Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 16-06-2011) 17-10-2011, n. 37383

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propongono ricorso per cassazione B.G., B. L., Be.Gi., B.C., B. A. e la società Edizione srl in persona del legale rappresentante B.G., quali persone offese costituite parti civili nel procedimento penale iscritto, su loro querela, a carico di G.L. e P.P. in ordine al concorso nel reato di diffamazione a mezzo stampa che il PM aveva ritenuto commesso il 15 settembre 2007 in danno dei querelanti.

La condotta contestata era quella di avere, in due articoli pubblicati sul settimanale Milano Finanza nella data anzidetta, offeso la reputazione dei nominati soggetti pubblicando la falsa notizia della "rottura" tra i fratelli, tale da minare la solidità della intera compagine sociale ad essi facente riferimento.

Il Gup di Milano, con la sentenza oggetto della presente impugnazione, emessa in data 27 settembre 2010, ha dichiarato il non luogo a procedere perchè il fatto non sussiste.

Ha rilevato che l’articolo aveva un contenuto non lesivo della reputazione dei querelanti, avendo, come del resto il settimanale sul quale era pubblicato, una connotazione tipicamente finanziaria e come si desumeva anche dal fatto che narrava vicende riguardanti solo la compagine sociale.

In via subordinata e cioè esaminando la questione anche solo sotto il profilo della esimente del diritto di cronaca, osservava che non risultava provata la falsità delle affermazioni e che comunque i fatti erano stati riportati in termini dubitativi.

Deduce la difesa:

1) la violazione di legge e il vizio di motivazione riguardo alla configurabilità del reato in contestazione.

Il senso della notizia data nel corpo dei due articoli denunciati era quello dell’incrinarsi della solidità familiare dei B. e la conseguente scissione fra i componenti dell’omonimo gruppo imprenditoriale, con conseguente prospettazione di una imminente spartizione patrimoniale dei beni. Una simile affermazione – in tutto falsa e oggetto di immediate smentite dei membri della famiglia – sarebbe stata in rotta di collisione con l’elemento che ha costituito un punto di forza commerciale di B., rappresentato dalla storica coesione della famiglia, elemento posto appunto in discussione presso l’opinione pubblica con la rappresentazione di "forti tensioni" insinuatesi in particolare fra i fratelli G. ed A.: rappresentazione oltretutto corroborata da una serie di aneddoti anch’essi privi di riscontro nella realtà.

E la bontà di tale interpretazione starebbe nel fatto che proprio l’articolo del P. esordisce con la prospettazione di una possibile frantumazione di uno dei gruppi familiari imprenditoriali italiani giunti al successo in una generazione ed ora prossimo al divorzio commerciale: il tutto colorito con il riferimento a particolari del tutto inesistenti quali il ricorso ad un notaio e ad informazioni rese sul punto da un banchiere Veneto.

Ugualmente falsa sarebbe la notizia, data sulla medesima lunghezza d’onda, del dissidio familiare che sarebbe all’origine della individuazione del vertice gestionale di una nuova società del gruppo, la Sintonia spa. Falsa sarebbe la notizia della ricerca di consulenti tra cui Mediobanca, per cercare possibili soluzioni o per la spartizione del consistente patrimonio di Treviso.

In conclusione tutte le false notizie rappresentate sarebbero idonee a ledere la immagine professionale ed economica di tutte le attuali parti civili.

Il Gup avrebbe deciso sulla base di una nozione restrittiva del bene giuridico "reputazione" non considerando che esso non è costituito soltanto dalle qualità personali ma anche – come rimarca la dottrina – dal profilo che attiene alla natura professionale delle relazioni dell’individuo, ossia la sua reputazione economica e commerciale che concerne la considerazione pubblica riguardante l’esercizio di una attività economica, ossia la immagine che un soggetto ha costruito di sè nel proprio ambito lavorativo.

Anche la giurisprudenza ha sottolineato tale aspetto (rv 154268, Imp. Vianello).

Sul punto della lesione alla reputazione commerciale dei singoli e della holding coinvolta il giudice nulla avrebbe detto, così ingenerando il corrispondente vizio di motivazione.

