Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-07-2011) 17-10-2011, n. 37483

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Broscia, con sentenza del 21.3.2011, in parziale riforma della sentenza 9.11.2009 del Tribunale monocratico di quella città, ribadiva l’affermazione della responsabilità penale di D.F. in ondine al reato di cui:

– al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3, (per avere realizzato, in un’area di circa 1.500 mq., in mancanza della prescritta autorizzazione, una discarica di rifiuti speciali anche pericolosi – acc. in Calcinato, fino al 18.8.2006);

e, riconosciute circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata, determinava la pena (condizionalmente sospesa) in mesi 9 di arresto ed Euro 3.000,00 di ammenda.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del D., il quale, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, ha eccepito:

– la inconfigurabilità del reato, in quanto, nella specie, non potrebbe configurarsi l’esistenza di una "discarica" abusiva di rifiuti, dovendosi ritenere realizzata, invece, la condotta di "deposito temporaneo" finalizzato alla successiva immissione in discarica e sanzionato solo in via amministrativa del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 255;

– la incongruità del giudizio di mera equivalenza delle riconosciute circostanze attenuanti generiche sull’aggravante contestata (correlata alla pericolosità di parte dei rifiuti).

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè articolato in fatto e manifestamente infondato.

1. Nella fattispecie in esame risulta accertato che – in un’area di pertinenza della cascina sede dell’attività di impresa agricola svolta dal D. (avente ad oggetto la coltivazione di prodotti agricoli e l’allevamento di bovini) – erano disseminati materiali di vario genere costituiti, fra l’altro, da plastica, vetro, legno, carcasse di veicoli, batterie al piombo, pneumatici, rottami ferrosi di varia natura e provenienza, oli usati: il tutto a distanza inferiore a 100 metri dalla stalla dei bovini.

I materiali anzidetti erano sparsi "a macchia di leopardo", incastrati l’uno con l’altro, e fra di essi era sorta una vegetazione spontanea di erbacce, alta e ben radicata; i metalli presentavano, inoltre, parti arrugginite.

L’analisi dei campioni prelevati ha dato conto, altresì, della presenza di idrocarburi e di solventi.

2. La Corte di merito – avendo razionalmente ritenuto che i materiali come sopra descritti non possono ritenersi prodotti dall’azienda dell’imputato – ha correttamente escluso l’esistenza di un deposito temporaneo e regolare di rifiuti, rilevando che l’abbandono degli stessi era avvenuto alla rinfusa e non per categorie omogenee, nonchè in violazione delle ulteriori prescrizioni attualmente poste dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. bb).

Trattandosi, dunque, di deposito non caratterizzato dai requisiti fissati dalla legge, potrebbero realizzarsi, secondo i casi (vedi Cass., sez. 3, 30.12.2009, n. 49911, Manni): a) una raccolta preliminare prodromica ad un’operazione di smaltimento, sanzionata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, (già D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51); b) una messa in riserva in attesa di recupero, anch’essa prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, (già D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 1); c) un deposito incontrollato od abbandono, sanzionato, amministrativamente o penalmente, secondo i casi, dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 255 e art. 256, comma 2, (già D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 50 e art. 51, comma 2), quando i rifiuti non siano destinati ad operazioni di smaltimento o di recupero; d) una discarica abusiva, sanzionata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3, (già D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 3), quando l’abbandono risulti reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi.

Nella vicenda in esame, legittima appare l’esclusione della configurabilità sia di una raccolta preliminare, poichè essa non era stata realizzata in vista di successive operazioni di smaltimento (assolutamente vago è rimasto il riferimento, nel ricorso, a pretese contratti stipulati con imprese di smaltimento che avrebbero "declinato temporaneamente l’incarico ), sia di una messa in riserva, mancando la prova della finalizzazione a successive operazioni di recupero.

A fronte, dunque, di un abbandono incontrollato, altrettanto legittimamente la Corte di merito ha ravvisato la sussistenza degli elementi ritenuti essenziali dalla giurisprudenza (vedi, tra le decisioni più recenti, Cass., sez, 3, 24.3.2010, n. 11258, Chirizzi) per configurare una "discarica abusiva" (ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 3, con previsione trasfusa nel D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 3), essendo stati accertati;

l’accumulo ripetuto e non occasionale di rifiuti in un’area determinata; la eterogeneità dell’ammasso dei materiali; la definitività del loro abbandono; il degrado dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in questione.

I risultati dell’effettuato accertamento sono assolutamente compatibili anche con la definizione di "discarica" introdotta dal D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 31, art. 2, lett. g).

La realizzazione di una discarica, inoltre, può configurarsi pure in difetto di una specifica organizzazione di persone e di mezzi (vedi Cass., sez. 3: 18.4.2005, n. 14285, Brizzi; 8.9.2004, n. 36062, Tomasoni): è solo la gestione di una discarica (quale attività autonoma successiva alla realizzazione, che può essere compiuta dallo stesso autore di quest’ultima o da altri soggetti) che richiede, infatti, l’attivazione di un’organizzazione, articolata o rudimentale, di persone e cose diretta al funzionamento della discarica medesima (vedi Cass.: Sez. 3, 11.4.1997, Vasco; Sez. Unite 28.12.2004, Zaccarelli).

3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte:

– il giudizio di comparazione fra circostanze attenuanti ed aggravanti, ex art. 69 cod. pen., è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio deve essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo;

– il medesimo giudizio di comparazione risulta sufficientemente motivato, quando il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale a lui demandato, scelga la soluzione dell’equivalenza, anzichè della prevalenza delle attenuanti, ritenendola quella più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Cass., Sez. L 26.1.1994, n. 758); – anche il giudice di appello – pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante – non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e di valore decisivo, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta confutazione (vedi Cass., Sez. 6 4.9.1992, n. 9398);

Nella fattispecie in esame ed alla stregua dei principi anzidetti, la Corte di merito ha esercitato correttamente il potere discrezionale riconosciutole in proposito dalla legge, dando rilevanza decisiva alla entità effettiva della condotta criminosa accertata ed alla pencolosità dei materiali abbandonati (non esclusa quest’ultima, nella sua oggettività, dal riconoscimento delle attenuanti generiche).

4. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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