Cass. civ. Sez. I, Sent., 30-03-2012, n. 5172 Contratti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto ingiuntivo n. 10.855 del 6.07.2000 il Tribunale di Roma ingiungeva alla s.p.a. Servizi Tecnici di pagare la somma di L. 1.443.259.401, oltre interessi e spese, alla istante s.p.a. Salvatore Matarrese, nella sua qualità di mandataria capogruppo dell’A.T.L, costituita da essa ricorrente con la s.p.a. CO.MA.PRE., la Soc. Coop. I.T.E. r.l. ed il Consorzio CER fra Cooperative di Produzione e Lavoro; A.T.L che si era aggiudicato ed aveva eseguito l’appalto per la costruzione in Potenza della nuova sede della Direzione Compartimentale delle PPTT della Basilicata. In particolare la ricorrente aveva chiesto il pagamento della somma ingiunta a titolo di rateo di saldo dei lavori eseguiti e della revisione prezzi, nonchè per interessi legali e di mora, computati ai sensi del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 35 e 36, dovuti per il ritardo con il quale la società appaltante aveva provveduto al pagamento dei corrispettivi (anticipazioni, acconti sui lavori, revisione prezzi e rata di saldo stessa).

Su opposizione proposta dalla società ingiunta con citazione del 6.10.2000, il Tribunale pronunciava sentenza n. 31560 del 2004 con la quale accoglieva l’opposizione, dichiarava inefficace il decreto ingiuntivo opposto per le somme eccedenti quelle oggetto della menzionata ordinanza di pagamento di somme non contestate, e compensava integralmente le spese di giudizio.

Il primo Giudice, per quanto di residuo rilievo nella presente fase, riteneva infondata la pretesa della società mandataria dell’ATI appaltatrice di computare gli interessi da ritardato pagamento alla stregua del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 35 e 36 (Capitolato Gen.le OO.PP.), in considerazione della natura privatistica dei soggetti stipulanti l’appalto, nonostante la società appaltante fosse concessionaria dell’Azienda Poste e Telecomunicazioni e quindi di una P.A. statale. Riteneva inoltre la prevalenza della disciplina contrattuale speciale dei pagamenti pattuita nell’art. 6 dell’appalto, sottoscritto l’11.10.1990, che collegava l’esigibilità dei pagamenti alla scadenza di venti giorni dalla disponibilità della valuta degli accrediti a favore della concessionaria Italposte s.p.a. da parte della concedente Amministrazione delle Poste, donde la dichiarata fondatezza del minor credito riconosciuto dalla concessionaria appaltante, calcolato con le decorrenze previste nell’art. 6 del contratto di appalto.

Avverso detta sentenza proponeva appello la s.p.a. Salvatore Matarrese, con citazione notificata il 23.03.2005, insistendo per l’accoglimento delle proprie domande.

Si costituiva la s.p.a. Servizi Tecnici in Liquidazione, eccependo in via principale il difetto nella società attrice dei poteri rappresentativi insiti nella dedotta qualifica di mandataria delle imprese in associazione ;nel merito resisteva a tutti i motivi di gravame, chiedendone il rigetto con vittoria delle spese del grado.

All’udienza del 3.04.2009, si costituiva, in vece della s.p.a.

Servizi Tecnici, la s.p.a. FINTECNA – Finanziaria per i Settori Industriale e dei Servizi, in virtù di atto di incorporazione per Notar Castellini del 17.12.2007 rep. 72629.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza 4602/09, in parziale accoglimento dell’appello, condannava la s.p.a. Fintecna a pagare alla s.p.a. Salvatore Matarrese, inproprio e nella dedotta qualità, la somma ulteriore di Euro 61.077,88, oltre interessi. Condannava altresì la s.p.a. Fintecna a rifondere alla società opposta le spese del primo grado di giudizio. Confermava nel resto la sentenza appellata.

