Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-03-2012, n. 5062 Leasing

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il 23 marzo 2006 il Tribunale di Lodi, decidendo sulla opposizione a decreto ingiuntivo proposta da GRANFORNITUR Lodi s.r.l., dichiarava risolto per inadempimento della Banca per il Leasing, ITALEASE s.p.a.

(ora Banca Italease s.p.a.) il contratto di compravendita stipulato tra dette società e per l’effetto revocava il decreto ingiuntivo del 17 febbraio 2004 e condannava la convenuta opposta alla rifusione delle spese di lite, oltre spese generali.

Su gravame della Banca, la Corte di appello di Milano il 5 febbraio 2010 riformava la sentenza di primo grado e condannava la società opponente a restituire alla Banca la somma di Euro 5.657,88, oltre interessi legali dalla data del versamento al saldo, oltre alle spese del doppi grado di giudizio.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione la GRANFORNITUR s.r.l, affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso la Banca Italease.

Motivi della decisione

1.-Dalla sentenza impugnata la ricostruzione della vicenda processuale è la seguente.

Il Tribunale di Lodi dichiarava la risoluzione del contratto di leasing stipulato il 7 marzo 1997 con cui la Padana Finservice (poi incorporata dalla Banca Italease) concedeva in locazione finanziaria alla MO.DI i beni ivi descritti acquistati presso la Granfornitur Lodi s.r.l..

I beni oggetto del predetto contratto venivano consegnati alla MO.Di, che si rendeva inadempiente all’obbligazione dei pagamento del canone a far data dalla scadenza del 25 agosto 1998 e per tutte le rate successive e, pertanto, la Padana Finservice s.p.a. con proprio atto del 21 gennaio 1999, notificato all’utilizzatore in data 28 gennaio 1999, provvedeva a risolvere il contratto di leasing. Subito dopo la MO.DI veniva dichiarata fallita.

Sulla base delle clausole 1 e 2 dell’atto di impegno la fornitrice Granfornitur Lodi era tenuta al riacquisto dei beni, oggetto del contratto, al prezzo predeterminato pari alla somma dell’importo dei canoni scaduti e insoluti, del valore attualizzato al T.U.S., vigente al momento della risoluzione del contratto dei canoni a scadere e dell’importo pattuito per l’opzione, oltre I.V.A..

Poichè essa non provvedeva a tanto la Banca agiva in monitorio, assumendo di essere creditrice di Euro 40.817, 17, così determinato in base alla clausola 2 dell’atto di impegno al riacquisto Il Tribunale accoglieva l’opposizione, in quanto il patto non aveva, a suo avviso, causa di garanzia fidejussoria, ma integrava un contratto di compravendita "sottoposto alla condizione sospensiva della risoluzione per inadempimento del contratto di locazione finanziaria".

Infatti, argomentava il primo giudice,la fornitrice non si era impegnata a garantire l’obbligazione altrui e dunque il pagamento dei canoni, ma il riacquisto dei beni anche nella ipotesi in cui "la consegna dei beni non fosse stata immediatamente possibile per essere, ad esempio, il bene nella temporanea disponibilità di un terzo".

L’opposta non aveva consegnato i beni all’opponente nè si era attivata in tal senso e, dunque, il contratto di compravendita doveva dichiararsi risolto per inadempimento della banca.

Se, invece, si fosse dovuto ritenere che l’opponente avesse assunto l’obbligo del pagamento del prezzo indipendentemente dalla possibilità di entrare in possesso dei beni, allora il contratto sarebbe stato affetto da nullità per mancanza di causa atteso che il pagamento del prezzo a fronte della impossibilità di consegna del bene sarebbe risultato privo di causa giustificativa nè sarebbe rilevante ex art. 1341 c.c., l’avvenuta sottoscrizione delle clausole n. 1 e n. 3. 2.-Ciò posto, rileva il Collegio quanto segue.

Il giudice dell’appello è andato di contrario avviso rispetto al Tribunale esaminando il principale motivo di censura, ossia la clausola n. 2 del patto di riacquisto, dalla quale si evince il quantum dovuto dalla Granfornitur Lodi al netto di IVA, determinato dalla somma algebrica dei corrispettivi scaduti e non pagati dall’utilizzatore, al Tasso ufficiale di Sconto vigente al momento della risoluzione, dai corrispettivi a scadere nonchè dall’importo dell’opzione finale d’acquisto (riscatto).

