Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-03-2012, n. 5048 Procedimento esecutivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel corso di una procedura esecutiva immobiliare instaurata dall’istituto di credito FONSPA, Credito Fondiario e Industriale, volta all’assegnazione della somma ricavata da una vendita immobiliare, la debitrice ex mutuo escussa, P.P. E., si oppose alla richiesta, deducendo (oltre che, in limine, un vizio di integrità del contraddittorio):

Che la Fonspa, con una nota del 7.11.2001, le aveva comunicato l’avvenuta estinzione del mutuo e la conseguente inesistenza di ulteriori ragioni di credito nei suoi confronti, specificando che, per la manifestazione del consenso alla cancellazione dell’ipoteca da parte di essa creditrice, si rendeva necessario il versamento (prontamente eseguito) dell’importo di circa 700 mila lire; Che, con atto per notar Mazza del 7.2.2002, la Fonspa, in persona, rispettivamente, del suo procuratore e del vice direttore aggiunto (i signori Z. e F.), aveva (a tanto autorizzati dal presidente del c.d.a. dell’ente) consentito alla totale cancellazione dell’ipoteca, con ulteriore dichiarazione di estinzione del mutuo e di conseguente cessazione di ogni ragione di credito da parte dell’istituto mutuante;

Che, a distanza di 15 mesi, nel maggio del 2003, le era stata comunicata la revoca del predetto consenso;

Che tale atto doveva ritenersi inidoneo a vanificare la precedente dichiarazione liberatoria dell’ente creditore, non senza considerare, per altro verso, che i cespiti immobiliari poi aggiudicati in corso di esecuzione non potevano ritenersi gravati dalla prima ipoteca iscritta in favore della Fonspa perchè la seconda iscrizione era stata tardivamente rinnovata (nell’aprile del 2002), per essere decorsi dieci anni dalla precedente iscrizione (del 28.5.1987), senza che essa potesse ritenersi efficace ai sensi dell’art. 2848 c.c., comma 1 poichè, nella distribuzione della somma ricavata in sede di esecuzione immobiliare, non si tiene conto, ex art. 2916 c.c. delle ipoteche e dei privilegi iscritti dopo il pignoramento. La Fonspa eccepì che tanto la lettera del novembre 2001, quanto la dichiarazione di consenso alla cancellazione dell’ipoteca del febbraio 2002, erano frutto di mero errore materiale, poichè, dai conteggi e dagli estratti del credito prodotti, risultava inconfutabilmente l’esistenza di un residuo debito della P., la quale mai aveva ottemperato all’ordine di esibire le ricevute di pagamento o comunque la documentazione relativa al pagamento delle somme dovute alla creditrice titolo di mutuo, nè aveva mai sostenuto di avere adempiuto alla propria obbligazione restitutoria (e ciò tanto in sede penale, ove aveva sporto denuncia per usura, quanto dinanzi al giudice dell’esecuzione).

Il tribunale respinse l’opposizione.

La sentenza è stata impugnata da P.E. con ricorso per cassazione articolato in 8 motivi (erroneamente rubricati come 7 nell’atto di impugnazione). Resiste con controricorso la Fonspa Bank.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato, anche se la motivazione adottata dal giudice del merito va corretta in parte qua, senza che ciò possa, peraltro, condurre alla cassazione della sentenza impugnata, conforme a diritto nel suo decisum.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè art. 115 c.p.c., art. 116 c.p.c., comma 2, art. 167 c.p.c., comma 1 – pronuncia ultra e/o extra petita del giudice di prime cure in violazione del principio di non contestazione del fatto.

Con il secondo motivo, si denuncia insufficienza e/o illogicità e/o contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Entrambi i motivi sono fondati, sia sotto il profilo della irrilevabilita ex officio, da parte del tribunale, della mancanza del potere di disporre del diritto di credito in capo al dichiarante (vertendosi in tema di disponibilità formale del rapporto sostanziale in contestazione, e non già di legitimatio ad causam, come tale legittimamente oggetto di esame officioso in ogni stato e grado del procedimento), sia sotto quello della concreta disponibilità del diritto medesimo (disponibilità la cui esistenza risulta oggetto di positivo riscontro da parte della stesso giudicante al folio 9 della sentenza impugnata, dalla cui lettura si apprende di Z.M. come di "soggetto autorizzato in virtù di procura rilasciata dal presidente"). Il loro accoglimento non può, peraltro, in alcun modo condurre alla auspicata cassazione della sentenza impugnata, per i motivi che verranno illustrati di qui a breve.

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2730, commi 1 e 2, art. 2135, comma 1, art. 2733, commi 1 e 2. Omissione e/o insufficienza e/o illogicità della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il motivo è patentemente inammissibile.

Esso si conclude, difatti, con 4 quesiti di diritto che, oltre alla evidente eterogeneità che li caratterizza, non costituiscono altro che la pedissequa ripetizione della esposizione fattuale che li precede, senza integrare in alcun modo e in alcun momento quel necessario momento di sintesi per astrazione indispensabile alla loro ammissibilità, come più volte affermato da questa corte regolatrice.

Il vizio di difetto di motivazione, da suo canto, non viene in alcun modo sintetizzato nella chiara indicazione del fatto controverso, in spregio all’insegnamento delle sezioni unite di questa corte, che hanno specificato (Cass. ss.uu. 20603/07) l’esatta portata del sintagma "chiara indicazione del fatto controverso" in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione: la relativa censura deve contenere, cioè, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

Sintesi che, nella specie, manca del tutto anche sotto tale, ulteriore profilo.

