Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-10-2011) 18-10-2011, n. 37687 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 15.4.2009, il Tribunale di Melfi dichiarò S.A. responsabile dei reati di usura ed estorsione, unificati sotto il vincolo della continuazione e – con la recidiva – lo condannò alla pena di anni 9 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, di cui anni 3 di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa condonati ai sensi della L. n. 241 del 2006, pene accessorie.

L’imputato fu altresì condannato al risarcimento dei danni (da liquidarsi in separato giudizio) ed alla rifusione delle spese a favore delle parti civili L.R. e D.G..

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame e la Corte d’appello di Potenza, con sentenza in data 22.10.2010, in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarò non doversi procedere in ordine al reato di usura di cui al capo K ed eliminò la pena di mesi 2, giorni 20 di reclusione ed Euro 500,00 di multa;ridusse la pena per i residui reati ad anni 7 mesi 1 giorni 10 di reclusione ed Euro 2.200,00 di multa; condannò l’imputato alla rifusione a favore delle parti civili delle ulteriori spese di giudizio.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo:

1. violazione della legge processuale alla luce della contestazione della recidiva in conseguenza della dichiarazione di incostituzionalità degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 333 del 1999; la Corte territoriale avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 604 cod. proc. pen. dichiarare la nullità della sentenza di primo grado disponendo la restituzione degli atti al Tribunale di Melfi;

2. violazione della legge processuale in relazione alla ritenuta sussistenza della recidiva reiterata infraquinquennale considerando anche una sentenza divenuta irrevocabile nel 2000, mentre i fatti oggetto del procedimento risalgono al 1998; inoltre era stata eccepito che la contestazione della recidiva era intervenuta dopo la chiusura dell’istruzione dibattimentale; il 18.3.2009 il P.M. non aveva effettuato una vera e propria contestazione della recidiva, ma "a fronte della già contestata recidiva … per S." ne chiese la contestazione anche a M.V.; in realtà mai era stata contestata la recidiva a S.; pertanto mancherebbe la formale contestazione, non sarebbe stato precisato il tipo di recidiva e non sarebbe possibile la contestazione in sede di discussione;

3. violazione della legge processuale in relazione alla utilizzazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa D.G. e dal teste I.F.; sarebbero infatti emerse dichiarazioni auto indizianti a carico di D. per riciclaggio, sicchè le dichiarazioni etero accusatorie dello stesso sarebbero inutilizzabili ai sensi dell’art. 64 c.p.p., commi 3 e 3 bis;

4. vizio di motivazione in relazione alla mancata valutazione dell’intervenuta assoluzione di S. e di coimputati dal reato associativo e dai reati di cui ai capi C, E, F, I, J ed L, il che si risolverebbe in una motivazione illogica; S. avrebbe esercitato abusivamente il credito ma non sarebbe stato un usuraio;

sarebbero stati trascurati il legame di parentela fra le persone offese che hanno reso dichiarazioni di segno diverso rispetto ad altri testi, le contraddizioni del teste I. ed il risentimento nutrito da D.;

5. vizio di motivazione in relazione al reato di cui al capo B in quanto, secondo la più recente giurisprudenza, la mera dichiarazione della persona offesa non varrebbe a provare il reato di usura; in particolare non sarebbe stata effettuata una perizia contabile e non sarebbero stati valutati i seguenti elementi: il fatto che il debito sia stato originato da un affare non andato a buon fine; il fatto che D. chiese un prestito di 40.000.000 di lire disponendo degli altri 50.000.000 di lire per coprire il debito contratto con i cerignolani; la compatibilità tra l’aver la persona offesa affermato di non aver avuto protesti al momento della denunzia e l’aver affermato di aver pagato interessi fra il 150 e l’80%; l’essere S. ben inserito in circuiti bancari così da potersi permettere tutto e la negata apertura di un conto corrente; la mancata valutazione dei singoli episodi di finanziamento;

6. violazione di legge in relazione alla mancata qualificazione dell’ipotesi di estorsione come tentata se non come mancanza dell’elemento costitutivo del reato di estorsione;

7. violazione di legge in relazione all’errato computo dei termini di prescrizione che andava calcolato con riferimento alla pena edittale prevista nella previgente versione dell’art. 644 cod. pen., se non addirittura nel testo antecedente il marzo 1996, posto che i negozi usurari risalirebbero al 1994, sicchè non erano previste circostanze aggravanti ed il reato si sarebbe consumato con il patto e non con la riscossione del profitto illecito; in ogni caso la prescrizione sarebbe maturata dopo anni 7 e mesi 6.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Nella specie non vi è stata, a fronte della contestazione della recidiva, nessuna richiesta di giudizio abbreviato, sicchè la questione non può essere ora riproposta.