Dal tenore della clausola ha dedotto che il contenuto dell’obbligazione di pagamento fosse stato "predeterminato solo in funzione del finanziamento a suo tempo erogato da Padana Finservice e dell’entità dell’inadempimento dell’utilizzatore e non quale corrispettivo del valore economico e dello stato di usura dei beni".

Ha posto, inoltre, in rilievo il giudice a quo che, per espresso accordo delle parti, la garanzia avrebbe operato per il solo caso di inadempimento senza alcun collegamento con la consegna dei beni, trattandosi, in virtù dell’elemento della accessorietà con il contratto principale, di garanzia riconducibile allo schema tipico della fideiussione.

A fronte di questo argomentare, l’attuale ricorrente lamenta, in buona sostanza, che il giudice dell’appello avrebbe errato nel ritenere, nel caso in esame, il contratto sottoscritto tra le parti come negozio di garanzia, indipendentemente da ogni riferimento all’impegno al riacquisto e non invece, come ritenuto dal giudice di primo grado, come contratto riconducibile alla vendita.

L’errore sarebbe dovuto, ad avviso della ricorrente, al fatto che il giudice a quo avrebbe limitato la sua analisi ad uno solo degli elementi del contratto sottoscritto, mancando, perchè il contratto non rientrava tra i tipi aventi una disciplina particolare, una rigorosa indagine ricostruttiva della reale volontà delle parti.

La Corte territoriale avrebbe dato per scontato il fatto della insussistenza di un collegamento tra operare della garanzia e consegna dei beni, che sarebbe stato oggetto di contestazione.

Comunque, anche ammesso che si tratti di garanzia e non di vendita tout court, pur sempre si tratterebbe di un rapporto di atipico di garanzia, seppure per molti versi assimilabile alla fidejussione, caratterizzato dalla coesistenza di caratteri riconducibili, in parte, alla garanzia ed, in parte, alla compravendita e, quindi, andava individuata la corretta volontà delle parti, anche perchè il contratto in parola fu sottoscritto da Granfornitur su modulo interamente predisposto dalla Padana Service.

Del resto, dalla lettura dell’art. 3 del contratto, che la ricorrente riporta integralmente, si evincerebbe l’obbligo di corrispondere il prezzo indipendentemente dalla possibilità di immediato possesso dei beni, per cui tale riferimento non autorizzerebbe a ritenere che sussistesse un chiaro accordo nel senso di escludere in ogni caso la necessità di consegna dei beni stessi.

Poichè la decisione impugnata sul punto è stata confortata dal giudice dell’appello con la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 15199/05), la ricorrente fa rilevare ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., la necessità di una revisione giurisprudenziale.

Questo in sintesi il primo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., e segg., artt. 1322, 1323 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3).

3.-Osserva il Collegio che la censura nel suo complesso non può essere accolta.

Occorre, innanzitutto, rilevare che la sentenza n. 7870/95, cui, peraltro, è seguita la sentenza n. 9050/95, non depone a favore della società ricorrente, secondo la conclusione che ne vorrebbe trarre.

Infatti, in quella occasione è stato affermato, salvo poi a tenere presente il caso di specie, che in tema di contratto di leasing e del patto in virtù del quale al venditore può essere richiesto, da chi ha acquistato il bene, di pagare una somma di danaro nel caso in cui l’utilizzatore dal canto suo si renda inadempiente all’obbligazione di pagare il corrispettivo dovuto per il godimento concessogli, il tratto strutturale dell’obbligazione del venditore certamente può spiegare il richiamo allo schema della fideiussione, nell’ambito del quale il contratto può essere collocato.

Anche la sentenza n. 9050/95, espressamente affrontando il tema della natura giuridica, nel contratto di leasing, del patto con cui il venditore si sia obbligato a riacquistare il bene in caso di inadempimento contrattuale da pare del terzo fruitore, ha considerato che l’alternativa si pone tra la qualificazione del negozio come garanzia in favore dell’acquirente e la qualificazione come nuova vendita, ma nel caso da essa esaminato, in virtù del reciproco interesse delle parti, ha ritenuto prevalente la causa alienarteli.

Nella presente controversia costituisce, quindi, quaestio voluntatis stabilire se nel patto in oggetto sia da ravvisare un negozio giuridico di fidejussione o una vendita.

Al riguardo, il giudice del merito ha ritenuto che le parti con le clausole ivi contenute intendevano realizzare un contratto di fideiussione, in applicazione esatta dei criteri ermeneutici delle predette sentenze, cui esplicitamente segue la n. 15199/05 e alla quale si riporta.

