Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-10-2011) 18-10-2011, n. 37684

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 30.9.2008, il G.U.P. del Tribunale di Palermo dichiarò A.A. responsabile dei reati di cui al D.L. n. 143 del 1991, art. 12 e art. 648 cod. pen., unificati sotto il vincolo della continuazione e – concesse le attenuanti generiche, con la diminuente per il rito – lo condannò alla pena di anni 1 mesi 4 di reclusione ed Euro 1.600,00 di multa.

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Palermo, con sentenza in data 30.9.2010, confermò la decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo:

1. violazione della legge processuale e vizio di motivazione in quanto il procedimento, a carico di ignoti, era stato archiviato in data 18.5.2005 ed è stato riaperto con decreto, emesso ai sensi dell’art. 414 cod. proc. pen., dal G.I.P. del Tribunale di Palermo in data 29.1.2007, sulla base di nuovi elementi ricavati da una nota della Stazione Carabinieri di Palermo Falde, in data 25.4.2005 (erroneamente indicata nel ricorso in 24.5.2005), pervenuta alla Procura di Palermo in data 4.5.2005 e quindi anteriore sia alla richiesta che al provvedimento di archiviazione, sicchè doveva essere nota sia al P.M. che al G.I.P., prima dell’archiviazione; la Corte territoriale ha rilevato che tale nota non era contenuto nel fascicolo a carico di ignoti e che per elementi nuovi si devono intendere anche quelli preesistenti all’archiviazione ma non conosciuti e valutati; la nota peraltro è indicata in copertina; il procedimento ancorchè formalmente contro ignoti doveva ritenersi a carico dell’imputato; da ciò deriverebbe la illegittimità del decreto di riapertura delle indagini, l’improcedibilità dell’azione penale e l’inutilizzabilità degli atti anche nel giudizio abbreviato;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità basata sull’individuazione fotografica di fotogrammi estrapolati dall’impianto di video registrazione della banca, di pessima qualità in quanto in bianco e nero, sgranate e lontane; inoltre la persona ripresa indossa un cappellino di lana, sicchè la persona offesa avrebbe solo creduto di riconoscere l’imputato; la Corte territoriale ha affermato che i fotogrammi non erano così scadenti da impedire il riconoscimento e che i Carabinieri avevano potuto rilevare che la persona che effettuò i prelievi in data 11 ed in data 12 febbraio era la stessa;

il ragionamento sarebbe illogico giacchè la conclusione dei Carabinieri (verosimilmente determinata da caratteri antropometrici e da capi di abbigliamento) non vale a far ritenere corretto il riconoscimento della persona offesa; il fatto che l’imputato fosse noto alla persona offesa in quanto marito della domestica della figlia, circostanza che non implica che frequentasse l’abitazione tanto da essere riconoscibile; è stato trascurato il dato dell’età della persona offesa, ultrasettantenne all’epoca dei fatti e dell’individuazione, nonchè l’ipotesi dell’errato riconoscimento di persona già vista; il mancato rispetto delle forme previste per la ricognizione comporterebbe maggior rigore motivazionale;

3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla determinazione della pena.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Anzitutto non è necessaria l’autorizzazione del giudice alla riapertura delle indagini nell’ipotesi in cui, successivamente all’archiviazione di una notizia di reato per esserne rimasti ignoti gli autori, siano iniziate nuove indagini per i medesimi fatti a carico di persone note, in quanto, in tal caso, si tratta di procedimenti del tutto autonomi, con la conseguenza che manca il presupposto della autorizzazione giurisdizionale e cioè la riapertura di uno stesso procedimento. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 28707 del 7.6.2005 dep. 29.7.2005 rv 232291).

Infatti, nel procedimento contro ignoti non è richiesta l’autorizzazione del G.I.P. alla riapertura delle indagini dopo il provvedimento di archiviazione per essere rimasti sconosciuti gli autori del reato, in quanto il regime autorizzatorio prescritto dall’art. 414 cod. proc. pen. è diretto a garantire la posizione della persona già individuata e sottoposta ad indagini, mentre nel procedimento contro ignoti l’archiviazione ha la semplice funzione di legittimare il congelamento delle indagini, senza alcuna preclusione allo svolgimento di ulteriori, successive attività investigative, ricollegabili direttamente al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. (Cass. Sez. U, Sentenza n. 13040 del 28.3.2006 dep. 12.4.2006 rv 233198).

In ogni caso l’art. 414 cod. proc. pen. prevede che l’autorizzazione alla riapertura delle indagini sia rilasciata a fronte dell’esistenza di nuove investigazione e non presuppone affatto l’acquisizione di nuovi elementi, a differenza di quanto previsto dall’art. 434 cod. proc. pen. per la revoca della sentenza di non luogo a procedere.

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, perchè propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata.

La corte territoriale ha infatti ritenuto che i fotogrammi consentissero la individuazione ed ha escluso ipotesi di condizionamento psicologico della persona offesa.

In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di motivazione o la sua manifesta illogicità.

Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.

Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicchè l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata legazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva.

Ciò dimostra, Infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello (Cass Sez. 6, sent. n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf mass N. 155508; n. 148766; n. 117242).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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