Con il quarto motivo, si denuncia una ulteriore violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2730 c.c., commi 1 e 2, art. 2735 c.c., comma 1, art. 2733 c.c., commi 1 e 2, artt. 2702 e 2703 c.c., art. 2697 c.c., commi 1 e 2.

La doglianza (che contiene a sua volta quesiti di diritto ai limiti dell’inammissibilità) non può essere accolta. Essa lamenta, difatti, un presunto malgoverno, da parte del giudice del merito, delle regole, sostanziali e processuali, dettate in tema di confessione, giudiziale e stragiudiziale.

Malgoverno nella specie del tutto impredicabile, volta che il tribunale, in applicazione di una condivisibile e condivisa giurisprudenza di questa corte regolatrice, ha negato natura confessoria (non rileva in questa sede se di natura giudiziale o stragiudiziale, essendone comunque esclusa in radice la relativa portata), alla dichiarazione secondo la quale il mutuo era stato estinto e doveva conseguentemente procedersi alla cancellazione dell’ipoteca.

Tale dichiarazione, difatti, era destinata a dipanarsi sul piano meramente effettuale rispetto al suo contenuto (assunto dalla ricorrente come confessorio), attenendo essa ad una conseguenza giuridica, e non già al fatto materiale da cui la stessa sarebbe dovuta derivare: in termini del tutto analoghi, e in relazione a fattispecie perfettamente sovrapponibile a quella oggi sottoposta all’esame del collegio quoad effecta, la pronuncia di questa stessa sezione n. 2819 del 1999 ha affermato, in motivazione, un principio di diritto – il dichiarante non ha affermato un fatto (l’adempimento) bensì un effetto giuridico (l’estinzione dell’obbligazione riconducibile ad un fatto giuridico che rimane peraltro imprecisato), onde la sua dichiarazione non può comunque concretizzare una confessione, la quale ha per oggetto fatti e non conseguenze giuridiche – cui il collegio intende dare senz’altro continuità.

Con il quinto motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2132 c.c. e art. 1373 c.c., comma 1;

mancanza e/o insufficienza della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La censura – che attiene all’ulteriore aspetto della manifestazione di volontà dell’ente in ipotesi viziata da errore – deve ritenersi assorbito dal rigetto del motivo che precede, alla luce dell’esclusione di qualsiasi portata confessoria delle dichiarazioni in esame.

Con il sesto motivo (erroneamente rubricato come quinto, al folio 33 del ricorso), si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2726 c.c., art. 2121 c.c., commi 1 e 2, art. 244 ss. c.p.c. e di ogni norma e principio in materia di ammissione e assunzione della prova testimoniale; insufficienza, illogicità e contraddittorietà della motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio.

Il motivo – che lamenta una pretesa, illegittima rilevazione officiosa, da parte del tribunale, della inammissibilità della deposizione dei due testi addotti dalla odierna ricorrente nel corso del giudizio di merito – è palesemente infondato, avendo il giudice territoriale rilevato in punto di fatto – e senza incorrere in alcun vizio logico o giuridico nel motivare il proprio assunto – che, dalle due deposizioni, non era desumibile alcuna valida prova circa i pretesi pagamenti del mutuo da parte della debitrice.

Trattasi, all’evidenza, di una valutazione di fatto afferente alla disciplina e al regolamento dell’acquisizione delle prove in seno al processo, attività che, ove immune, come nella specie, da vizi logico-giuridici, si sottrae irredimibilmente allo scrutinio di legittimità di questa corte regolatrice, mentre, quanto alla pretesa incapacità a testimoniare dei funzionar dell’ente oggi resistente, deve dirsi ius reception di questo giudice di legittimità il principio secondo il quale non di astratta ammissibilità, bensì di concreta attendibilità è lecito discorrere in casi consimili.

Con il settima motivo (erroneamente rubricato come sesto, al folio 36 del ricorso), si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2781 c.c.; insufficienza e/o illogicità della motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il motivo, che ripropone pedissequamente una doglianza già svolta in sede di giudizio di merito a proposito della pretesa scadenza dell’iscrizione ipotecaria (e si conclude anch’esso con un quesito di diritto ai limiti dell’inammissibilità), è palesemente infondato, avendo il tribunale già correttamente stabilito che la questione dell’iscrizione ipotecaria deve ritenersi estranea al procedimento di opposizione all’esecuzione sì come proposto e strutturato dall’odierna ricorrente, poichè vicenda tale da non comportare alcuna contestazione dell’esistenza del credito (ratio motivazionale, questa, che esime dall’analisi della seconda ratio decidendi, costituita dalla circostanza per cui, giusta disposto dell’art. 2847 c.c., l’iscrizione ipotecaria conserva efficacia per vent’anni, onde, risalendo l’iscrizione originaria al giugno del 1987, ed essendo stata la stessa rinnovata nell’aprile del 2002, nessuna estinzione appariva nella specie predicabile).

Il rigetto dell’ottavo motivo, afferente alle spese di giudizio, consegue ipso facto all’integrale rigetto del ricorso.

La disciplina delle spese di questo giudizio segue, a sua volta, – giusta il principio della soccombenza – come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 4200, di cui Euro 200 per spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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