Cass. civ. Sez. I, Sent., 30-03-2012, n. 5163 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso alla Corte d’appello di Campobasso V.A. e V.A.M. proponevano domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 per violazione dell’arto della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio civile per annullamento di un contratto di compravendita da essi instaurato dinanzi al Tribunale di L’Aquila nel giugno 1990, definito in primo grado con sentenza nel marzo 1999, proseguito su appello di controparte nel dicembre 1999 definito nell’ottobre 2002 con sentenza impugnata per cassazione nel maggio 2003 e confermata con sentenza di questa Corte del 19 marzo 2007.

La Corte d’appello, ritenuta la durata ragionevole di complessivi sei anni (3, 2, 1) del giudizio presupposto, ha liquidato in Euro 10.100,00 (pari a Euro 1,000 circa per anno) l’equa riparazione in favore di ciascuno dei ricorrenti per il pregiudizio non patrimoniale derivato dalla residua durata irragionevole di dieci anni, un mese e sei giorni, con onere a carico della parte resistente delle spese di lite.

Avverso tale decreto, depositato il 21 aprile 2008, V.A. e V.A.M. hanno proposto ricorso a questa Corte per tre motivi, cui resiste il Ministero della Giustizia con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo ed il secondo motivo, i ricorrenti censurano la liquidazione dell’indennizzo, denunziando – da un lato – la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 2056 e 1226 cod. civ., dall’altro il vizio di motivazione. Deducono che la corte territoriale non ha tenuto conto dei criteri normalmente seguiti dalla Corte EDU nell’interpretazione dell’art. 6.1 della Convenzione, avendo preso in considerazione un indennizzo di Euro 1.000 per anno di ritardo, che secondo quei criteri costituisce la base di partenza per la quantificazione dell’indennizzo, da aumentare in funzione di tutti gli elementi indicati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, tra i quali la progressione temporale del ritardo e l’importanza della posta in gioco. Elementi che la Corte non avrebbe adeguatamente considerato, avendo omesso di considerare la notevole progressione temporale, avendo palesemente sottovalutato la posta in gioco (con la definizione della natura della controversia come "non particolarmente grave per la vita della persona"), ed avendo considerato erroneamente la mancata presentazione di istanze anticipatorie da parte dei ricorrenti.

2. Con il terzo motivo, deducono la nullità del provvedimento impugnato perchè la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda principale di accertamento e declaratoria della violazione dell’arto. della CEDU sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole.

3. Tali doglianze non meritano accoglimento.

3.1 In ordine alla liquidazione dell’indennizzo (primo e secondo motivo, strettamente connessi), va rilevato come la Corte di merito, riconoscendo al ricorrente la somma di Euro 10.100,00 complessivi per dieci anni e sei mesi circa di durata irragionevole, non si sia affatto discostata dai parametri (oscillanti tra Euro 1000 e 1500 per anno) normalmente adottati dalla Corte Europea, ai quali ha fatto espresso riferimento indicando nel contempo le circostanze che nella specie giustificano, secondo la sua valutazione ed alla stregua degli stessi criteri, la scelta del parametro di base. La critica che la ricorrente muove a tale valutazione discrezionale, quella cioè di non essere aderente al caso specifico in esame, non è, da un lato, sussumibile nell’ambito della denuncia di un vizio di violazione di legge (la corte di merito non ha violato i criteri di determinazione applicati dalla Corte europea: cfr. S.U. n. 1340/2004) essendo piuttosto riferita ad una errata ricognizione della fattispecie concreta in esame, cioè ad un vizio di motivazione; dall’altro, sotto quest’ultimo profilo è inammissibile, dal momento che lungi dall’individuare specifici dati di fatto decisivi non considerati, ovvero vizi di intrinseca illogicità o contraddittorietà – si mostra diretta a sollecitare un riesame del merito delle valutazioni compiute dalla Corte d’appello, non consentito in questa sede.

3.2 Privo di fondamento infine è il terzo motivo, atteso che l’accertamento in ordine alla violazione dell’art. 6.1 CEDU è implicito nella applicazione della sanzione riparatoria che ne consegue.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, in Euro 900,00 per onorari oltre le spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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