Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-07-2011) 17-10-2011, n. 37476 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Il G.I.P. del Tribunale di Torino, con sentenza del 18.7.2003 pronunziata in esito a giudizio celebrato con rito abbreviato, affermava la responsabilità penale di R.A. e V. F., e li condannava alle pene ritenute di giustizia, per i seguenti reati:

– R.: per il delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, quale promotore, organizzatore e capo dell’associazione stessa, operante nelle province di Novara, Verbania, Varese e Milano dalla primavera del 1997 al marzo 2000 (capo a); per varie ipotesi di cui allo stesso D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (capi b, c, d, z); per varie ipotesi di porto e detenzione di illegali di armi anche clandestine, compresa un’arma da guerra (capi h, i, l, m, n, o, p, q); per aver tollerato che in un locale da lui gestito venisse esercitata abitualmente la prostituzione nonchè per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione (capo t); per lesioni volontarie gravi (capo u); per danneggiamento aggravato (capo v);

– V. per l’indicato delitto associativo, quale partecipe (capo a), e per alcune ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (capi f, g).

La Corte di appello di Torino, con sentenza del 28.5.2004, in parziale riforma della sentenza di primo grado:

– assolveva R. dal reato di sfruttamento aggravato della prostituzione di cui al capo t), confermando le altre ipotesi contestate nella medesima imputazione;

– escludeva, in relazione al capo a), l’aggravante del numero degli associati pari o superiore a dieci ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 3) e, in relazione ai capi a) e b), l’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, stesso D.P.R.;

– riduceva le pene rispettivamente inflitte a R. e a V.;

– rigettava gli appelli nel resto.

La Corte di merito – dopo aver rilevato che il presente processo si riferisce ad una parte soltanto delle vicende che hanno dato luogo ad analoghi procedimenti anche presso altre autorità giudiziarie – confermava sostanzialmente l’individuazione degli elementi di responsabilità operata dal primo giudice, che aveva accertato come i ricorrenti fossero inseriti in un gruppo criminoso (di cui R. era capo, promotore e organizzatore) che gestiva due locali notturni in Stresa e in Oleggio costituenti le basi per un traffico di cocaina importata dalla Spagna e dalla Colombia ed altresì utilizzati per un’attività di favoreggiamento della prostituzione. Gli associati disponevano di un’ingente somma di danaro e di varie armi tra cui un fucile mitragliatore kalashnikov.

Gli elementi di prova venivano individuati dalle sentenze di merito – oltre che nell’esito delle indagini svolte, nel contenuto delle conversazioni intercettate e dei verbali di sequestro – nelle dichiarazioni di C.G. (coimputato e imputato di reati connessi in separato processo), in quelle del coimputato V., attuale ricorrente, e in quelle del coimputato T. F., dei quali tutti veniva ritenuta l’attendibilità intrinseca e per le dichiarazioni dei quali si indicava l’avvenuta acquisizione di riscontri estrinseci.

Sul ricorso proposto dal R. e dal V., la 4 Sezione di questa Corte Suprema:

– con la sentenza n. 7673 del 3.3.2006 (ud. pubbl. del 12.12.2005) – annullava la sentenza 28.5.2004 della Corte territoriale, disponendo (con provvedimento di correzione di errore materiale del 27.4.2006) il rinvio ad altra sezione di quella Corte in ordine:

– al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, ascritto ad entrambi al capo a) dell’imputazione;

– al reato ascritto al R. al capo d) dell’imputazione (detenzione, a fini di spaccio, di circa 500 grammi di cocaina, in concorso con il figlio G.);

– alla omessa valutazione delle circostanze attenuanti generiche riconosciute al V. dal giudice di primo grado.

La Corte di appello di Torino, giudicando in sede di rinvio, con sentenza del 2.10.2009:

– assolveva il R., per insussistenza dei fatto ex art. 530 cpv. c.p.p., dal reato ascrittogli al capo d) dell’imputazione;

– confermava l’affermazione di responsabilità, per R. e V., in ordine al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, esclusa l’aggravante del numero delle persone e quella di cui all’art. 80, comma 2, stesso D.P.R.;

– determinava le pene: per il R., in anni 10, mesi 7 di reclusione; per il V. – riconosciuto il vincolo della continuazione con i fatti giudicati dalla Corte di appello di Milano con sentenza del 22.5.1998, irrevocabile il 13.10.1998 – nell’aumento di mesi 8 di reclusione della pena già inflittagli con quella sentenza (eliminando la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici).

Avverso questa seconda sentenza della Corte torinese, hanno proposto nuovamente ricorso per cassazione i difensori degli imputati.

