T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 16-11-2011, n. 2757 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Comune di Osnago ha ordinato ai ricorrenti di ripristinare l’area sulla quale i medesimi hanno realizzato un parcheggio per camion mediante lo spianamento e la copertura dell’area con ghiaia senza titolo autorizzatorio in area di parco. Ha poi respinto l’istanza di sanatoria per contrasto con il piano di Parco reiterando quindi l’ordinanza di demolizione.

Contro i suddetti atti i ricorrenti, con il primo ricorso, sollevano i seguenti motivi in fatto ed in diritto.

I) Violazione dell’art. 4 L. 493/93 in quanto le opere non sarebbero soggette a concessione edilizia ma solo a denuncia di inizio attività e in ogni caso sarebbero assoggettabili solo a sanzione pecuniaria.

II) Le opere realizzate non costituiscono opera edilizia assoggettabile a concessione ma al massimo ad autorizzazione edilizia.

III) Violazione delle n.t.a. del Piano del Parco in quanto l’area benché a destinazione agricola non l’avrebbe in concreto mai avuta e sarebbe una pertinenza dell’abitazione principale. Quindi non sussisterebbe alcuna alterazione dell’ambiente forestale ed agrario.

IV) Violazione dell’art. 7 c. 6 L. 47/1985 in quanto le opere non potrebbero essere acquisite al patrimonio del Comune ma a quello della Regione.

La difesa comunale sostiene che l’area: è inserita in zona "agricola di valore ambientale e paesaggistica" nella quale sono ammessi solo interventi finalizzati al mantenimento ed alla qualificazione delle attività agricole ed alla tutela e valorizzazione ambientale; è inoltre compresa nella fascia di rispetto dei corsi d’acqua; è compresa in un sito di interesse comunitario. Chiede quindi la reiezione del ricorso in quanto le opere realizzate sarebbero abusive sia dal punto di vista formale che sostanziale.

2. Con l’ordinanza impugnata con il secondo ricorso il Consorzio di Gestione del Parco Naturale di Montevecchia e della Valle del Curone ha imposto ai ricorrenti la rimessione in pristino dell’area trasformata a parcheggio camion.

Contro il suddetto atto i ricorrenti sollevano i seguenti motivi di ricorso.

I) Incompetenza in quanto l’atto spetterebbe al Sindaco del Comune interessato dalle opere abusive.

II) La modifica dell’area sarebbe stata eseguita prima della costituzione del Parco ed in ogni caso sussisterebbe compatibilità con il piano.

III) Violazione dell’art. 29 della L.R. 39/1995 ed eccesso di potere in quanto si tratterebbe di un movimento terra che non ha inciso sul paesaggio od ha creato pericoli per i pendii.

IV) Eccesso di potere in quanto nel frattempo la ghiaia sarebbe stata rimossa.

L’amministrazione non si è costituita.

3. Con il ricorso RG 3730/1998 i ricorrenti impugnano in via principale l’ordinanza del Sindaco 28/11/1995 ed il provvedimento di accertamento dell’inottemperanza e di demolizione d’ufficio 28 agosto 1998 n. 7151.

Contro il suddetto atto i ricorrenti, con il terzo ricorso, sollevano i seguenti motivi in fatto ed in diritto.

I) Violazione dell’ordinanza di sospensione in quanto la sospensione dell’acquisizione gratuita al patrimonio impedirebbe la demolizione d’ufficio delle opere realizzate sull’area.

II) Incompetenza in quanto i provvedimenti in questione spetterebbero al Consorzio del Parco.

III) Violazione di legge ed eccesso di potere in quanto il mutamento dell’area non sarebbe tale richiedere titolo edilizio.

Chiede quindi la rimessione in termini per l’impugnazione dell’ordinanza del Sindaco 28/11/1995 in considerazione della mancata indicazione del termine per ricorrere e dell’autorità cui ricorrere. Sostiene quindi che il termine non sarebbe decorso per la società F.lli D. s.n.c. in quanto l’atto non le sarebbe stato notificato. Chiede quindi il risarcimento dei danni.

Il Comune chiede la reiezione del ricorso.