Altro vizio, nella forma, stavolta, della manifesta illogicità, starebbe nella affermazione del gup che la valenza infamante dell’articolo sarebbe esclusa anche dalla sua collocazione in un settimanale finanziario mentre è vero il contrario atteso che proprio la destinazione della notizia ad un pubblico specialistico valeva ad amplificare e non a diminuire la portata diffamatoria della notizia sulle divisioni di assets commerciali.

Il Giudice non avrebbe tenuto conto neppure delle proteste di falsità delle notizie subito esplicitate dai B., con dichiarazioni presenti in atti;

2) la violazione di legge e il vizio di motivazione riguardo alla esimente del diritto di cronaca.

Presupposto di operatività della scriminante è la verità del fatto esposto, requisito non ricorrente nel caso di specie.

Il Gup avrebbe anche erroneamente affermato che non risultava provata la falsità delle dichiarazioni così creando un onere probatorio sul punto a carico dei querelanti. Laddove l’onere di provare la verità dei fatti offensivi esposti è del giornalista anche solo ai fini della applicazione della esimente nella forma putativa.

Il ricorso è fondato.

Occorre muovere dalla delineazione del bene giuridico "onore o reputazione", di interesse ai fini della applicazione della norma sostanziale individuata dal titolare della azione penale (essendo l’uno il riflesso individuale della considerazione che, nell’altra, è di natura sociale).

Al di là delle diffuse considerazioni degli studiosi della materia, circa la evidente mancanza di una nozione giuridicamente definita, si tende a riconosce ad essi, da parte della dottrina come della giurisprudenza, un rilievo costituzionale implicito, quale componente essenziale della dignità umana e, come sottolinea la dottrina, la tutela penalistica del bene giuridico in questione si sostanzia nel divieto, rivolto ai singoli come membri della società, di esprimere, direttamente o attraverso l’attribuzione di fatti, giudizi di indegnità (vedi artt. 2 e 3 Cost.) nei confronti degli altri membri, indipendentemente dalle conseguenze eventuali o riflesse su quest’ultimo o sugli altri consociati.

E la dignità che si vuole tutelare non è, per quanto qui di interesse, solo quella individuale ed esistenziale ma anche e soprattutto quella sociale, connotandosi la lesione all’onore e alla reputazione come violazione del rapporto di riconoscimento dell’uomo, realtà che vive nella società e non al di fuori di essa: oggetto della tutela è cioè la proiezione della persona nella vita di relazione.

Discende da ciò, secondo la più avvertita dottrina che qui si condivide, che la costituzionalizzazione implicita del bene in esame – per quanto di interesse anche nel riferimento alla dignità umana contenuto nell’art. 41 Cost. – fa si che debba considerarsi lesivo di esso ogni giudizio che presenti un soggetto, nelle sue caratteristiche identitarie o nel modo di agire, in contrasto sia con i valori di rango costituzionale della persona, sia con quelli giuridici, sia con quelli socio-culturali (tra i quali non possono non rientrare le qualità professionali dell’individuo) purchè si tratti di valori attinenti a qualità fondamentali per il valore della persona stessa.

Non disconoscendo certo tali premesse, ed anche solo volendosi attenere alla nozione di lesione alla reputazione nel senso di sentimento collettivo e sociale del valore della persona, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte dimostrato di ribadire la nozione di reputazione come comprensiva anche del profilo connesso alla attività economica e professionale svolta dall’individuo e alla considerazione che essa ottiene nel gruppo sociale.

Si è così affermato che la condotta lesiva può attenere al buon nome anche commerciale di un soggetto (SENT. N. 01988 del 28/06/1985, SEZ. 1, PRES. CARNEVALE, EST. VALENTE V., RIC. CIRIO, rv 170148;

conf. ANNO/NUMERO 198507951, rv 170339).

Hanno riconosciuto la possibilità di lesione della reputazione anche solo professionale le sentenze di cui al n. rv 205129, rv 209879 (relativa alla reputazione professionale del magistrato), rv 154268 (citata nel ricorso).