Avverso tale decisione ricorre per cassazione la Salvatore Matarrese spa sulla base di due motivi cui resiste con controricorso la Fintecna spa.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

La ricorrente, con il primo articolato motivo di ricorso, assume in primo luogo che la Corte di merito avrebbe errato laddove non ha accolto la richiesta di riconoscimento di maggiori importi a titolo di interessi basata sull’applicabilità ex lege al contratto inter partes del Capitolato generale di appalto di cui al D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 ed in particolare degli artt. 35 e 36, e, conseguentemente sulla nullità dell’art. 6 del contratto stesso che regola differentemente la materia degli interessi.

In secondo luogo, censura le argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello allorchè qualifica il rapporto tra l’Amministrazione e l’Italposte (originaria concessionaria, poi divenuta Servizi Tecnici) come di delegazione amministrativa intersoggettiva asserendo che detto istituto si configura solo in presenza di due enti pubblici.

Si duole, inoltre che il Giudice di appello non abbia considerato che, attribuendo la concessione pubblici poteri ad Italposte, negli appalti da questa stipulati avrebbero dovuto applicarsi obbligatoriamente le disposizioni contenute nel capitolato generale approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063.

Sotto diverso profilo la ricorrente osserva che, avendo negli atti di concessione l’amministrazione concedente prescritto l’obbligo della concessionaria di assoggettare ogni appalto all’osservanza del capitolato generale approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, la concessionaria stessa avrebbe dovuto attenersi a detta prescrizione,viceversa, la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto che gli atti contrattuali non richiamassero in via generale il ridetto Capitolato generale ma vi rinviassero solo per taluni aspetti.

Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha accertato, e la circostanza è del resto pacifica, che al momento della stipula dell’appalto, tra l’allora Italposte spa e la società ricorrente , la prima operava, in virtù di convenzione del 5 maggio 1988, quale concessionaria dell’Azienda Autonoma del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, che all’epoca costituiva organismo autonomo dal punto di vista organizzativo e di bilancio rispetto al Ministero, ma del quale rappresentava una articolazione autonoma priva di personalità giuridica.

Ciò che occorre accertare è se, in virtù di siffatta situazione, al contratto di appalto per cui è controversia debbano applicarsi o meno gli artt. 35 e 35 del capitolato generale dello Stato in tema di decorrenza degli interessi.

E’ noto che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato il principio che il capitolato generale di appalto per le opere pubbliche, approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 (modificato con L. 10 dicembre 1981, n. 741), ha valore normativo e vincolante (e si applica quindi direttamente e indipendentemente dal richiamo che ne abbiano fatto le parti) soltanto per gli appalti stipulati dallo Stato. Esso non riguarda, invece, gli enti pubblici diversi dallo Stato, per i quali può assumere efficacia obbligatoria soltanto sotto il profilo negoziale, vale a dire solo se e nei limiti in cui le parti lo abbiano richiamato per regolare il singolo rapporto contrattuale, attribuendo efficacia negoziale alle relative disposizioni, che quindi operano per volontà pattizia e nei limiti della "relatio", restando irrilevante anche la circostanza che i fondi impiegati per l’esecuzione dell’opera provengano in tutto o in parte dallo Stato (Cass. 3768/06). Tutto ciò opera a meno che una espressa disposizione di legge (che nel caso di specie non ricorre) non ne imponga l’applicazione agli appalti stipulati da determinati enti (es. Cassa per il Mezzogiorno o Comuni), nel qual caso il capitolato viene ad avere efficacia regolamentare e le sue norme concorrono a formare la disciplina alla quale sono assoggettati i rapporti tra appaltante e costruttore (Cass. 9275/99, Cass. 6569/96, Cass. 17635/07).

Nel caso di specie il contratto di appalto è stato stipulato tra la società ricorrente ed una società per azioni concessionaria,operante in regime di diritto privato, ancorchè interamente controllata dalla Stato.

Non è dubbio quindi che il contratto di appalto non è stato stipulato nè dalla stato nè da un ente pubblico.

Resta quindi da esaminare se la società Italposte, che ha operato in regime di concessione ricevuta dall’Azienda autonoma delle Poste e telecomunicazione, che all’epoca era certamente una autorità statale, possa ritenersi che abbia operato in nome e per conto di quest’ultima e debba quindi equipararsi a tutti gli effetti ad una autorità statuale con conseguente applicazione del capitolato generale dello stato al contratto d’appalto per cui è causa.