3.1 Successivamente, nel 2002, il Comune ha rilevato che il parcheggio è stato nuovamente modificato nel sedime (da ghiaia ad inerti) oltre all’aggiunta di un cancello e di due punti luminosi ed ha emanato una nuova ordinanza di demolizione.

Contro il suddetto atto i ricorrenti, nel terzo ricorso, sollevano i seguenti motivi aggiunti in fatto ed in diritto.

I) Premessa la disponibilità dei ricorrenti a rimuovere gli inerti sparsi sul suolo, gli ulteriori atti non comporterebbero trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio.

II) Compatibilità delle opere con il Piano del Parco.

III) Difetto di comunicazione di avvio del procedimento.

Il Comune chiede la reiezione del ricorso.

4. Il Comune ha da ultimo respinto la richiesta di permesso di costruire in quanto la creazione di una struttura in cemento a griglia sul piano di calpestio non permetterebbe di ricondurre alla funzione agricola l’area in questione.

Contro il suddetto atto il ricorrente, con il quarto ricorso, solleva i seguenti motivi in fatto ed in diritto.

I) Violazione dell’art. 10 bis della L. 241/90.

II) Difetto di motivazione in quanto il ripristino della funzione agricola non sarebbe possibile in quanto l’area non sarebbe mai stata adibita a tale funzione. Inoltre secondo il piano del Parco i piazzali debbono essere realizzati con materiali filtranti, così come previsto nel progetto presentato.

Da ultimo la richiesta di permesso a costruire "in sanatoria" varrebbe a rendere inefficace l’ordine di demolizione già emanato.

Il Comune non si è costituito.

All’udienza del 4 ottobre 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

In via preliminare occorre disporre la riunione dei ricorsi in epigrafe in quanto connessi da punto di vista oggettivo.

1. Il primo ricorso, 2233/95, è, in parte, infondato e, in parte, improcedibile.

Con riferimento al primo motivo di ricorso occorre rilevare che la giurisprudenza ha chiarito che dopo l’art. 1 della legge n. 10/77, che impone di munirsi di concessione edilizia per tutte quelle attività consistenti in una modificazione dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale ed alla sua qualificazione giuridica, occorre il rilascio del titolo concessorio allorché lo spargimento di ghiaia su un’area che ne era priva appaia preordinato alla trasformazione permanente del suolo inedificato (cfr., da ultimo, CdS, V, 22.12.2005 n. 7324).

Dagli atti del ricorso RG 125/1998 risulta il verbale di sopralluogo del tecnico comunale in data 22.02.1995 dal quale si desume che i lavori eseguiti sono " lo spianamento, inghiaiamento e rullatura del terreno" con correzione della pendenza del piazzale e l’utilizzo dell’area per il parcheggio di camion. Si tratta quindi di interventi di carattere definitivo comportanti una irreversibile mutazione dello stato dei luoghi con modificazione ontologica della sua destinazione, che richiedono il rilascio della concessione edilizia.

Infatti il bene così trasformato si presta ad un uso non precario e temporaneo, secondo la nozione funzionale di precarietà accolta dalla legge e dalla giurisprudenza edilizio (cfr Tar Lazio Roma sez. II 3/2/2006 n.780; Tar Sardegna Sez. II 27/9/2006 n.2013; Tar Campania Napoli Sez. IV 28/2/2006 n.2451), ed è incompatibile con gli usi previsti dalla pianificazione dell’area.

In particolare deve escludersi che le suddette opere rientrino nella previsione del DL 27/3/95 n.88 art.8, secondo il quale sono soggette a d.i.a. le occupazioni di suolo mediante deposito di materiali ed esposizioni di merci a cielo libero, come invece affermato dal ricorrente.

Infatti non si tratta di una mera occupazione di suolo bensì una vera e propria trasformazione dello stesso di carattere stabile.

Ne consegue che lo spargimento di ghiaia in questione non poteva essere realizzato senza titolo edilizio e richiedeva in particolare il rilascio di concessione edilizia con la conseguenza che la sanzione demolitoria è legittima.

