Cass. civ. Sez. I, Sent., 30-03-2012, n. 5162 Ineleggibilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.M., candidato alle elezioni regionali dell’Emilia Romagna del 29-30 marzo 2010 risultato primo dei non eletti, presentava ricorso al Tribunale di Bologna ai sensi del D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82 e succ. modifiche per sentir dichiarare la ineleggibilità del consigliere regionale M.D. e conseguentemente sentirla dichiarare decaduta da tale carica di consigliere. Deduceva la sussistenza della causa di ineleggibilità prevista dalla L. n. 154 del 1981, art. 2, comma 1, n. 7) in quanto la M., alla data fissata per la presentazione della candidatura e a quella della elezione, era ancora dipendente della Regione Emilia Romagna con contratto di lavoro a tempo determinato.

Resistevano al ricorso sia la M. sia la Regione, sostenendo che la dipendente era assente dal lavoro fin dal mese di gennaio 2010 in quanto in congedo obbligatorio per maternità e che tale situazione doveva equipararsi al collocamento in aspettativa. Il Tribunale accoglieva il ricorso, annullava la deliberazione dell’Assemblea Regionale del 3 giugno 2010 di convalida della elezione della M. e dichiarava il diritto del B. ad essere proclamato eletto in sostituzione della M., ineleggibile.

Il gravame proposto dalla M. è stato rigettato dalla Corte d’appello di Bologna, la quale ha in sintesi osservato: a) che non merita adesione la tesi, addotta dall’appellante, secondo la quale la parificazione, stabilita dalla recente evoluzione normativa (D.Lgs. n. 368 del 2001 e Direttiva n. 1999/70 CE in attuazione dell’accordo quadro del marzo 1999), del contratto di lavoro a tempo indeterminato con quello a tempo determinato imporrebbe di ritenere consentito anche al lavoratore a tempo determinato, contro lo specifico divieto inequivocamente posto dalla L. n. 154 del 1981, art. 2, comma 8, il ricorso alla aspettativa per motivi elettorali, onde eliminare, ai sensi dell’art. 2, comma 3 (come modificato da Corte Cost. n. 388/1991), la causa di ineleggibilità consistente nel rapporto di lavoro con la Regione; b) che infatti la differenza ontologica tra le due tipologie di rapporto – con la correlata incompatibilità oggettiva tra la aspettativa per ragioni elettorali ed il rapporto di lavoro a tempo determinato – rende ragione dello specifico divieto di cui alla norma citata, che non si pone in contrasto con i precetti costituzionali evidenziati dalla appellante; c) che tale divieto rende irrilevante l’accertamento in ordine al titolo della sospensione del rapporto di lavoro nel caso in esame, se questo fosse l’aspettativa, che è comunque contra legem, o – come ritenuto dal Tribunale – il congedo per maternità, che mantiene intatto il rapporto di servizio: peraltro, dai documenti in atti risulta che la aspettativa concessa con nota del 28 gennaio 2010 alla M., che si trovava da pochi giorni in astensione per maternità, venne revocata con nota dell’8 febbraio 2010, nella quale la Regione precisava che la dipendente continuava a permanere in astensione obbligatoria per maternità; d)che infondata è anche la tesi diretta ad affermare che tale astensione obbligatoria sia da considerare equiparabile alla assenza per aspettativa e quindi idonea ad essere ricompresa tra le fattispecie di cessazione della causa di ineleggibilità, al pari delle dimissioni e del collocamento in aspettativa, previste dalla L. n. 154 del 1981, citato art. 2, comma 3; nè hanno fondamento i dubbi avanzati circa la legittimità costituzionale di tale normativa, perchè l’obbligo della M. di dare le dimissioni per potersi candidare alle elezioni non consegue alla sua condizione di lavoratrice madre, bensì al divieto di concessione di aspettativa per motivi elettorali a favore di lavoratori a tempo determinato.

