Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-03-2012, n. 5157 Parti comuni dell’edificio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.M. – proprietario di un fabbricato rurale in (OMISSIS), con diritti su una corte comune ad altri – convenne in giudizio F. B., proprietaria del confinante fabbricato, chiedendone la condanna alla restituzione all’uso comune di alcune porzioni immobiliari, insistenti sull’area cortilizia – un vano un tempo adibito a forno; un locale contenente una vasca per attingere l’acqua; un sottoscala trasformato in locale di uso esclusivo -, che la stessa si sarebbe fatta lecita di accorpare all’immobile di proprietà esclusiva o comunque di escludere dall’utilizzo del comproprietario deducente. La convenuta resistette alla domanda, da un lato affermando che il titolo di acquisto dell’attore non avrebbe fatto menzione dell’estensione della vendita anche alla corte che il P. assumeva comune; dall’altro sottolineando che su tale area non insistevano alcune delle porzioni rivendicate dall’avversario;

eccepì altresì l’usucapione – ordinaria o quindicennale – su dette porzioni immobiliari. Il Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Frascati, sentiti i testi ed esaminati gli atti di provenienza, pronunziò sentenza n. 51/2003, accogliendo la domanda del P. e ritenne non provati i presupposti dell’eccepita usucapione.

Con sentenza 25/11/2009 la Corte di appello di Roma rigettò il gravame della F. osservando: che i sette motivi di appello erano tutti infondati; che la causa era stata correttamente qualificata ed istruita come petitoria in relazione all’assunto del P. di rivendica di beni appropriati dalla F.; che il Tribunale aveva esaminato tutti gli atti di acquisto a decorrere da quello, datato 25/11/1886, di divisione (dell’utile dominio, indicato negli atti successivi come proprietà, pur non risultando le modalità dell’affrancazione) sino a quello del 16/7/1963 con il quale i beni in questione erano stati trasferiti ad B. A., dante causa comune di entrambe le parti; che i beni indicati come comuni nel succitato atto di divisione erano rimasti tali anche di fatto, dopo i vari passaggi di proprietà; che il diritto dominicale del P. trovava origine in quello stesso da cui derivava il titolo della F. e che non sarebbe stato modificato con gli atti di trasferimento dal B. alle parti in causa;

che in nessun atto risultava trasferito alla F. il locale forno in questione; che per il resto i beni rivendicati come comuni – ivi compresi il grottino e il locale cantina sottostanti all’area scoperta del cortile – facevano parte della particella comune 165 come risultava dagli atti di provenienza; che l’eccezione di usucapione sollevata dalla F. era stata correttamente rigettata per mancanza di prova; che la sentenza n. 14/2000 del Tribunale di Frascati – con la quale asseritamente sarebbe stato accertato l’acquisto per usucapione, da parte della F., del quinto del locale già adibito a forno,essendo i restanti quattro quinti già di proprietà della medesima per divisione ereditaria – pur risultando prodotta, sia pur tardivamente, innanzi al Tribunale, giusta annotazione contenuta nel verbale di udienza 13/11/2001, non poteva essere utilizzata a favore delle tesi dell’appellante – in particolare non risultando se fosse stata pronunziata anche nei confronti del P. o del suo dante causa e quale fosse stato l’oggetto della dichiarata usucapione – in quanto non era risultata depositata.

La cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma è stata chiesta dalla F. con ricorso affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso il P.; depositata relazione à sensi del combinato disposto dell’art. 380 bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., n. 5 e prodotte memorie illustrative, all’esito dell’adunanza in camera di consiglio del 18 novembre 2011 la causa è stata rimessa all’esame della Corte in pubblica udienza con ordinanza interlocutoria in pari data; il contro ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo la ricorrente fa valere il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione per aver la Corte di appello errato nell’identificazione dell’oggetto del giudizio – affermando nella narrativa del fatto che essa ricorrente sarebbe stata proprietaria del fabbricato indicato in catasto al fol 10, particella 102 sub 2, per acquisto da B.A. – assumendo in contrario che essa ricorrente sarebbe stata invece proprietaria dell’intero fabbricato di cui alla particella 102 sub 3 a titolo ereditario sin da prima del 1941 e non per acquisto dal B., da cui avrebbe invece acquistato la metà dei sovrastanti locali – piano primo e secondo – identificati con il subalterno n. 2 della stessa particella 102. 2 – Con il secondo motivo viene denunziata la violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 111 Cost. per aver la Corte di Appello: travisato i fatti (ed il contenuto dagli atti posti a fondamento della decisione) sull’erroneo presupposto dell’esistenza di un comune dante causa delle parti e ravvisato una comproprietà non riscontrabile nè nell’atto di acquisto del P. (nel quale non si rinviene identità tra il bene descritto nel titolo e quelli rivendicati) nè in quello del B.: il P., quindi, non avrebbe assolto all’onere probatorio sullo stesso incombente in base ai principi in tema di rivendica.