Il secondo motivo di ricorso è infondato in quanto, sebbene la realizzazione di un parcheggio non costituisca propriamente una costruzione, l’estensione del controllo edilizio dagli edifici veri e propri, menzionati nel primo comma dell’art. 31 della legge urbanistica n. 1150/1942 come sostituito dall’art. 10 della legge 6 agosto 1967, n. 765, ad "ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia" fu opera della L. 10/1977, che introdusse una nozione allargata di edilizia comprendente ogni attività che comporti la trasformazione del territorio attraverso la esecuzione di opere comunque attinenti agli aspetti urbanistici ed edilizi, ove il mutamento o l’alterazione abbiano un qualche rilievo ambientale, estetico o anche funzionale. Quindi non solo ogni cambiamento della situazione edilizia preesistente (creazione di nuove costruzioni, ampliamento, modifiche, ristrutturazioni, opere di urbanizzazione, mutamento di destinazione degli edifici, ecc.) ma anche del suolo inteso in tutti i suoi possibili significati costituisce opera soggetta al rilascio di titolo edilizio.

In secondo luogo le opere realizzate non rientrano nell’attività di straordinaria manutenzione, risanamento, restauro conservativo per la quale era sufficiente, ai sensi dell’art. 48 l. 5 agosto 1978 n. 457, la semplice autorizzazione del sindaco.

Il terzo motivo di ricorso è infondato in quanto la violazione consiste nella realizzazione di opere che sono in contrasto con la destinazione d’uso stabilita dagli atti di pianificazione, indipendentemente dall’uso di fatto dell’area. Ne consegue che deve ritenersi sussistente la violazione della pianificazione urbanistica ed ambientale dell’area indipendentemente dal fatto, comunque non provato, che l’area fosse da tempo destinata a parcheggio.

A ciò si aggiunge che secondo la nota distinzione tra agricoltura come produzione e agricoltura quale protezione, la giurisprudenza costante (T.A.R. Lazio, sez. I, 19 luglio 1999, n. 1652; Consiglio di Stato sez. IV, 12 marzo 2007, n. 1191) ritiene irrilevante il fatto che un’area con destinazione a verde non sia di fatto destinata all’uso agricolo, come lamentato dai ricorrenti, in quanto la destinazione a verde agricolo prevista dal P.R.G. per alcune zone ben può essere funzionale alla conservazione di valori naturalistici, non richiedendo necessariamente la finalizzazione ad interessi dell’agricoltura.

Il quarto motivo è inammissibile in quanto non sussiste interesse dei ricorrenti a contestare il soggetto al quale debba essere devoluta l’area in caso d’inottemperanza.

Infatti gli aspetti dell’azione amministrativa successivi all’acquisizione del bene alla mano pubblica non comportano alcuna lesione della sfera del ricorrente.

Ne consegue quindi che il ricorso contro il diniego di titolo edilizio in sanatoria va respinto con conseguente riconoscimento del carattere sostanziale e non solo formale dell’abuso edilizio realizzato.

Deve poi riconoscersi che il ricorso proposto contro il provvedimento demolitorio in data 05.01.1995 è improcedibile, essendo venuta meno l’efficacia dell’ordine repressivo impugnato a seguito della proposizione della domanda di sanatoria.

2. Il secondo ricorso, 125/1998, è infondato.

Il primo motivo di ricorso è infondato in quanto le sanzioni amministrative di cui all’art. 28 della L.R. 86/83, ancor oggi in vigore, e le sanzioni amministrative di cui all’art. 15 della L. 1497/39 hanno quale presupposto la violazione di differenti normative (rispettivamente la L.R. 86/83 e la L.R. 1497/39 e 431/85) e diversi sono sia i soggetti competenti all’irrogazione delle sanzioni sia le relative procedure sia il tipo di sanzione da applicare.

Infatti la competenza del legale rappresentante dell’organismo di gestione dell’area naturale protetta a disporre la riduzione in pristino dei luoghi in caso di attività, inclusa quella edilizia, non conforme al regolamento del Parco, al piano per il Parco, o al nulla osta preventivo, trova fondamento nell’art. 29, l. 6 dicembre 1991 n. 394 ("legge quadro sulle aree protette") (T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 22 aprile 2003, n. 329).