Avverso tale sentenza, depositata il 26 aprile 2011 e notificata il 27 aprile successivo, M.D. ha proposto ricorso a questa Corte sulla base di tre motivi, illustrati anche da memoria. Resiste con controricorso B.M..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia erroneamente escluso la sussistenza di una illegittima disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato nel divieto di collocamento in aspettativa stabilito solo per i primi dalla L. n. 154 del 1981, art. 2, comma 8. Denuncia la violazione o falsa applicazione di tale norma di legge ed il vizio di motivazione in ordine ai rilievi di incostituzionalità, sostenendo che i principi di non discriminazione e di parità di trattamento tra le due tipologie contrattuali non possono, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, essere interpretati in modo restrittivo; che è errato sostenere che il collocamento in aspettativa dei dipendenti a termine contrasti con la natura del contratto a tempo determinato; e che il rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza (art. 3), di diritto al lavoro (artt.4 e 35), di diritto di accedere alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza (art. 51, comma 1) e di conservare il proprio rapporto di lavoro (art. 51, comma 3) imponga una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2, comma 8 nel senso di ritenere consentito anche ai dipendenti regionali assunti a tempo determinato il collocamento in aspettativa per ragioni elettorali, ovvero, qualora tale interpretazione sia ritenuta impraticabile, la rimessione della questione di legittimità costituzionale di tale norma al Giudice delle leggi.

1.1. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta il vizio di motivazione in ordine alla irrilevanza dell’accertamento in ordine al titolo della sospensione del rapporto di lavoro operante nella specie: la Corte territoriale non avrebbe considerato che la nota in data 8.2.2010, con la quale veniva revocata l’aspettativa concessale il 28 gennaio, era stata inviata solo al Sottosegretario alla Presidenza, non anche ad essa ricorrente; e che quindi tale revoca, quale atto ricettizio, non era ancora perfezionata al momento della presentazione della candidatura.

1.2. Con il terzo motivo, la ricorrente si duole della esclusione della equiparazione del congedo per maternità alle altre ipotesi di rimozione della ineleggibilità (dimissioni e aspettativa) previste dalla L. n. 154 del 1981, art. 2, comma 3, sostenendo, da un lato, che il congedo obbligatorio per maternità comporta quella cessazione dall’esercizio delle funzioni che fa venir meno la causa di ineleggibilità, dall’altro che tale norma, ove interpretata nel senso esposto nella sentenza impugnata, sarebbe costituzionalmente illegittima, per contrasto con l’art. 51 Cost. e con gli artt. 31 e 37 Cost. che tutelano la maternità. 2. Tali censure sono prive di fondamento.

3. Quanto al primo motivo, merita in primo luogo adesione quanto esposto nella sentenza impugnata in ordine all’inequivoco significato della L. n. 154, art. 2, comma 8 nel senso di precludere ai dipendenti regionali assunti a tempo determinato la rimozione mediante il collocamento in aspettativa della causa di ineleggibilità derivante da tale rapporto. All’applicazione, che la ricorrente sollecita, del principio opposto non può dunque pervenirsi in via di interpretazione costituzionalmente orientata: si tratterebbe, invece, di interpretazione abrogante, non consentita al giudice. Nè meritano condivisione i rilievi espressi in ricorso circa il contrasto della norma in questione con il principio normativo di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato (D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6), e quindi con i principi costituzionali di uguaglianza (art. 3), di diritto al lavoro (artt. 4 e 35), di diritto di accedere alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza (art. 51, comma 1) e di conservare il proprio rapporto di lavoro (art. 51, comma 3). Il principio di non discriminazione riguarda, da un lato, i trattamenti inerenti al rapporto di lavoro (cfr. art. 6 D.Lgs. cit.: ferie, gratifica natalizia, tredicesima e ogni altro trattamento in atto nell’impresa), dall’altro trova limite, specificato nel medesimo art.6, nella obiettiva incompatibilità del trattamento richiesto con la natura del contratto a termine. Come efficacemente puntualizzato nella sentenza impugnata in coerenza con quanto già affermato da questa Corte (cfr. Sez. L n. 23751/09; Sez. 1 n. 17086/06), l’incompatibilità oggettiva dell’istituto della aspettativa per motivi elettorali con la natura del contratto a termine risiede per l’appunto nell’elemento, connotante tale tipologia di rapporto, della prefissione di un termine, in diretta connessione con specifiche ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, comunque destinate a risolversi entro un determinato arco di tempo, che debbono essere precisate in sede di pattuizione contrattuale (D.Lgs. n. 368 cit., art. 1). Il collocamento in aspettativa del dipendente a tempo determinato si porrebbe in conflitto insanabile con tale elemento essenziale del rapporto, giacchè la sospensione della efficacia – nella quale consiste – verrebbe ad incidere, prorogandola, sulla durata programmata in origine in ragione di esigenze temporanee.