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile non essendo stato dedotto con i motivi di appello se non per la parte relativa alla contestazione dopo la chiusura dell’istruzione dibattimentale.

Peraltro la recidiva è comunque reiterata ed infraquinquennale, anche a prescindere dalla sentenza 29.6.2000 della Corte d’appello di Potenza, alla luce delle precedenti condanne, ultima delle quali quella 4.5.1998 della Pretura di Melfi.

Quest’ultimo profilo è invece manifestamente infondato poichè il nuovo codice di procedura penale consente (art. 523, comma 6) l’interruzione della discussione finale per assumere nuova prova qualora il giudice lo ritenga "assolutamente necessario", il termine ultimo per il P.M., per procedere a nuove contestazioni, va collocato alla chiusura, non della istruzione dibattimentale, bensì del dibattimento. (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 8959 del 28.5.1993 Ud. dep. 30.9.1993 rv 195420, già citata nella sentenza di appello).

Peraltro, come rilevato dalla Corte territoriale, nessuna eccezione fu formulata dalla difesa, presente, al momento della contestazione.

Il terzo motivo di ricorso è generico risolvendosi in una mera reiterazione dei motivi di appello senza adeguata critica delle argomentazioni svolte dalla Corte territoriale, la quale ha escluso qualsiasi volontarietà delle condotte della persona offesa, che ha ritenuto imposte dall’imputato.

Il quarto ed il quinto motivo di ricorso sono inammissibili perchè, sotto il profilo della violazione della legge processuale e del vizio di motivazione tentano di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito, non consentito neppure alla luce della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e) introdotta con L. n. 46 del 2006, ed inoltre è manifestamente infondato.

Va premesso che la modifica normativa dell’art. 606 c.p.p., lett. e), di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46 lascia inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, il cui vizio di mancanza, illogicità o contraddittorietà può ora essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati.

E’ perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorchè si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia.

Attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione.

Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice.

Infine il dato probatorio che si assume travisato od omesso deve avere carattere di decisività non essendo possibile da parte della Corte di cassazione una rivalutazione complessiva delle prove che sconfinerebbe nel merito.

Nel caso in esame i giudici di merito non hanno travisato il contenuto di atti decisivi e non ne hanno omesso la valutazione, ma hanno dato una interpretazione delle risultanze difforme da quella prospettata.

Il sesto motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge in parte censure di merito, posto che la Corte territoriale ha ritenuto realizzata la condotta estorsiva contestata nel capo di imputazione che implica la consumazione del reato.

Il settimo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha correttamente ritenuto applicabile la previgente disciplina della prescrizione in quanto più favorevole.

Quanto al testo dell’art. 644 cod. pen. in vigore al momento del fatto, va rilevato che alla condotta è stata ritenuta realizzata fino al 12.11.1998, mentre l’attuale norma è stata introdotta con L. 7 marzo 1996, n. 108.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

La inammissibilità del ricorso comporta altresì la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese a favore delle parti civili D.G. e L.R., liquidate, come da note spese ritenute congrue limitatamente agli onorari, in Euro 1.466,00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese, I.V.A. e C.P.A. per ciascuna parte civile.

Nei giudizi davanti alla Corte di Cassazione, infatti, l’attività dei difensori consiste nella sola "assistenza" di avvocato, onde non spettano al difensore le competenze procuratorie. (Cass. Sez. 3 Civ., Sentenza n. 19295 in data 8.9.2006 rv 592637).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende. Condanna altres’ il ricorrente alla rifusione delle spese a favore delle parti civili D.G. e L. R., liquidate in Euro 1.466,00, oltre rimborso forfettario delle spese, I.V.A. e C.P.A., per ciascuna parte civile.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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