La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di opere pubbliche, la concessione c.d. traslativa (istituto applicabile al caso di specie e non già quello della delegazione amministrativa come ritenuto dalla impugnata sentenza che va in tal senso corretta ex art. 384 c.p.c.) comporta il trasferimento al concessionario, in tutto o in parte, dell’esercizio delle funzioni oggettivamente pubbliche proprie del concedente e necessarie per la realizzazione delle opere ed in particolare il compimento in nome proprio e non già quale rappresentante dell’Amministrazione, di tutte le operazioni materiali, tecniche e giuridiche occorrenti per la realizzazione dell’opera. Ne consegue che il concessionario, acquistando poteri e facoltà trasferitigli dall’amministrazione concedente, si sostituisce a quest’ultima nello svolgimento dell’attività organizzativa e direttiva necessaria per realizzare l’opera pubblica e diviene, in veste di soggetto attivo del rapporto attuativo della concessione, l’unico titolare di tutte le obbligazioni che ad esso si ricollegano (ex plurimis Cass. 26261/07, Cass. 14973/07, Cass. 9284/06, Cass. 1494/01, Cass. 8399/97).

Tale circostanza è confermata dall’alt 11 dello stesso disciplinare di concessione che stabilisce che il concedente resta estraneo ai rapporti del concessionario con i terzi a conferma della assoluta autonomia del contratto d’appalto rispetto all’atto di concessione.

Il conferimento di poteri fin qui esaminato non comporta peraltro l’assunzione della qualità di soggetto pubblico statuale del concessionario che opera in nome proprio e non già quale rappresentante dell’Amministrazione concedente e che resta necessariamente un soggetto di diritto privato.

In tale contesto – come correttamente rilevato dalla Corte d’appello – l’applicazione del capitolato generale dello Stato può trovare applicazione solo se e nella misura in cui esso viene richiamato dalle parti nell’ambito degli accordi contenuti nel contratto di appalto o nel disciplinare ad esso applicabile.

Resta ora da verificare se nel caso di specie il richiamo al capitolato generale d’appalto sia stato effettuato o meno.

La Corte d’appello ha escluso tale circostanza rilevando che i numerosi richiami contenuti nel disciplinare al capitolato generale non stanno a significare che questo trova applicazione generale nel rapporto in esame ma, al contrario, trattandosi di richiami in relazione a specifiche tematiche contrattuali volti al fine di assicurare la corretta esecuzione dell’opera, sono limitati a siffatti aspetti. Con la conseguenza che laddove l’applicazione del capitolato generale non è richiamata, questo non può trovare applicazione.

In tale contesto la Corte d’appello ha esaminato in particolare gli artt. 11 e 12 del disciplinare ed alcune norme contrattuali rilevando che i richiami alle disposizioni del capitolato in essi fatti avevano la finalità di assicurare la corretta esecuzione delle opere tramite i richiami in materia e che nessun richiamo era stato fatto in relazione alla applicazione degli artt. 35 e 35 del capitolato generale in tema d’interessi.

Tale motivazione appare logicamente coerente e basata su una corretta interpretazione delle disposizioni del disciplinare e del contratto.

Le censure che la società ricorrente muove sotto il profilo della violazione dell’art. 1362 c.c., e segg., alla interpretazione della Corte d’appello sono prive di pregio.

Anzitutto appaiono inammissibili i richiami alla convenzione del 5.5.88 istitutiva del rapporto di concessione, in quanto non ne viene riportato nel ricorso il testo rilevante nella fattispecie in violazione del principio di autosufficienza, ne viene specificato ove la detta convenzione sia rinvenibile tra i fascicoli e gli atti della fase di merito.

In tale contesto anche il richiamo alle premesse del contratto d’appalto appare del tutto irrilevante posto che esso richiama le leggi, i capitolati e norme richiamati nella convenzione, della quale però, come detto, non è dato conoscere il contenuto, non potendo, come è noto, questa Corte avere accesso agli atti della fase di merito.