In tale ottica, la giurisprudenza civile della cassazione ha affermato, ad esempio, che la levata di un protesto illegittimo, salva la prova del danno subito in concreto, costituisce condotta potenzialmente idonea a ledere la reputazione professionale oltre che personale dell’imprenditore (Cass. Civ. sent. N. 7211 del 25 marzo 2009).

La giurisprudenza di questa Corte non ha tuttavia mancato di sottolineare che deve ravvisarsi soltanto l’illecito civile per lesione del diritto alla "identità" personale quando vi sia distorsione, appunto, della effettiva identità personale o alterazione, travisamento, offuscamento, contestazione del patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale. Deve, invece, ritenersi la sussistenza del delitto di diffamazione quando alla lesione suddetta si pervenga mediante offesa della "reputazione", (ANNO/NUMERO 199300849, rv 193494, sent. N. 00849 06/11/1992, SEZ. 5, PRES. Catalano A, EST. Ferri F, P.M. TRANFO G, RIC. Tabucchi).

Tale decisione fa riferimento ai principi analogamente espressi dalla giurisprudenza civile, secondo cui l’interesse della persona, fisica o giuridica, a preservare la propria identità personale, nel senso di immagine sociale, cioè di coacervo di valori (intellettuali, politici, religiosi, professionali ecc.) rilevanti nella rappresentazione che di essa viene data nella vita di relazione, nonchè, correlativamente, ad insorgere contro comportamenti altrui che menomino tale immagine, pur senza offendere l’onore o la reputazione, ovvero ledere il nome o l’immagine fisica, deve ritenersi qualificabile come posizione di diritto soggettivo, alla stregua dei principi fissati dall’art. 2 Cost. in tema di difesa della personalità nella complessità ed unitarietà di tutte le sue componenti, ed inoltre tutelabile in applicazione analogica della disciplina dettata dall’art. 7 cod. civ. con riguardo al diritto al nome, con la conseguente esperibilità, contro i suddetti comportamenti, di azione inibitoria e di risarcimento del danno, nonchè possibilità di ottenere, ai sensi del citato art. 7, comma 2, la pubblicazione della sentenza che accolga la domanda, ovvero, se si tratti di lesione verificatasi a mezzo della stampa, anche la pubblicazione di una rettifica a norma della L. 5 agosto 1981, n. 416, art. 42 (Sez. 1, Sentenza n. 3769 del 22/06/1985 (Rv. 441354), Presidente: FALCONE A. Estensore: TILOCCA E. P.M. LA VALVA L (CONF)).

In dottrina come in giurisprudenza (vedi, oltre alla sentenza Tabucchi citata sopra, anche Sez. 5, Sentenza n. 35032 del 04/07/2008 Ud. (dep. 10/09/2008) Rv. 241183), poi, vi è stata parimenti una elaborazione del cd. diritto all’identità personale come oggettività giuridica da tenere distinta rispetto al bene dell’onore essendo ritenuto il primo, il diritto di ciascuno ad una rappresentazione veritiera della propria personalità dinanzi agli altri, che risulti immune da travisamenti o alterazioni delle proprie caratteristiche fisiche, psico-caratteriali, affettive e comportamentali oltre che delle condizioni economiche e delle relazioni interpersonali.

Il diritto alla identità personale coinvolge, secondo la dottrina con pensiero condiviso da questo Collegio, un’area di rappresentazioni che è comune anche al diritto all’onore e che è data da quelle non veritiere e lesive dell’onore stesso ma si estende anche oltre: esso tutela anche le rappresentazioni non veritiere che non offendono l’onore.

In altri termini il travisamento dell’identità personale, in caso di rappresentazioni non veritiere ma non offensive dell’onore non trova tutela nell’ordinamento penale e consente soltanto una tutela civilistica di tipo inibitorio e/o risarcitorio.

