Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-07-2011) 17-10-2011, n. 37495

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Forlì aveva chiesto al GIP il sequestro preventivo di due inceneritori siti in quel Comune e specificamente:

a) dell’impianto di smaltimento, mediante incenerimento, di rifiuti urbani e speciali (pericolosi e non pericolosi) gestito in via (OMISSIS) dalla s.p.a. "Hera", legalmente rappresentata da D. C.;

b) dell’impianto di smaltimento di rifiuti speciali sanitari, mediante incenerimento, gestito in (OMISSIS) dalla s.r.l.

"Mengozzi", legalmente rappresentata da M.E..

Il P.M. ipotizzava:

aa) Nei confronti del D.:

– la contravvenzione di cui all’art. 674 c.p. (immissione nell’atmosfera di polveri e sostanze pericolose per la salute pubblica fuori dei casi consentiti dalla legge);

– la contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 59 del 2005, art. 16, comma 1, (gestione dell’impianto senza l’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.), scaduta il 30.6.2008 e rinnovata il 23.7.2008), nonchè rilasciata in mancanza di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) statale, essendo intervenuta tardivamente V.I.A. regionale);

– la contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a) e b), (smaltimento nell’impianto di rifiuti pericolosi e non pericolosi con autorizzazioni da considerarsi "illegittime ed inefficaci");

– il delitto di cui agli artt. 48 e 480 c.p. (conseguimento fraudolento, mediante induzione in errore di soggetti pubblici, della valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) e dell’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.). bb) Nei confronti del M.;

– la contravvenzione di cui all’art. 674 c.p.. (immissione nell’atmosfera di polveri e sostanze pericolose per la salute pubblica fuori dei casi consentiti dalla legge);

– la contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 133 del 2005, art. 19, comma 1, (esercizio, senza autorizzazione, dell’attività di incenerimento di rifiuti speciali pericolosi (sanitari);

– la contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 59 del 2005, art. 16, comma 1, (gestione dell’impianto senza l’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.), rilasciata in mancanza di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) statale, essendo intervenuta tardivamente V.I.A. regionale);

– la contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1 – lett. a) e b), (smaltimento nell’impianto di rifiuti pericolosi e non pericolosi con autorizzazioni da considerarsi "illegittime ed inefficaci");

– il delitto di cui agli artt. 48 e 480 c.p. (conseguimento fraudolento, mediante induzione in errore di soggetti pubblici, della valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), dell’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) e della certificazione EMAS (sistema comunitario di Ecogestione e Audit: Ecomanagement and Audit Schema).

La richiesta di cautela si fondava sugli elaborati peritali acquisiti in sede di incidente probatorio, sulla relazione del consulente tecnico dello stesso P.M. e sull’esito delle indagini effettuate dal sezione di polizia giudiziaria del Corpo Forestale dello Stato.

Il Gip del Tribunale di Forlì, con provvedimento del 23.8.2010, rigettava la richiesta di sequestro preventivo, ritenendo che le contestazioni mosse agli indagati fossero di carattere essenzialmente formale, in quanto attinenti alla fase propedeutica al rilascio delle autorizzazioni e concernenti sia l’organo deputato allo svolgimento della procedura sia le modalità di rilascio dei titoli abilitativi.

Lo stesso G.I.P. – dopo avere osservato che la normativa da applicarsi alle fattispecie aveva generato pareri tecnici contrastanti – non approfondiva la questione della sussistenza o meno del "fumus" dei reati ipotizzati, perchè riteneva pregiudiziale la mancanza di esigente cautelari, considerando carente la dimostrazione sia di effetti nocivi sull’ambiente ricollegabili all’attività degli impianti (non sono contestati e non risultano accertati superamenti di limiti tabellari quanto alle immissioni nell’atmosfera) sia dell’assenza dei titoli autorizzatoti viziati da nullità assoluta.

Il P.M. proponeva appello ed il Tribunale di Forlì – con ordinanza del 13.12.2010 – respingeva il gravame.

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso (articolato in due distinti atti di impugnazione) lo stesso Procuratore della Repubblica, il quale ha eccepito che:

– il reato di cui all’art. 674 c.p. è integrabile indipendentemente dall’esistenza di un’autorizzazione e dal superamento dei valori- limite di emissione eventualmente stabiliti dalla legge, in quanto anche un’attività d’industria autorizzata può provocare molestie alle persone.

Per i contestati riversamenti di polveri in atmosfera, riconducibili alla prima delle due ipotesi previste dallo stesso art. 674, non sarebbe applicabile l’inciso secondo il quale la contravvenzione codicistica può configurarsi soltanto "nei casi non consentiti dalla legge", in quanto tale inciso riguarderebbe soltanto la seconda ipotesi avente ad oggetto materiale "gas, vapori o fumi".

