Cass. civ. Sez. I, Sent., 30-03-2012, n. 5175 Sentenze ecclesiastiche di nullità, delibazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Napoli ha dichiarato l’esecutività, ai sensi della L. n. 121 del 1985, art. 8, n. 2, della sentenza del Tribunale Ecclesiastico Regionale Campano del 12-3-2008, ratificata dal Tribunale di Appello del Vicariato di Roma in data 22-10-2008 e resa esecutiva con decreto in data 19/2/2009 del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, con la quale era stata dichiarata la nullità del matrimonio contratto da C.F. con M.A., a causa dell’esclusione dell’indissolubilità del matrimonio medesimo da parte dell’attore, ai sensi del canone 1101 parag. 2 CJC. 2.- Contro la decisione della corte di merito la M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso l’intimato, il quale ha – tra l’altro – dedotto la non integrità del contraddittorio.

3.- Il ricorso risulta ritualmente notificato al P.M. presso la Corte di appello.

3.1.- Con il primo motivo parte ricorrente denuncia "nullità della sentenza per difetto della sua sottoscrizione, ex art. 132 c.p.c. – art. 119 disp. att. c.p.c.". 3.1.1.- Il motivo è manifestamente infondato perchè la sentenza risulta regolarmente sottoscritta dall’estensore e dal presidente mentre nessun rilievo può essere attribuito all’incompleta indicazione della data di svolgimento della camera di consiglio una volta che il provvedimento risulta ritualmente depositato in cancellerìa con l’indicazione del deposito in data 15.9.2010. 3.2.- Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia "violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per difetto di valutazione delle prove" e con il terzo motivo denuncia "erronea, incongruente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia – art. 360 c.p.c., n. 5". 3.2.1.- Le censure sono inammissibili perchè la corte del merito si è correttamente attenuta ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui "in sede di delibazione della sentenza di nullità matrimoniale emessa dal giudice ecclesiastico per esclusione del vincolo dell’indissolubilità ex parte viri, il giudice italiano è vincolato ai fatti accertati in quella pronuncia, non essendogli concesso nè un riesame del merito nè il rinnovo dell’istruttoria con acquisizione di nuovi materiali probatori; tuttavia, essendo diversa la natura dei due giudizi – quello ecclesiastico teso ad accertare la voluntas simulandi di un coniuge e quello italiano incentrato sulla necessità di verificare il profilo di conoscenza o conoscibilità di tale riserva unilaterale – al giudice italiano non è precluso di provvedere ad un’autonoma e diversa valutazione del medesimo materiale probatorio secondo le regole del processo civile, eventualmente disattendendo gli obiettivi elementi di conoscenza documentati negli atti del giudizio ecclesiastico" (Sez. 1, Sentenza n. 2467 del 01/02/2008).

Con adeguata e logica motivazione – per ciò stesso incensurabile in questa sede – la corte di merito ha accertato – tra l’altro – che "la durata breve (di appena dieci mesi) della convivenza matrimoniale tra le parti, culminata nell’abbandono del tetto coniugale da parte della convenuta e caratterizzata da incomprensioni e contrasti continui, verosimilmente dovuti a differenze caratteriali e di educazione ed a carenza di affetto sponsale, tali da renderne intollerabile la prosecuzione, come accertato nel giudizio di separazione tra i coniugi, conclusosi con la sentenza del Tribunale di Napoli in data 14-7-2009, in assenza di alcun tentativo serio di conciliazione da parte dei medesimi ed, in particolare, della M., nel mentre conferma il fatto che la scelta matrimoniale fosse stata determinata dall’intento di riparare all’errore commesso (il concepimento del figlio), anche da parte della convenuta e non, invece, dall’intento della medesima di vivere con il C. per tutta la vita, costituisce un ulteriore dato, che fa presumere la consapevolezza, da parte sua, della riserva mentale di quest’ultimo".

Il ricorso, dunque, deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre le spese generali e accessori come per legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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