Quindi, non si rileva alcun vizio di violazione delle norme di ermeneutica contrattuale, in quanto la Corte territoriale ha ritenuto che il patto, autonomo rispetto al contratto di leasing, aveva fatto riferimento al debito dell’utilizzatore, senza che dovesse venire in rilievo l’elemento della corrispettività proprio della causa alienandi della vendita, sicchè se ne dovevano ritenere la natura ed il contenuto di negozio accessorio di garanzia, ossia che non si ravvisava alcun collegamento con la consegna dei beni e che la modalità di determinazione del prezzo costituiva l’elemento distintivo del patto di riacquisto con causa di garanzia dal patto di riacquisto con causa alienandi, come si evince dalla clausola n. 2 (v. p. 4 sentenza impugnata e p. 13, se non errata, perchè manca la numerazione, del controricorso, ove è riportata).

Nè si può parlare, come deduce la ricorrente, di garanzia atipica, perchè non manca il carattere dell’accessorietà e le parti hanno convenuto per espresso accordo, che la garanzia avrebbe operato per il caso di inadempimento senza alcun collegamento con la consegna dei beni, in virtù dell’elemento dell’accessorietà con il contratto principale di garanzia riconducibile allo schema tipico della fidejussione (v. p. 4 sentenza impugnata).

Pertanto, dalla lettura complessiva delle clausole non se ne rileva la ambiguità, ma emerge la comune volontà delle parti di escludere che l’obbligo di pagamento fosse correlato alla effettiva consegna dei beni, come correttamente pone in rilievo la Banca resistente nel suo controricorso.

Quindi il motivo va disatteso.

E, solo per completezza, va aggiunto che non si rinvengono gli estremi per una rimeditazione funditus della giurisprudenza su cui si fonda la sentenza impugnata, che, invece, va ribadita e confermata.

4.-Con il secondo motivo (omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo – clausole vessatorie – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), lamenta la ricorrente che, una volta ritenuto come fideiussione il patto contenuto nel contratto, il giudice dell’appello ha erroneamente ritenuto assorbito ogni altra decisione, per cui vi sarebbe omessa pronuncia su un fatto decisivo della controversia relativo alla vessatorietà delle clausole contrattuali da sempre da essa attuale ricorrente evidenziata.

Il motivo è infondato.

Infatti, come sopra riportato, il giudice dell’appello dalla lettura dell’intero contratto ha potuto affermare che il suo contenuto era dovuto ad espresso accordo tra le parti, in considerazione della qualificazione giuridica del patto di riacquisto, che ha ricondotto allo schema della fidejussione proprio perchè la garanzia avrebbe operato solo per il caso di inadempimento senza alcun collegamento con la consegna dei beni.

Peraltro, per ciò che concerne la mancata la specifica approvazione per iscritto della clausola n. 3, non sembra che essa sussista, in quanto, contrariamente a quello che riporta la ricorrente, dal contenuto in parte qua riportata dalla resistente, ossia la sottoscrizione, sembra, invece, evincersi che i sottoscrittori abbiano preso visione del contenuto, e abbiano approvato specificamente i punti cruciali delle clausole, anche di quelli di cui al n. 3.

Peraltro, la resistente si cura di trascrivere una frase di p. 9 della sentenza del Tribunale di Lodi, ove si menziona espressamente l’avvenuta specifica sottoscrizione delle clausole 1) e3).

E’ vero che la Granfornitur era uscita totalmente vittoriosa all’esito del giudizio di primo grado, ma ciò non le avrebbe impedito di proporre appello incidentale sul punto, non solo, ma quanto meno eccepire sin dall’atto di costituzione che comunque quelle clausole fossero vessatorie.

Sotto entrambi i profili considerati, quindi, il motivo non merita accoglimento.

Del resto, una volta qualificato il patto come negozio di fideiussione, una volta ritenuto che il patto di riacquisto comunque fosse lecito, perchè non rientrava tra le clausole da approvare specificamente per iscritto, pare evidente al Collegio che la questione è sollevata sulla diversa qualificazione del patto, per cui perde ogni sua valenza se riferita alla ritenuta natura di esso quale negozio fidejussorio.

Ne consegue l’assorbimento del terzo motivo (nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia su elemento decisivo).

Infatti, il giudice dell’appello per le superiori considerazioni ha respinto la censura sulla invalidità ed inefficacia delle clausole perchè in relazione alla qualificazione del patto non le ha ritenute tali e perchè, come riportato per il principio di autosufficienza dalla resistente, la sottoscrizione di esse appare specificamente fatta per iscritto e, quindi, non si può parlare affatto di omessa pronuncia, così come prospettata.

Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese, che seguono la soccombenza, vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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