Rettamente quindi il giudice di merito ha rilevato come la ontologica diversità tra le due tipologie di rapporto di lavoro esclude che il divieto posto dalla L. n. 154, art. 2, comma 8 violi il principio costituzionale di uguaglianza tra i cittadini, e gli ulteriori principi espressi dagli artt. 4, 35 e 51 Cost., atteso che il diritto, riconosciuto in capo a colui che è chiamato a funzioni pubbliche elettive, alla conservazione del posto di lavoro (cfr.

Corte Cost. n. 388/1991) trova limite nella peculiare natura del lavoro a tempo determinato.

4. Infondata è anche la deduzione di un vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel ritenere irrilevante la questione in ordine alla permanente vigenza, al momento della candidatura, del provvedimento, adottato dalla Regione il 28 gennaio 2010, di collocamento in aspettativa della M. per difetto di prova della comunicazione alla medesima del provvedimento di revoca di cui alla nota dell’8 febbraio 2010. Tale questione di fatto si palesa irrilevante, una volta stabilita la sussistenza del divieto di cui alla L. n. 154, art. 2, comma 8, perchè comunque ogni provvedimento (quale nella specie quello del 28 gennaio) che non rispetti tale preclusione di legge deve ritenersi tamquam non esset in quanto emesso in carenza di potere, oltre che in contrasto con norma imperativa.

5. Priva di fondamento è anche la tesi, esposta con il terzo motivo, diretta a ricomprendere tra le ipotesi di rimozione della causa di ineleggibilità, previste dalla L. n. 154, art. 2, comma 3 (dimissioni e aspettativa), anche la astensione dal servizio per maternità, non contemplata dalla norma stessa. L’argomento su cui tale tesi si fonda – quello cioè che l’astensione per maternità e l’aspettativa, pur nella diversità di presupposti e finalità di tutela (evidenziati dalla Corte d’appello e non contestati), produrrebbero gli stessi effetti di cessazione dall’esercizio delle funzioni – si mostra inidoneo a giustificare una interpretazione estensiva della norma sopra indicata, preclusa non solo dalle suddette diversità non contestate, ma anche dalla sua ratto. Va infatti considerato che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare (cfr. n. 17086/06), l’effetto palesato dalla legge nel prevedere le ipotesi di esclusione delle cause di ineleggibilità, quello cioè di realizzare la tempestiva rimozione della situazione di turbativa o inquinamento elettorale derivante dalla sussistenza del rapporto di servizio del candidato con la Regione, non può ritenersi verificato con la semplice astensione del dipendente dal concreto esercizio delle prestazioni lavorative. Nè merita censura l’osservazione della Corte territoriale secondo la quale non può ravvisarsi una illegittimità costituzionale della norma in esame, perchè la necessità per la ricorrente di dimettersi onde candidarsi alle elezioni consegue non già alla sua maternità bensì alla natura del rapporto di lavoro intrattenuto con la Regione, al pari di tutti coloro che, maschi e femmine, si trovino in tale situazione, che peraltro si vedrebbero ingiustificatamente discriminati se alla sola dipendente a tempo determinato in maternità fosse consentito di rimuovere, senza dimettersi, la causa di incompatibilità in questione.

Il rigetto del ricorso si impone quindi, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, in Euro 6.500,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *