Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-10-2011) 18-10-2011, n. 37688 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 29.10.2009, il Tribunale di Termini Imerese dichiarò P.M.R. responsabile del reato di appropriazione indebita aggravata e – concesse le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante – la condannò alla pena di mesi 2 di reclusione ed Euro 300,00 di multa, pena sospesa.

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Palermo, con sentenza in data 4.11.2010, confermò la decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputata deducendo:

1. violazione di legge, omessa assunzione di una prova decisiva e vizio di motivazione in relazione al rigetto del motivo di appello relativo alla mancata assunzione della testimonianza della teste a difesa M.P., senza revoca dell’ordinanza di ammissione e senza che risulti a verbale dell’udienza del 29.10.2009 la presenza o l’assenza della teste, la sua citazione o l’accordo delle parti per rinunziare all’esame; l’esame di tale testimone, rappresentante sindacale intervenuta nella vicenda;

2. violazione di legge, omessa assunzione di una prova decisiva e vizio di motivazione in relazione al rigetto del motivo di appello relativo al mancato esame dell’imputata, ammesso ma non effettuato, senza alcun provvedimento di revoca;

3. violazione di legge, omessa assunzione di una prova decisiva e vizio di motivazione in relazione al rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento per produrre la documentazione allegata all’atto di appello;

4. violazione di legge, omessa assunzione di una prova decisiva e vizio di motivazione in relazione al rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento per acquisire copia della scheda di accertamento a firma di M.B.A., datata 7.12.2007, pure allegata all’atto di appello; tale scheda, contenuta nel fascicolo del P.M., avrebbe contenuto contrastante con altra scheda, l’unica prodotta dal P.M., circa i capelli della cassiera cui addebitare gli ammanchi lamentati;

5. violazione della legge processuale e vizio di motivazione in relazione alla mancata assoluzione dell’imputata a fronte della lacunosa deposizione della persona offesa G. (legale rappresentante della Fratelli Gianoia S.r.l. che gestiva il supermercato) ed all’inutilizzabilità delle investigazioni della Lodge Service Italia S.r.l. in quanto non è stato dimostrato che tale società (che si occupa di differenze inventaria lied acquisti programmati) fosse stata autorizzata a svolgere indagini dal P.M. o dalla polizia giudiziaria, nè che fosse in possesso di autorizzazioni per espletare attività di investigazione; la Fratelli Giaconia S.r.l. avrebbe dovuto sporgere immediatamente querela e nominare un difensore che avrebbe potuto svolgere indagini difensive o chiedere di essere autorizzata a conferire un incarico investigativo ad una ditta specializzata; peraltro mancherebbe idonea produzione documentale (inventali, scontrini ecc.) e non sarebbe dimostrato che la cassiera a cui è attribuita l’appropriazione indebita sia l’imputata; non sarebbero stati immediatamente contestati i fatti alla cassiera che si assumeva responsabile nè la stessa sarebbe stata immediatamente identificata, neppure con il cartellino di identificazione, e le sue caratteristiche somatiche sarebbero incerte; nella sentenza impugnata mancherebbe risposta alle doglianze svolte nei motivi di appello circa le lacune e la genericità delle dichiarazioni di G.B.; talora sarebbero state rinvenute in cassa somme eccedenti gli incassi;

sarebbero state trascurate le dichiarazioni dell’imputata e la transazione intervenuta con l’impegno a rimettere la querela e con la corresponsione di una somma alla P.;

6. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11, con conseguente perseguibilità a querela (rimessa) del reato;

7. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata derubricazione del reato di appropriazione indebita aggravata in quello di furto semplice, perseguibile a querela (rimessa) essendo comunque l’imputata mera detentrice dei beni della cui appropriazione è accusata.

Motivi della decisione

Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono manifestamente infondati.

Nel caso in esame si è in presenza di una revoca implicita di prove ammesso, in assenza di contraddicono.

