proprio dall’atteggiamento assunto dai cani che già si trovavano nel recinto.

Pertanto, l’affermazione della colpevolezza dell’imputato non risulta affatto fondata solo sulla considerazione della sofferenza derivante dal distacco dall’ambiente affettivo cui l’animale era abituato.

Il secondo motivo costituisce una censura di fatto avverso l’accertamento di merito ed è, perciò, inammissibile.

Peraltro, la affermazione della sentenza in ordine alla inattendibilità delle dichiarazioni rese dal fratello dell’imputato, sentito quale teste, si palesa fondata su una congrua motivazione, immune da vizi logici, essendo state evidenziate dal giudice di merito le contraddizioni tra quanto dichiarato dal teste e le altre risultanze processuali.

Il quarto motivo è manifestamente infondato.

La sentenza impugnata non ha affatto dichiarato le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, considerato, peraltro, che dette attenuanti sono state concesse allo S? proprio in considerazione del suo stato di incensuratezza.

E’, invece, fondato il terzo motivo di gravame nei limiti sopra precisati.

Osserva la Corte che il giudice di merito ha ritualmente ammesso la costituzione di parte civile dell’ENPA, ai sensi dell’art. 91 c.p.p., come peraltro precisato nell’atto di costituzione in giudizio, trattandosi notoriamente di Ente che, giusta la legge istitutiva del 11.4.1938 n. 612, modificata con legge del 19.5.1954 n. 303 e successive, persegue finalità di tutela degli interessi lesi dal reato.

Nei casi di intervento ex art. 91 c.p.p., tuttavia, è stato reiteratamente precisato dalla giurisprudenza di questa Corte che la possibilità di costituirsi parte civile o, comunque di intervenire in giudizio per esercitare facoltà analoghe a quelle della parte civile (sez. III, 199407275, Galletti e altri, riv.198194), dell’ente che persegue finalità di tutela di interessi generali non implica alcun diritto al risarcimento del danno, attesa la peculiare natura dell’interesse che la nonna ha inteso tutelare, ma esclusivamente il diritto alla rifusione delle spese processuali nell’ipotesi di condanna dell’imputato (cfr. sez. III, 26.2.1991 n. 2603, Contento; conf. sez. III, 200243238, Veronese, riv. 223040).

La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata senza rinvio limitatamente alla condanna dell’imputato al risarcimento del danno morale in favore dell’ENPA, fatta salva, invece, la condanna alla rifusione delle spese del grado sostenute dall’Ente. Il ricorso va rigettato nel resto.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna al risarcimento del danno in favore dell’ENPA, salva la rifusionione pese. Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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