2/a – Con il connesso quarto motivo la ricorrente fa valere la violazione dell’art. 2697 c.c. e vizi di motivazione per aver la Corte di Appello errato nell’affermare: sia che per i beni controversi vi sarebbe stato tra le parti un comune dante causa, sia che i beni indicati come comuni nell’atto del 1886 sarebbero rimasti tali fino alle vendite ad essa F. ed al P. (circostanza smentita dalla documentazione in atti);

3 – Con il terzo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 2697, 957, 958, 963, 970, 971 e 1140 c.c., nonchè vizi di motivazione, per aver la Corte di Appello confuso l’enfiteusi con la proprietà anche in assenza della prova dell’affrancazione, con conseguenti riflessi sull’onere della prova, non potendo a tal fine valere l’atto di divisione di utile dominio del 1886. 4 – Con il quinto motivo si denunzia la violazione dei principi del giusto processo, anche in relazione all’art. 111 Cost., per aver la Corte di appello omesso di rilevare di ufficio il giudicato esterno e di ordinare l’acquisizione della sentenza invocata a sostegno dell’eccezione di usucapione.

5 – I primi quattro motivi, che vanno esaminati congiuntamente – stante la loro comune critica al processo cognitivo dei dati di causa ed alla conseguente elaborazione dei medesimi da parte della Corte distrettuale – sono fondati.

5/a – Invero la Corte di Appello, sollecitata dall’impugnazione della F. a dar conto, attraverso l’analisi degli atti di provenienza, della discendenza per titula del proprio diritto domenicale su alcune porzioni insistenti sul cortile comune, parzialmente non coincidente rispetto all’atto di vendita del ritenuto comune dante causa B. – motivi da 2 a 6 dell’appello, come riportati nella gravata decisione – si è limitata a confermare i risultati interpretativi raggiunti dal primo giudice e, pur dando atto di alcune particolarità rinvenibili negli stessi rogiti – quali quelle attinenti alle planimetrie allegate agli stessi -, non ha ripercorso tutto l’iter documentale che la stessa F. aveva posto a corredo della propria impugnazione.

5/b – Il risultato al quale dunque è pervenuto il giudice dell’appello non può essere condiviso perchè frutto di analisi insufficiente e quindi difettoso nella sua motivazione giustificativa: tale rilievo non si pone in contraddizione con il principio – che questa Corte evidentemente condivide – secondo il quale la delibazione delle emergenze istruttorie costituisce oggetto del potere valutativo esclusivo del giudice del merito, atteso che il limite di tale enunciato è rappresentato dalla spiegazione – sufficiente e congrua – che lo stesso giudice deve fornire per le sue scelte interpretative, al fine di verificare la tenuta del suo percorso argomentativo.

6 – E’ invece infondato il quinto motivo 6/a – La F. si duole innanzi tutto della sostanziale violazione del diritto di difesa – sub specie dell’omessa attivazione di ufficio da parte della Corte del merito di acquisire d’ufficio la sentenza pronunziata nel separato giudizio di usucapione, a differenza di quanto operato dallo stesso giudice di appello in ordine ai titoli di provenienza del P. (di cui avrebbe sollecitato la produzione); dall’altro e conseguentemente fa valere l’accertamento definitivo circa la coincidenza del bene usucapito con quello oggetto di denunzia di occupazione abusiva della corte comune.

6/b – La ricorrente innanzi tutto si mette in contraddizione con il principio, pacifico nell’interpretazione di questa Corte (vedi Cass. 10623/2009; Cass. 8478/2008; Cass. 27881/2008), secondo cui, affinchè il giudicato esterno, che è rilevabile d’ufficio, possa far stato nel processo, è necessaria la certezza della sua formazione, che deve essere provata attraverso la produzione della sentenza con il relativo attestato della Cancelleria: nella specie la ricorrente non ha contestato che la sentenza, dalla stessa posta a base della sua eccezione di giudicato, non era stata ritualmente sottoposta all’esame della Corte distrettuale (in quanto non depositata).

6/c – In secondo luogo la stessa ricorrente omette di specificare il contenuto oggettivo e soggettivo della citata sentenza al fine di renderlo congruente rispetto alla materia qui controversa e quindi priva di qualunque riscontro il preteso cattivo uso da parte del giudice dell’appello di sollecitare il rideposito della medesima decisione.

6/d – Erroneo è infine il riferimento alla giurisprudenza di questa Corte in merito all’acquisizione d’ufficio della prova del giudicato esterno: sia perchè la parte ricorrente non ha messo in grado il Collegio di identificare la sentenza in esame neppure quanto a contenuto, sia perchè è mancato il nuovo deposito in appello di detta sentenza, dopo che il Tribunale ne aveva disposto lo "stralcio" – a seguito dell’eccezione di tardività sollevata da controparte -, così che non si vede per quale motivo la Corte distrettuale avrebbe dovuto sollecitare la parte, che aveva effettuato detto deposito in primo grado, a ridepositare una decisione sulla quale si fondava uno specifico motivo di appello.

7 – La sentenza va dunque cassata e la causa rinviata innanzi a diversa sezione della Corte di Appello di Roma, che provvederà anche sulla ripartizione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie i primi quattro motivi di ricorso; rigetta il quinto; cassa e rinvia a diversa sezione della Corte di Appello di Roma anche per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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