Il problema che si pone dunque nella fattispecie in esame è quella della eventuale individuabilità, nella condotta in contestazione, di un narrazione dotata di idoneità lesiva della altrui reputazione, oltre quella che comunemente da dottrina e giurisprudenza viene riconosciuta come soglia minima di garanzia del diritto all’onore, per quest’ultima intendendosi quella che si colloca a tutela del sentimento di valore minimo, che non tollera sicuramente limitazioni o violazioni o distinzioni di sorta, indipendentemente dalla buon o cattiva fama di cui si goda. Nel caso in esame il punto è se si ci si trovi, con gli articoli in discussione, al di sopra della detta soglia e si deve condurre la indagine normativa e fattuale in riferimento alla eventuale esistenza del diritto alla tutela di una buona immagine imprenditoriale e commerciale che l’interessato rivendichi come parte essenziale ed integrante della propria proiezione nelle relazioni della vita economica, senza tralasciare al riguardo al riferimento all’art. 41 Cost. in relazione alla libertà di produzione e in condizioni di rispetto della propria immagine e attività professionale.

L’indagine non può poi ritenersi priva di rilievo penale se offesa sia la reputazione di una persona giuridica.

La giurisprudenza di questa Corte ha posto in evidenza come le espressioni denigratorie dirette nei confronti di singoli appartenenti ad un’associazione od istituzione possono, al contempo, aggredire anche l’onorabilità dell’entità collettiva cui essi appartengono, entità alla quale, conseguentemente, anche compete la legittimazione ad assumere la qualità di soggetto passivo di delitti contro l’onore. Ne consegue che, quando l’offesa assume carattere diffusivo (nel senso che essa viene ad incidere sulla considerazione di cui l’ente gode nella collettività), detto ente, al pari dei singoli soggetti offesi, è legittimato alla presentazione della querela ed alla successiva costituzione di parte civile (Sez. 5, Sentenza n. 1188 del 26/10/2001 Ud. (dep. 14/01/2002) Rv. 220813;

conforme in tema di lesione della reputazione di soci di uno studio professionale Sez. 5, Sentenza n. 16281 del 16/03/2010 Ud. (dep. 26/04/2010) Rv. 247263).

Nello stesso senso si è affermato il principio secondo cui in tema di diffamazione, la capacità di essere titolari dell’onore sociale e di essere soggetti passivi del reato non può essere esclusa nei confronti di entità giuridiche o di fatto – associazioni, partiti, fondazioni, comunità religiose, corpi amministrativi e giudiziari – in quanto rappresentativi sia di un interesse collettivo unitario ed indivisibile in relazione alla finalità perseguita, sia degli interessi dei singoli componenti. Ne consegue che l’individuazione del destinatario dell’offesa in una determinata persona fisica, specificamente aggredita nell’onore e nella reputazione con riferimento alle funzioni svolte in un ente collettivo, non preclude la configurabilità del reato per una concorrente aggressione all’onore sociale dell’ente al quale quella persona appartiene, quando – sotto il profilo processuale – la plurioffensività del fatto lesivo sia ritualmente contestata e quando – sotto il profilo sostanziale – l’offesa sia così oggettivamente diffusiva da incidere anche sull’ente per la portata e natura dell’aggressione, le circostanze narrate, le espressioni usate, i riferimenti ed i collegamenti operati dal soggetto attivo all’attività svolta ed alle finalità perseguite dal soggetto passivo (Sez. 5, Sentenza n. 4982 del 30/01/1998 Ud. (dep. 27/04/1998) Rv. 210601).

Tutto ciò premesso ritiene il Collegio che la motivazione della sentenza impugnata sia gravemente carente e/o manifestamente illogica nella analisi di tutti i parametri fin qui evocati.

Il Gup infatti mostra di considerare la nozione di reputazione intesa anche con riferimento alla abilità professionale che concorre alla formazione del sentimento di stima di un individuo gode in seno alla società ma poi sembra dissociare tale concetto da quello che egli assume come "ambito finanziario" al quale le notizie di stampa in esame dovrebbero essere pertinenti.

Non si comprende in altri termini – e per questo appare manifestamente illogica – la separazione dell’ambito professionale – finanziario da quello di manifestazione delle capacità professionali delle persone offese, come se potesse essere il luogo della diffusione della notizia in sè e non piuttosto la natura della notizia data e la sua pertinenza o meno alle capacità professionali del querelato ad avere rilievo decisivo.

E se invece il riferimento alla connotazione tipicamente finanziaria fosse stato funzionale proprio alla negazione della idoneità offensiva delle notizie, si verterebbe semmai nell’ambito della distinzione tra la notizia che attiene al diritto alla identità della persona che si ritiene offesa – in sè foriera di conseguenze eventuali solo in sede civile – e la notizia che invece, pur attingendo alla identità del soggetto preso di mira, presenti anche un connotato lesivo della sua reputazione, così assumendo rilevanza sotto il profilo penale: con la conseguenza che l’analisi sul punto avrebbe dovuto essere sviluppata seguendo il detto binario e dando conto delle ragioni per le quali i fatti riportati negli articoli di stampa dovrebbero ricadere nel primo anzichè nel secondo perimetro.

Se infatti la notizia di una separazione fra soci ben può riguardare fatti fisiologici della vita di una impresa, anche forieri di conseguenze positive dal punto di vista economico, è vero, al contrario, che vi sono fenomeni di separazione produttivi, per le modalità realizzative, di eventi degenerativi e di impoverimento per la compagine che si scioglie.

I primi attengono chiaramente al diritto alla identità, mentre i secondi potrebbero ricadere nell’area della lesione della immagine professionale della società e dei suoi soci.

In terzo luogo risulta del tutto immotivata la affermazione secondo cui le notizie pubblicate sarebbero prive di rilievo penale, alla stregua delle modalità di esercizio della azione penale, perchè riguarderebbero esclusivamente la compagine sociale e non i querelanti.

Proprio l’esame del capo di imputazione si desume che la solidità della compagine societaria appare presa in considerazione dal titolare della azione penale e non costituisce un ambito avulso dalla contestazione, nè un’area al riparo dalla configurazione del reato di diffamazione.

Ove poi il Gup, libero nella decisione salvo il rispetto dei principi di diritto sottolineati, ritenesse di giungere ad un apprezzamento diametralmente opposto a quello qui censurato, sulla idoneità delle condotte a ledere la reputazione delle persone offese, verrebbe in rilievo la fondatezza anche del secondo motivo di ricorso.

Infatti la configurazione del diritto di cronaca è stata da esso affermata sul presupposto, errato in diritto, che non risulta provata la falsità delle dichiarazioni riportate.

Invero la esimente del diritto di cronaca prevede tra i suoi elementi costitutivi, come elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, la prova della verità del fatto lesivo della altrui reputazione di cui il cronista abbia dato conto.

E’ evidente che l’onere della relativa prova incombe al giornalista il quale deve porre le premesse in fatto e in diritto affinchè la antigiuridicità della propria condotta non produca gli effetti previsti dall’ordinamento.

Finchè tale onere non venga espletato (con tutte le debite sfumature in tema di dimostrazione della verifica della notizia e della attendibilità della fonte) resta in vigore l’effetto penalmente rilevante della condotta che esso abbia posto in essere in violazione del precetto penale.

Pertanto, tranne che nel caso di prova fallita di tale requisito o di prova, al contrario data prima della chiusura della udienza preliminare, il Gup non può pronunciare sentenza di non luogo a procedere attestandosi sulla insufficienza della affermazione di falsità della notizia proveniente dal querelante poichè egli ha il potere di pronunziare tale decisione non quando effettui un giudizio prognostico in esito al quale pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato, bensì in tutti quei casi nei quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa invece pervenire ad una diversa soluzione (Rv. 245464).

E nel caso di specie i giornalisti dovrebbero fruire del diritto di provare la sussistenza di tutti i requisiti per la configurazione della esimente del diritto di cronaca o di critica, se non prima, quantomeno nella fase dibattimentale.

La delibazione sulla richiesta di liquidazione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili è devoluta al merito dipendendo dalla sorte finale del processo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Milano per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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