In secondo luogo i richiami al contenuto degli artt. 11 e 12 del disciplinare, oggetto, come detto, di specifico esame da parte della corte d’appello, tendono in realtà a prospettare una diversa interpretazione degli articoli stessi anzichè evidenziare una violazione delle norme in tema d’interpretazione, sostenendo, diversamente da quanto fatto dal giudice di seconde cure, che in realtà le prescrizioni di detti articoli (prescrizione dell’osservanza da parte del concessionario delle leggi, capitolati e norme richiamati nel disciplinare e prescrizione che i lavori dovevano essere condotti nell’osservanza delle norme contenute nel capitolato generale OO.PP) in realtà, anzichè essere limitate agli aspetti concernenti l’esecuzione dei lavori investivano in realtà l’intero rapporto contrattuale.

Anche sotto tale profilo dunque la censura appare inammissibile.

Con il secondo motivo di ricorso, la spa Matarrese assume che la norma di cui all’art. 6 del contratto sarebbe nulla in quanto in contrasto con la L. n. 741 del 1981, art. 4, proprio in virtù dell’applicabilità al contratto di appalto del Capitolato generale approvato con D.P.R. 10 luglio 1962, n. 1063 ed in particolare degli artt. 35 e 36.

Il motivo è infondato.

Una volta accertato che nel caso di specie non trovano applicazione gli artt. 35 e 36 del capitolato generale dello stato deve escludersi che possa trovare applicazione la L. n. 741 del 1981, art. 4.

Il primo comma di tale articolo prevede testualmente che "l’importo degli interessi per ritardato pagamento dovuti in base a norme di legge, di capitolato generale speciale o di contratto, viene computato e corrisposto in occasione del pagamento, in conto o a saldo, immediatamente successivo, senza necessità di apposite domande riserve". Il secondo comma aggiunge che "il termine di novanta giorni previsto nell’art. 35, commi 1 e 2, e art. 36, comma 3, del capitolato generale d’appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici, approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, è ridotto a sessanta giorni". Il comma 3, infine, stabilisce che "sono nulli ì patti in contrario o in deroga".

Questa Corte ha già avuto occasione di affermare che " dalla lettura del testo si evince che il suddetto "termine di 60 giorni opera negli stessi limiti in cui trovi applicazione diretta il Capitolato generale d’appalto: ciò che si verifica negli appalti stipulati dal Ministero dei Lavori Pubblici o, in virtù di rinvio recettizio, nei casi in cui il medesimo capitolato sia richiamato nei contratti stipulati da altri enti pubblici mediante relatio perfecta. Ne consegue che resta estranea all’ambito sanzionatorio l’ipotesi di un apposito regolamento negoziale dei termini di adempimento negli appalti conclusi da enti pubblici diversi dallo Stato (o a fortiori da soggetti privati). In questo caso, infatti, la clausola prevale, in virtù del principio di specialità, sulla disciplina del Capitolato generale, seppur richiamato a scopo integrativo, ma residuale per i soli aspetti non espressamente disciplinati nel contratto. L’esistenza della mora debendi presupposta dalla norma (rubricata: Interessi per ritardato pagamento) viene pertanto esclusa allorchè il committente abbia rispettato il diverso termine di adempimento pattuito nel suo interesse, con esercizio legittimo dell’autonomia negoziale e altresì senza profili di vessatorietà, in configurabile fuori della contrattazione di serie ( artt. 1341 e 1342 cod. civ.)", (Cass. 3648/09).

Nel caso di specie, non essendo stato il contratto d’appalto stipulato da una amministrazione statale e non risultando applicabile in toto il capitolato generale dello stato, ma solo per gli aspetti espressamente richiamati, deve escludersi l’applicabilità al caso di specie dell’alt 4 della legge 741 del 1981 in quanto la disciplina della decorrenza degli interessi risulta disciplinata a livello pattizio.

Va ulteriormente osservato che la giurisprudenza di questa Corte citata da parte ricorrente (Cass. 1126/98; e Cass. 15788/00) risulta inconferente nel caso di specie in quanto riguarda ipotesi di contratti di appalto in cui trovava applicazione il capitolato generale dello stato( in tal senso vedi anche 16814/06), mentre la restante sentenza citata (Cass. 14974/02) non tiene conto nella decisione di siffatto aspetto.

Il ricorso va in conclusione respinto.

Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 2500,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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