– per V. sono stati eccepiti violazione della legge processuale e vizio di motivazione in punto di determinazione della pena, sull’assunto che la Corte territoriale, avendo riconosciuto il vincolo della continuazione con i fatti giudicati dalla Corte di appello di Milano con sentenza del 22.5.1998, "non ha indicato quale dei reati in contestazione abbia ritenuto più grave nè quali munenti in continuazione abbia stabilito".

– per R. sono state svolte le seguenti eccezioni:

a) Il giudice del rinvio non si sarebbe correttamente attenuto ai principi fissati dalla Corte di Cassazione, in quanto, "senza disporre alcuna rinnovazione istruttoria e senza operare alcuna nuova acquisizione probatoria, ha riproposto sostanzialmente le identiche argomentazioni di fondo esposte nella decisione di primo grado", non aggiungendo alcun elemento di novità.

In particolare, non sarebbero stati indicati elementi concreti per la individuazione di un vincolo associativo con carattere di stabilità e di permanenza tra i membri del sodalizio, costituente l’affectio societatis scelerum, e di una struttura organizzativa avente propria autonomia e funzionalità rispetto all’attuazione di un numero tendenzialmente indeterminato di reati concernenti il traffico di stupefacenti.

Sarebbero rimaste perciò prive di adeguata valutazione critica le argomentazioni difensive riferite:

– all’assenza di elementi di prova in ordine a fonti stabili, sistematiche e precostituite di approvvigionamento dello stupefacente dall’estero, non essendo stato in alcun modo individuato il canale di fornitura spagnolo nè quello colombiano;

– alla mancanza della necessaria sodalità tra i pretesi partecipi all’associazione criminale, non essendo stata individuata una qualsiasi suddivisione di ruoli ed essendo emersa, invece, la presenza di contrapposizioni personali;

– alla carenza di una materiale organizzazione di mezzi, tenuto anche conto che il danaro rinvenuto è stato trovato nella materiale ed esclusiva disponibilità del R., sì da avvalorare la configurazione di un’autonomia gestionale e di una iniziativa esclusivamente personalistica dello stesso nella commissione di singoli reati, nei quali altri soggetti erano stati coinvolti in modo occasionale, eteronomo e comunque privo di continuità e sistematicità;

– alla mancanza di rapporti tra il R. e la maggior parte dei pretesi associati;

– alla equivocità dimostrativa degli ulteriori elementi valutati in chiave accusatoria, essendo invece essi "pienamente compatibili con altre alternative ricostruzioni dei fatti". b) Il giudice del rinvio, in violazione dell’art. 238-bis c.p.p., avrebbe illegittimamente utilizzato a fini probatori, nel presente giudizio, altra sentenza della Corte di appello di Torino, emessa in data 10.5.20O2 e divenuta irrevocabile: mancherebbe, infatti, la specifica indicazione di singoli fiuti materiali, accertati in quella decisione, ritenuti idonei ad assumere, in presenza di conferme corroboranti, valore probatorio nel presente giudizio.

La difesa del R. ha ulteriormente illustrato gli anzidetti motivi di ricorso con memoria del 24.6.2011.

Motivi della decisione

Entrambi i ricorsi devono essere rigettati, perchè infondati.

1. Infondato è, anzitutto, il ricorso del V..

La Corte territoriale, infatti, nel riconoscere il vincolo della continuazione con i fatti giudicati dalla Corte di appello di Milano con sentenza del 22.5.1998 (irrevocabile il 13.10.1998), ha ritenuto ad evidenza "più gravi" le violazioni già giudicate e deve altresì ribadirsi la giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo la quale, in tema di applicazione della pena nel reato continuato, la distinta applicazione dei singoli aumenti per i diversi reati satelliti – sebbene non sia vietata ed anzi sia utile perchè rende meglio evidenti le ragioni che concorrono a formare l’aumento complessivo e rende più speditamente applicabili vari istituti penali, quali eventuali cause estintive dei reati o delle pene – tuttavia non è prevista nè richiesta dalla legge; sicchè l’indicazione, in materia unitaria e complessiva, dell’aumento di pena per i reati satellite non provoca nullità od irregolarità di alcun genere (vedi Cass.:

sez. 5, 24.2.20U, n. 7164, De Felice; sez. 2, 1.9.2010, n. 32586, Ben Ali; sez. 1, 26.1.2010, n. 3100, Amatrice ed altri; sez. 3:

7.12.2004, n. 47420, Cutarelli).