Questa Corte ha chiarito che determina una nullità a regime intermedio, da dedursi quindi nel termine di cui all’art. 182 c.p.p., comma 2, la revoca, in assenza di contraddittorio, del teste precedentemente ammesso perchè non citato all’udienza dibattimentale. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24302 del 12.5.2010 dep. 25.6.2010 rv 247878. In motivazione la Corte ha ulteriormente precisato che ove detta nullità si verifichi in presenza della parte che aveva interesse a dedurla, il silenzio di quest’ultima equivale a rinuncia, con conseguente sanatoria ai sensi dell’art. 183 c.p.p., comma 1, lett. a)).

Nel caso in esame la difesa, presente al momento del verificarsi della nullità, nulla ha eccepito, sicchè la stessa è sanata.

Il terzo e quarto motivo di ricorso sono manifestamente infondati.

La rinnovazione del dibattimento avrebbe dovuto essere disposta, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., non trattandosi di prove nuove, solo se il giudice di appello avesse ritenuto di non poter decidere allo stato degli atti ed anche tale valutazione è di merito e la motivazione può essere implicita.

Infatti, in tema di giudizio di appello, poichè il vigente cod. proc. pen. pone una presunzione di completezza della istruttoria dibattimentale svolta in primo grado, la rinnovazione, anche parziale, del dibattimento ha carattere eccezionale e può essere disposta solo qualora il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti. Pertanto, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la decisione può essere sorretta anche da motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione – in senso positivo o negativo – sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento, (v. Cass. Sez. 5 sent. n. 6379 del 17.3.1999 dep. 21.5.1999 rv 213403).

Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure di merito.

In relazione alla dedotta inutilizzabilità degli atti redatti dalla società Lodge e delle deposizioni dei dipendenti di questa va ricordato che le inutilizzabilità sono tassative e che nessuna norma vieta alla persona offesa di svolgere accertamenti prima di sporgere querela.

Le altre doglianze sono svolte in violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, perchè propongono censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata sulla base delle dichiarazioni della persona offesa e degli altri testimoni che hanno indicato nell’imputata l’autrice dei fatti contestati.

In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di motivazione o la sua manifesta illogicità.

Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.

Il sesto ed il settimo motivo di ricorso sono generici e manifestamente infondati.

I motivi di ricorso sono generici perchè si risolvono nella mera reiterazione di motivi di appello senza svolgere adeguate critiche alla motivazione della sentenza impugnata.

Tali motivi di ricorso sono altresì manifestamente infondati.

Questa Corte ha chiarito che chi è adibito, all’interno di un supermercato, a compiti di cassiere presso uno dei registratori di cassa, con l’ulteriore incarico di effettuare le operazioni di chiusura contabile e di consegnare il denaro dell’incasso alla direzione, ha valido titolo per detenere le somme per il periodo di tempo necessario allo svolgimento dei detti compiti. Qualora risulti da comportamenti esteriori univoci e concludenti la volontà del soggetto di tenere il denaro per sè come proprio, è ravvisabile a carico dello stesso il reato di appropriazione indebita, e non già quello di furto. (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 374 del 18.11.1994 dep. 18.1.1995 rv 200739).

La circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 è pacificamente sussistente in quanto, in tema di appropriazione indebita, ai fini della ricorrenza dell’aggravante della prestazione d’opera, è sufficiente la esistenza di un rapporto, anche di natura meramente fattuale, che abbia rappresentato, quantomeno, occasione (se non anche ragione giuridica) del possesso da parte dell’imputato e che abbia quindi consentito a quest’ultimo di commettere con maggiore facilità il reato, approfittando della particolare fiducia in lui riposta. (Cass. Sez. 5 sent. n. 11655 del 23.9.1999 dep. 12.10.1999 rv 214486. Fattispecie nella quale il ricorrente aveva rappresentato che impropriamente gli era stato attribuito dal giudice di merito il ruolo di agente finanziario, mentre egli era un semplice intermediario finanziario).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, cosi equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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