Affinchè, inoltre, le emissioni di cui alla seconda ipotesi rientrino nei "casi consentiti dalla legge", è necessario che le medesime siano autorizzate, si svolgano nel rispetto delle prescrizioni e dei limiti tabellari e, comunque, rientrino nei limiti di una "normale tollerabilità" nel senso richiesto dalle norme del codice civile (art. 844 c.c.). Allorquando esse, invece, risultino essere il prodotto di un’attività non autorizzata, non è necessario, per la perfezione del reato, il superamento dei limiti di legge, essendo sufficiente l’astratta potenzialità dei fumi a recare nocumento.

Nella specie, comunque, non esisterebbe una "vera ed effettiva" autorizzazione all’esercizio delle attività e degli impianti di incenerimento dei rifiuti, bensì un "simulacro" di essa basato su atti amministrativi insanabilmente nulli;

– sussiste il "periculum in mora", in quanto:

– nel concetto di "molestia" di cui all’art. 674 c.p. deve farsi rientrare anche "il semplice allarme" circa eventuali danni alla salute a seguito della esposizione ad emissioni inquinanti, sicchè non è necessario provare la nocività della sostanza immessa nell’ambiente (poichè ciò che rileva è "l’attitudine dell’elemento immesso e non il pericolo che origina dall’emissione"), essendo sufficiente invece dimostrare "che non è impossibile che l’esposizione ambientale a inquinanti emessi dagli inceneritori produca un’offesa o, quantomeno, una mera molestia alle persone, anche nei termini di semplice allarme o disagio psicologico".

Nella specie l’esistenza effettiva (non pretestuosa ed infondata) di molestie ed allarme sarebbe inconfutabilmente attestata dai molteplici esposti presentati, dalle segnalazioni delle associazioni ambientaliste e medico-oncologiche, dai dati contenuti negli elaborati degli esperti chiamati a consulto;

– le violazioni connesse alla mancanza di valido titolo autorizzatorio non possono ritenersi esaurite quanto agli effetti, poichè esse hanno carattere permanente, le sostanze atte a molestare sono oggetto di emissione continuativa e gli indagati potrebbero fare cessare la situazione lesiva del bene giuridico protetto attraverso l’ottenimento di rituali e legittime autorizzazioni.

I difensori degli indagati hanno depositato memorie rivolte a contestare gli assunti della pubblica accusa.

Il ricorso del P.M. deve essere rigettato per il motivo assorbente che esso è infondato quanto alla addotta configurabilità del periculum in mora.

La doglianza con cui il ricorrente riferisce la sussistenza di detto "periculum" alla concreta ravvisabilità delle "molestie" previste dall’art. 674 c.p. si fonda su un risalente orientamento giurisprudenziale, secondo il quale – anche quando vi sia una normativa di settore o un provvedimento dell’autorità che regoli l’attività e che imponga limiti di emissione ed anche quando i limiti tabellari non siano stati superati – la contravvenzione di cui all’art. 674 c.p. sarebbe ugualmente configurabile qualora l’attività abbia comunque prodotto emissioni eccedenti i limiti di tollerabilità "alla luce dei parametri indicati dall’art. 844 c.p., ed eliminabili mediante opportuni accorgimenti tecnici. E ciò perchè non potrebbe considerarsi lecito l’esercizio di una attività che, anche se rispettosa dei limiti tabellari, implichi comunque la sopportazione di inconvenienti eccedenti la normale tollerabilità, in quanto l’agente deve ritenersi in ogni caso obbligato a ricorrere alla migliore tecnologia disponibile per contenere al massimo possibile le emissioni inquinanti, al fine della tutela della salute umana e dell’ambiente (cfr. Cass.: sez. 1, 7 novembre 1995, Chiamero;

sez. 1, 11 aprile 1997, Sartor; sez. 3, 25 giugno 1999, Zompa; sez. 3, 28 settembre 2005, Riva; sez. 3, 21.6.2007, n. 35489, Toma).

Secondo tale orientamento, l’inciso "nei casi non consentiti dalla legge", contenuto nella formulazione dell’art. 674 c.p., dovrebbe intendersi riferito non solo alla specifica normativa di settore, ma alla legge in generale e quindi pure alle prescrizioni dell’art. 844 c.c..