Questa Corte ha pure affermato che la possibilità, per il giudice di merito, di calcolare gli aumenti di pena, per i reati ritenuti in continuazione di quello più grave, anzichè in modo unitario, in quantità correlative a ciascuno di tal reati entro il limite massimo complessivamente previsto dalla legge, costituisce una semplice facoltà e non un obbligo, dato che la legge, coerentemente alla teoria del cumulo giuridico cui essa si ispira, si riferisce ad un aumento unitario, quale che sia il numero dei reati ritenuti in continuazione e senza pregiudicare l’autonoma loro individualità a tutti gli altri effetti (Cass., Sez. 6, 16.1.1991, n. 403, Marra ed altri).

2. In riferimento alle eccezioni formulate nel ricorso del R. circa la configurabilità del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 (ascrittogli nella qualità di promotore, organizzatore e capo), appare opportuno premettere che, per quanto riguarda la valutazione delle dichiarazioni rese, nel presente processo, dai coimputati o imputati in procedimenti connessi ( C. G., T.F. ed il coimputato V.), la 4^ Sezione di questa Corte, con la precedente sentenza di annullamento con rinvio, ha già affrontato e risolto le questioni poste dalla difesa attinenti alla credibilità soggettiva dei dichiaranti, all’attendibilità delle loro dichiarazioni e all’esistenza di riscontri esterni.

3. Deve rilevarsi, quindi, che il GIP. del Tribunale di Torino aveva ritenuto la sussistenza reato associativo, richiamando le dichiarazioni di C. e V., il contenuto delle conversazioni intercettate, i controlli e altri atti di polizia giudiziaria che, secondo la sentenza di primo grado, dimostravano resistenza di una stabile struttura organizzata diretta al traffico di stupefacenti con approvvigionamenti in Spagna e Colombia e importazione in Italia, avvalendosi pure della complicità di due agenti di polizia che fornivano assistenza anche attraverso l’agevolazione dell’ingresso dei corrieri in Italia.

Il giudice di primo grado aveva individuato altresì la ripartizione dei ruoli tra gli associati e aveva indicato le ragioni che consentivano di attribuire al R. la qualità di capo del sodalizio criminoso, spiegando pure i motivi che inducevano a ritenere che l’ingente somma di danaro (quasi 500 milioni di lire) rinvenuta nella sua abitazione costituisse il provento e la somma disponibile per lo svolgimento ulteriore dell’attività di spaccio.

3.1 La 4^ Sezione di questa Corte, però, con la sentenza n. 7673/2006, aveva rilevato che la decisione allora sottoposta all’esame di legittimità era "sostanzialmente silente" sulle censure formulate contro l’affermazione di responsabilità per il reato associativo, in quanto nella motivazione:

– ci si limitava a richiamare l’esito di altri filoni investigativi e processuali conclusisi con sentenze di cui neppure si specificava se fossero o meno passate in giudicato e neppure si indicavano i nomi delle persone che erano state ritenute far parte dell’associazione;

– nel richiamare le altre sentenze si ometteva, però, di indicare in quali punti di quelle decisioni potessero tranci elementi di prova;

– nulla si diceva sulla esistenza della struttura organizzata, sia pure di natura rudimentale, nè sulla stabilità del vincolo che legava i partecipi, sì da avere conferma che non di concorso nei singoli reati si trattava ma di un sodalizio i cui appartenenti erano legati da un vincolo stabile. Si era dunque in presenza di mancanza di motivazione sulle censure formulate dal ricorrente in merito alla configurazione delle caratteristiche indispensabili perchè potesse affermarsi l’esistenza dell’associazione criminosa.

Ricorreva inoltre la violazione dell’art. 238-bis c.p.p., perchè erano state utilizzate, ai fini della prova dei fatti, sentenze delle quali neppure era stato accertato l’eventuale passaggio in giudicato (potendosi dedurre dalla sentenza di primo grado che solo la sentenza 10 maggio 2002 della Corte di appello di Torino sarebbe divenuta definitiva).

Le eccezioni riferite alla qualità di promotore, organizzatore e capo dell’associazione attribuita al R. erano state ritenute assorbite nella decisione di annullamento, osservandosi che, solo in caso di accertamento positivo sull’esistenza dell’associazione e sull’averne il R. fatto parte, il giudice del rinvio avrebbe dovuto esaminare, sulla scorta dei motivi di appello, quale ruolo in ipotesi rivestisse quell’imputato all’interno del sodalizio criminoso.