Tale legge ha come scopo la difesa degli ecosistemi, che è materia diversa dal paesaggio (lettera s) del secondo comma dell’art. 117 Cost).

In secondo luogo il verbale delle guardie ecologiche ha accertato la modificazione di aree naturali con conseguente competenza del Consorzio.

Il secondo motivo è infondato in quanto l’esistenza di un uso a parcheggio precedente all’istituzione del Parco è solo affermata e non provata.

In secondo luogo l’uso precedente, anche se provato, non può giustificare la sua modificazione od ampliamento, come risulta dal verbale delle guardie ecologiche, che fa riferimento a lavori di sbancamento e di ammasso di terra in area boschiva in corso (in questo senso v. anche il verbale di sopralluogo del tecnico comunale in data 22.02.1995), per i quali non esiste alcuna prova, che è a carico dei privati, della loro realizzazione in data anteriore all’istituzione del Parco.

In terzo luogo, avendo i ricorrenti pagato la sanzione pecuniaria, non contestata neppure avanti al giudice ordinario, come risulta dalla sentenza del Pretore di Lecco agli atti, essi ammettono la violazione perpetrata.

Il terzo motivo di ricorso è infondato in quanto sussiste l’alterazione della morfologia originaria dei luoghi ai sensi dell’art. 29 delle n.t.a. del Parco, che giustifica l’applicazione della sanzione.

Il quarto motivo è infondato in quanto l’asserita rimozione delle ghiaia non può considerarsi sufficiente al ripristino dello stato dei luoghi.

In definitiva quindi il ricorso va respinto.

3. Il ricorso RG 3730/1998 è in parte irricevibile, in parte inammissibile ed in parte fondato.

In primo luogo deve rilevarsi la tardività dell’impugnazione dell’ordinanza del Sindaco 28/11/1995 in quanto, sebbene la mancata indicazione del termine per ricorrere e dell’autorità cui ricorrere possa costituire astrattamente una causa di rimessione in termini, non sussiste nel caso in questione la scusabilità dell’errore in quanto i ricorrenti avevano già impugnato nei termini analoghi provvedimenti, con la conseguenza che erano già a conoscenza dell’onere di impugnazione tempestiva degli ordini di demolizione.

Per quanto riguarda poi l’impugnazione della ditta F.lli D. s.n.c., essa è inammissibile per carenza originaria di interesse a ricorrere.

Infatti non essendo stata notificata l’ordinanza alla ditta essa non può produrre effetti nei suoi confronti. Infatti il danno che la ditta deve sopportare per l’impossibilità di parcheggiare sull’area è un danno indiretto che non la legittima all’impugnazione in quanto gli atti sanzionatori edilizi sono diretti solo nei confronti degli autori dell’illecita modificazione dei suoli e dei proprietari.

Né la suddetta ditta può tentare di recuperare tale legittimazione affermando di essere in realtà il responsabile dell’abuso (pag. 10 del ricorso principale).

Infatti nei precedenti ricorsi i ricorrenti D. e B. si sono assunti la paternità delle opere, come si desume chiaramente dalla contestazione nel merito e non nella legittimazione passiva dei precedenti ordini di demolizione.

Poiché l’ordinanza del Sindaco 28/11/1995 è meramente confermativa della precedente per quanto riguarda gli abusi contestati deve quindi ritenersi che la società F.lli D. non possa "recuperare" una legittimazione processuale e superare la tardività del ricorso mediante una tardiva ammissione di responsabilità non suffragata da prove concrete (fermo restando comunque l’esito delle precedenti impugnazioni).

Il ricorso dei signori B. e D. contro l’ordinanza del Sindaco 28/11/1995 dev’essere quindi dichiarato irricevibile per tardività, mentre quello della ditta F.lli D. dev’essere dichiarato inammissibile per carenza originaria di interesse a ricorrere.

Venendo ora all’impugnazione del provvedimento di demolizione e ripristino d’ufficio 28 agosto 1998, essa è fondata.