Tale orientamento è stato ribadito anche da alcune decisioni più recenti (cfr. Cass.: sez. 1, 27.3.2008, n. 16693, Polizzi; Sez. 3, 12.2.2009, n. 15734, Schembri ed altro), che però non hanno apportato particolari argomentazioni per confutare la diversa interpretazione che si è frattanto affermata con caratteristiche di prevalenza e che questo Collegio condivide e ribadisce.

Trattasi dell’interpretazione secondo la quale l’espressione "nei casi non consentiti dalla legge" costituisce una precisa indicazione della necessità, ai fini della configurazione del reato, che, qualora si tratti di attività considerata dal legislatore socialmente utile e che per tale motivo sia prevista e disciplinata, remissione avvenga in violazione delle norme o prescrizioni di settore che regolano la specifica attività. Deve ritenersi, infatti, che la legge contenga una sorta di presunzione di legittimità delle emissioni che non superino la soglia fissata dalle norme speciali in materia.

In altri termini, all’inciso "nei casi non consentiti dalla legge" deve riconoscersi – contrariamente a quanto ritenuto dall’orientamento di cui si è dato conto dianzi – un valore rigido e decisivo, tale da costituire una sorta di spartiacque tra il versante dell’illecito penate da un lato e quello dell’illecito civile dall’altro (vedi Cass.: sez. 1, 16 giugno 2000, Meo; sez. 1, 24 ottobre 2001, Tulipano; sez. 3, 23 gennaio 2004, Pannone; sez. 3, 19 marzo 2004, n. 16728, Parodi; sez. 1, 20 maggio 2004, Invernizzi;

sez. 3, 18 giugno 2004, Previdenti; sez. 3, 10 febbraio 2005, Montinaro; sez. 3, 21 giugno 2006, Bortolato; sez. 3, 26 ottobre 20Q6, Gigante; sez. 3, 11 maggio 2007, Pierangeli; sez. 3, 9.10.2007, n. 41582, Saetti; nonchè, in riferimento alla emissione di onde elettromagnetiche, sez. 1: 14 marzo 2002, Rinaldi; 12 marzo 2002, Pagano; 25 novembre 2003, a 4192/04, Valenziano).

Il Collegio ribadisce, pertanto, il principio di diritto secondo il quale il reato di cui all’art. 674 c.p. non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata o da una attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali e siano contenute nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di legittimità del comportamento (cfr, tra le decisioni più recenti, Cass., sez. 3:

21 ottobre 2010, n. 40849, Rocchi; 9 gennaio 2009, n. 15707, Abbaneo;

13 maggio 2008, n. 36845, Tucci; 27 febbraio 2008, n. 15653, Colombo).

Va riaffermato altresì l’ulteriore principio di diritto secondo il quale la fattispecie contravvenzionale descritta dall’art. 674 c.p., non prevede due distinte ed autonome ipotesi di reato ma un reato unico, in quanto la condotta consistente nel provocare emissioni di gas, vapori o fumo rappresenta una species del più ampio genus costituito dal gettare o versare cose atte ad offendere, imbrattare o molestare persone. Le emissioni di cui alla seconda ipotesi (riferita a gas, vapori o fumo) rientrano già nell’ampio significato dell’espressione "gettare cose", di cui in realtà costituiscono una specie, e sono state espressamente previste dalla norma unicamente per specificare che quando si tratta di attività disciplinata per legge – e per tale motivo ritenuta dal legislatore di un qualche interesse pubblico e generale – la loro rilevanza penale nasce soltanto con il superamento dei limiti e delle prescrizioni di settore (Cass., sez. 3: 21 ottobre 2010, n. 40849, Rocchi; 9 gennaio 2009, n. 15707, Abbaneo).

Razionalmente è stato rilevato, al riguardo, che si configurerebbe una disciplina manifestamente irrazionale se si dovesse ritenere che esclusivamente alla seconda ipotesi prevista dall’art. 674 c.p. (emissione di gas, vapori o fumo) si applichi il principio secondo il quale il reato non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata o prevista e disciplinata da atti normativi speciali e non siano superati i limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di legittimità del comportamento; mentre tale principio non possa applicarsi anche all’emissione di polveri (non rientrando le stesse tra i gas, vapori e fumo). Sarebbe ad evidenza irragionevole, infatti, ritenere che la contravvenzione in esame resterebbe integrata nel caso di emissione di polveri pur avvenuta nell’esercizio di una attività autorizzata o disciplinata per legge e pur quando non siano superati i limiti stabiliti dalla legge o dai regolamenti o da specifici atti amministrativi, ma solo perchè vi sia possibilità di offesa o molestia, mentre per tutte le altre attività anch’esse autorizzate o disciplinate da leggi speciali, la contravvenzione non sarebbe configurabile quando tali limiti non sono superati, sussistendo in tal caso una presunzione di legittimità delle emissioni. L’elemento che caratterizza e giustifica la previsione speciale di cui alla seconda ipotesi dell’art. 674 c.p. è costituito dal riferirsi ad una attività socialmente utile e quindi disciplinata e non già dalla natura dell’oggetto dell’emissione.