3.2 L’annullamento della sentenza nei confronti del R., relativamente all’esistenza dell’associazione (non alla partecipazione) ha comportato – in virtù del disposto dell’art. 587 c.p.p., comma 1, – l’annullamento della statuizione in essa contenuta anche nella parte riferita alla posizione di V., che è stata demandata alla valutazione dei giudici del rinvio "quanto all’esistenza dell’associazione, non diversamente da quanto sarà necessario per la posizione R.". 4. A fronte delle anzidette statuizioni della sentenza n. 7673/2006, osserva il Collegio che il giudice di rinvio si è correttamente uniformato ai criteri di valutazione delle prove indicati da questa Corte Suprema nella decisione di annullamento ed ha giustificato il proprio convincimento secondo lo schema ivi esplicitamente enunciato.

La Corte di merito in particolare – quanto all’esistenza di una "stabile organizzazione" tra i membri del sodalizio (sì da escludere la prospettazione difensiva di un R. autoreferente, che avrebbe fatto tutto da solo o si sarebbe avvalso di collaborazioni occasionali) – ha razionalmente evidenziato che i locali notturni "Caprice" di Oleggio e "Paon Dorè" di Stresa si ponevano come le basi logistiche della stessa e, per la loro gestione, era stata anche formalmente costituita una società tra R., C. e M.B. ("nucleo di base" intorno al quale si è avuta l’aggregazione degli altri soggetti). Esauriente deve ritenersi, al riguardo, l’esame delle chiamate in correità e delle intercettazioni ambientali e telefoniche eseguite.

Coerentemente è stata ritenuta sintomatica, in particolare, la intercettata conversazione intercorsa tra R. e P. R.J.H., nell’ufficio del "Paon Dorè", la notte del 18 giugno 1999 (integralmente trascritta nella sentenza di primo grado), nel corso della quale il R. evidenzia all’interlocutore l’intendimento di continuare a lavorare soltanto "con gli amici che dispongono subito di contante", che "non parlano" e dimostrano affidabilità nei pagamenti: con ciò evidenziando di avere acquisito da tempo una rete di spacciatori fidati su cui poter contare. Con riferimento, poi, alle vendite delle sostanze stupefacenti, egli parla al plurale ("la vendiamo per contanti") e si riferisce anche al cambio di valuta in moneta americana (necessario per pagare la cocaina importata) usando l’espressione "porto tre, quattro persone a ritirarle" (persone il cui reperimento era stato affidato al C. allo scopo di evitare le segnalazioni previste dalle disposizioni valutarie). Emergono pure, in quella conversazione, la affermata necessità di "mirata" programmazione degli acquisti e la indispensabilità di effettuare le comunicazioni con il sistema delle schede telefoniche "vergini" per eludere i controlli.

Secondo le ammissioni del V., egli e Ma.Ez.Ma.

(coimputato non appellante) provvedevano alla custodia ed alla vendita al dettaglio di quantitativi di cocaina, forniti con cadenza settimanale nelle zone di Arona, Castelletto, Sesto Calende e Dormelletto.

Razionalmente poi la ingente somma di 500 milioni di lire (rinvenuta in un vano posto sotto il letto in casa del R., chiuso da sportello con dispositivo telecomandato) è stata considerata disponibilità finanziaria proveniente dall’attività delittuosa organizzata ed utilizzabile per perseguire ancora le finalità associative, tenuto conto che lo stesso R. operava su normali conti correnti in relazione ai proventi delle proprie attività che non dovevano essere celate.

Quanto alle fonti di approvvigionamento, deve ricordarsi che si è formato il giudicato in ordine all’affermazione della responsabilità del R. (in concorso con il figlio G. e C.) circa l’acquisto e l’importazione di cocaina dalla Colombia e dalla Spagna (capo b della rubrica).

Risulta fornita, in conclusione, la dimostrazione di: una sistematica attività di importazione e successiva distribuzione di cocaina in Piemonte ed in Lombardia; un’azione effettiva di direzione e di raccordo posta in essere dal R. nell’organizzazione del traffico e delle modalità di pagamento della sostanza stupefacente importata; l’affidamento ad accoliti fedeli di metodiche attività di distribuzione per lo spaccio in ambiti territoriali definiti; una notevole disponibilità finanziaria alla quale poteva attingersi prontamente e senza lasciare traccia; una presenza di più armi, anche clandestine, tra le quali un fucile mitragliatore kalashnikov.

Nella sentenza impugnata viene specificato, infine – con perfetta adesione a quanto può verificarsi in concreto – che la sentenza della Corte di appello di Torino, emessa in data 10.5.2002 e divenuta irrevocabile, deve ritenersi richiamata "solo in quanto di convergente rilievo in aggiunta ai plurimi elementi di prova acquisiti" nel presente processo.

5. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti, singolarmente, al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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