L’art. 7 della legge 47/1985 stabilisce che "l’opera acquisita deve essere demolita con ordinanza del sindaco a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali."

La norma è chiara nello stabilire che l’acquisizione gratuita dell’area è il presupposto giuridico per disporre la demolizione d’ufficio.

Ne consegue che, poiché l’acquisizione gratuita al patrimonio era stata sospesa con ordinanza di questo Tribunale è fondato il primo motivo di ricorso ove contesta la violazione di legge e del provvedimento cautelare.

Poiché però l’impugnazione non ha riguardato l’accertamento dell’inottemperanza, l’annullamento non può che essere parziale e l’atto permane valido ed efficace per quanto riguarda l’accertamento dell’inottemperanza con la conseguenza che, venuto meno l’effetto del provvedimento di sospensione con il deposito della presente sentenza, si verifica ex lege l’acquisto del bene al patrimonio comunale (da ultimo Corte di Cassazione Penale, Sez. III, 08/01/2009 (Ud. 19/11/2008), Sentenza n. 143) e dovranno essere adottati dal Comune tutti gli atti conseguenti in ottemperanza anche alla presente sentenza, che ha accertato il carattere sostanzialmente abusivo dei lavori.

In definitiva quindi il provvedimento di demolizione e ripristino d’ufficio 28 agosto 1998 va annullato nella parte in cui ha disposto la demolizione d’ufficio.

Il riconoscimento della legittimità degli atti comunali comporta la reieizione della domanda risarcitoria.

3.1 Venendo ora al ricorso per motivi aggiunti, diretto contro l’ordinanza comunale del 22/05/2002, esso è infondato.

In primo luogo occorre rilevare che il ricorrente si limita ad impugnare l’atto nella parte in cui contesta la posa di un cancello e di due punti luce e non si estende alla trasformazione della base del piazzale. Ne consegue che per questa parte l’atto è inoppugnabile.

Per il resto il ricorso è infondato in quanto non è possibile suddividere le opere abusive al fine di ottenerne un trattamento diverso e più favorevole ai fini sanzionatori.

La giurisprudenza ha infatti chiarito che il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso attraverso la suddivisione dell’attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarlo, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate per la loro più modesta incisività sull’assetto territoriale. L "opera deve essere considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti.

Va altresì ribadito che i lavori edilizi che riguardano manufatti abusivi che non siano sanati, come nel caso in questione, nè condonati non sono assoggettabili al regime nella DIA (anche se astrattamente riconducibili, nella loro oggettività a tale regime), o dell’autorizzazione edilizia, in quanto gli interventi ulteriori ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono (Cass. Sez. III n. 34764 del 26 settembre 2011; T.A.R. Abruzzo Pescara, 19 febbraio 2007, n. 167).

Venendo al secondo motivo di ricorso, esso è infondato.

Benché sia sufficiente per la reiezione del ricorso la causa di illegittimità prima indicata, in base alla quale qualsiasi opera, anche astrattamente ammissibile, è illegittima se realizzata su opere abusive, qual è, nel nostro caso il parcheggio, ad abundatiam il Collegio ritiene utile specificare che neppure tali nuove opere sono compatibili con il Piano del Parco.

Infatti non è possibile invocare la possibilità prevista dall’art. 17 delle n.t.a. del P.T.C. di realizzare interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia in quanto la norma si riferisce ad edifici e non ad opere edilizie diverse, quali un parcheggio per camion.

Anche il terzo motivo di ricorso deve essere respinto.

Infatti l’ordine di demolizione non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento in quanto la natura vincolata del provvedimento esclude la possibilità di apporti contributivi da parte del privato tali da modificare l’esito del procedimento, sicchè i vizi procedimentali prospettati non inficiano la legittimità del provvedimento impugnato (TAR Campania, Napoli, sez. VI, 30 luglio 2007 n. 7130).

Tale orientamento dev’essere confermato a maggior ragione nel caso di opere svolte su beni abusivi già contestati dall’amministrazione e per i quali il privato conosce l’esistenza di un procedimento sanzionatorio.