Nella vicenda in esame, per entrambi gli impianti in oggetto, esiste un’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) concessa per delega regionale dalla Provincia di Forlì-Cesena. Essa, secondo l’impostazione accusatoria, avrebbe dovuto essere preceduta da una V.I.A. nazionale e non già regionale (alla stregua della natura dei rifiuti inceneriti); non viene però spiegato in quale modo ed in quale misura l’assunto vizio procedimentale, in assenza del superamento dei limiti di emissione fissati dalla legge, sia idoneo a produrre effetti nocivi direttamente sull’ambiente.

In relazione, poi, alla contravvenzione di cui all’art. 674 c.p., non risultano addotti elementi concreti idonei a dimostrare il superamento della soglia della normale tollerabilità nel senso richiesto dall’art. 844 c.c. e l’attitudine a recare nocumento alle persone, nè il mancato ricorso, da parte delle società di gestione, alla migliore tecnologia disponibile per contenere al massimo possibile le emissioni.

E’ vero (secondo quanto prospettato dal P.M. ricorrente) che trattasi di tipico reato di pericolo, per cui non è necessario che sia determinato un effettivo nocumento alle persone, essendo sufficiente l’attitudine delle emissioni ad offenderle o molestarle: concetto quest’ultimo inteso in senso ampio dalla giurisprudenza sino a farvi rientrare situazioni di fastidio, disagio, disturbo e turbamento della tranquillità.

E’ altrettanto vero che, secondo qualche pronunzia di questa Corte (vedi Cass., sez. 3, 14.3.2003, n. 20755, Di Grado ed altri), può costituire molestia anche il semplice arrecare alle persone preoccupazione generalizzata ed allarme circa eventuali danni alla salute da esposizione ad emissioni inquinanti.

L’allarme, però, non può derivare da opinioni preconcette e da disinformazione mediatica mentre, nella vicenda in esame, la preoccupazione degli abitanti della zona non viene correlata ad accertamenti tecnici che li giustifichino nè a diffuse percezioni oggettive, essendosi il P.M. limitato (come rilevato dal Tribunale) "ad un ragionamento induttivo che assume come punto di partenza esposti e denunce che, a loro volta, ipotizzano correlazioni causali indimostrate tra le emissioni degli inceneritori ed eventuali patologie insorte od insorgenti".

Inquietudini ed apprensioni erano state indotte dall’insorgenza di una patologia tumorale in un ragazzo che abitava nella zona, ma tutte le consulenze esperite da qualificati docenti universitari hanno attestato l’inesistenza di un qualsiasi nesso causale fra la presenza degli inceneritori di rifiuti ed il rischio per la salute delle popolazioni residenti nel raggio di ricaduta delle loro emissioni.

Non appare superfluo osservare, al riguardo, che vi è una diffusa tendenza delle popolazioni residenti a manifestare un atteggiamento ostile generalizzato a fronte dell’insediamento (ma anche del mero progetto di realizzazione) di un impianto di trattamento o di incenerimento di rifiuti nelle zone da esse abitate o in zone ad esse vicine: se ad una preoccupazione siffatta, sovente ingenerata da meri ed ingiustificati pregiudizi, dovessero riconoscersi indiscriminatamente caratteristiche di "molestia" per procurato allarme per danni alla salute ed alla qualità della vita, resterebbe sostanzialmente preclusa la possibilità di insediare e fare funzionare inceneritori di rifiuti in buona parte del territorio nazionale.

Il sequestro preventivo di cosa pertinente al reato è consentito purchè il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa – che va accertato dal giudice con adeguata motivazione – presenti i requisiti della concretezza e dell’attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistano nel volontario aggravarsi o protrarsi dell’offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l’accertamento irrevocabile del reato.

Nella fattispecie in esame tutto questo non è stato dimostrato e le connotazioni di pericolo prospettate dall’accusa risultano sostanzialmente fondate su elementi presuntivi che non evidenziano una reale possibilità di compromissione degli interessi attinenti alla protezione della salute e dell’ambiente.

L’ulteriore approfondimento e la compiuta verifica spettano ai giudici del merito ma, allo stato, il diniego del sequestro appare tutt’altro che irrazionale.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso del P.M..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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