In definitiva quindi il ricorso per motivi aggiunti deve essere respinto in toto.

4. Il quarto ricorso, 2639/2005, è infondato.

In primo luogo occorre respingere l’eccezione di inefficacia dell’ordine di demolizione del 2002 in quanto l’istanza presentata dal ricorrente non è un accertamento di conformità ma la richiesta di un permesso per nuovi lavori.

Infatti i ricorrenti chiedono di sistemare l’area mediante la realizzazione di una base in cemento non sussistente sull’area e quindi chiedono di svolgere nuovi lavori.

Non trattandosi quindi di un’istanza volta all’accertamento della conformità urbanistica dell’esistente, non si può produrre l’effetto di inefficacia dei precedenti ordini di demolizione che secondo la giurisprudenza comporta la nuova valutazione della medesima situazione di fatto che l’amministrazione deve effettuare a seguito della proposizione di un’istanza di accertamento di conformità.

Venendo al merito il ricorso è infondato.

Il primo motivo è infondato in quanto la mancanza di preavviso di rigetto non inficia il provvedimento negativo adottato dall’amministrazione, ogni volta che questo, come nel caso in questione, sia vincolato.

Infatti il preavviso di rigetto di cui all’art. 10bis L. 241/90 risponde alla stessa logica ed assolve le stesse funzioni della comunicazione di avvio del procedimento e di conseguenza trova applicazione l’art. 21octies della stessa legge, secondo il quale il giudice non può annullare il provvedimento per vizi formali, che non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del provvedimento (T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 23 marzo 2011, n. 541).

Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

In primo luogo il ricorrente non può richiamare l’uso inveterato dell’area a parcheggio, d’altra parte non sufficientemente provata, se non dimostra che tale uso è stato anche nel passato legittimo, cioè conforme alla disciplina urbanistica del tempo precedente il P.T.C. del Parco.

In secondo luogo avrebbe dovuto dare la dimostrazione, di fatto mancante, che l’uso del passato sia rimasto il medesimo, laddove dagli atti risulta che vi sono stati ampliamenti che hanno inciso sulla sponda idrografica del torrente, come afferma il provvedimento impugnato, e quindi l’utilizzo non può trovare giustificazione in un uso che, se anche fosse stato esistente, era sicuramente più limitato.

D’altro canto il susseguirsi degli accertamenti comunali e delle modifiche introdotte dai ricorrenti sull’area, nonostante il mantenimento della funzione di parcheggio, dimostra che la situazione di fatto esistente è ben diversa dal passato e quindi non può più trovare giustificazione in essa.

Da ultimo "l’originaria funzione di terreno agricolo" alla quale fa riferimento il provvedimento e che è insita nella destinazione di piano a verde è sia quella agricola di produzione sia quella agricola di protezione, come sopra evidenziato, con la conseguenza che l’utilizzo dell’area a parcheggio deve ritenersi incompatibile con la destinazione a verde dell’area in quanto ne altera profondamente le caratteristiche.

Ne consegue che il secondo motivo di ricorso e più in generale il ricorso è infondato con obbligo di eliminare la destinazione a parcheggio in quanto incompatibile con la destinazione a verde dell’area.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, così dispone:

– con riferimento al ricorso RG. 2233/1995:

a) lo dichiara improcedibile con riferimento al provvedimento demolitorio in data 05.01.1995;

b) lo rigetta per il resto.

– con riferimento al ricorso RG 3730/1998:

a) dichiara irricevibile l’impugnazione dell’ordinanza del Sindaco 28/11/1995;

b) dichiara inammissibile l’impugnazione della ditta F.lli D. s.n.c., per carenza originaria di interesse a ricorrere;

c) accoglie l’impugnazione del provvedimento di demolizione e ripristino d’ufficio 28 agosto 1998 e per l’effetto lo annulla parzialmente nei limiti di cui in motivazione;

d) respinge la domanda risarcitoria;

e) respinge il ricorso per motivi aggiunti.

Rigetta tutti gli altri ricorsi.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali a favore del Comune di Osnago che liquida in via forfettaria in euro 5.000 oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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