Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-03-2012, n. 5151 Parti comuni dell’edificio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 4 marzo 1992 i sigg. I. R. e M.I. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, i sigg. I.V., V.V., P.G. e I.G., assumendo di essere proprietari dell’appartamento sito in (OMISSIS) e, sul presupposto che le due coppie di coniugi, rispettivamente proprietarie di due appartamenti ubicati al primo ed al secondo piano, avevano realizzato abusivamente delle opere edilizie incorporando nei loro rispettivi alloggi una porzione del vano scala con lesione del diritto di comproprietà sulle parti comuni dell’edificio (con correlata alterazione tecnico- funzionale-estetica delle pareti), chiedevano la condanna dei suddetti convenuti alla demolizione delle opere illegittimamente realizzate, con integrale riduzione dei luoghi nel pristino stato, oltre al risarcimento del danno. Nella costituzione dei convenuti ed all’esito dell’esperita istruzione probatoria, il designato G.O.A. della Sezione stralcio del Tribunale adito, con sentenza n. 12501 del 26 febbraio 2003, rigettava la domanda attorea essendo rimasto accertato che i convenuti avevano acquisito per usucapione la proprietà dei ripostigli dedotti in controversia e condannava gli attori, oltre che al pagamento delle spese giudiziali, al risarcimento dei danni in favore dei convenuti ai sensi dell’art. 96 c.p.c.. Interposto appello da parte degli originari attori e nella resistenza di tutti gli appellati, la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 1694 del 2010, accoglieva il gravame e, in riforma della sentenza impugnata, revocava la dichiarazione di usucapione dei manufatti costruiti dagli appellati e ne ordinava, a cura e spese degli stessi ed entro il termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, l’arretramento e l’allineamento a quello di mt.

2,05.1.09, realizzato dagli appellanti; condannava i medesimi appellati, in solido fra loro, alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio. A sostegno dell’adottata decisione, la Corte territoriale rilevava, innanzitutto, che il giudice di prime cure non aveva dato il giusto rilievo ai documenti prodotti in causa (e, in particolare, alla sentenza del Tribunale di Roma n. 17004 del 1997, confermativa di quella pretorile di primo grado n. 4733 del 1993), che erano utili per stabilire il termine iniziale per l’usucapione, dai quali si evinceva che i manufatti per cui era causa erano stati costruiti successivamente all’edificio e all’acquisto delle rispettive proprietà ad opera delle parti in giudizio e che, in particolare, i ripostigli in questione erano stati realizzati quando non si era ancora compiuto il termine ventennale necessario per l’acquisto della relativa proprietà a titolo di usucapione. Superata la questione preliminare attinente alla contestata usucapione, la Corte capitolina riteneva, conseguentemente, fondato il gravame sulla scorta delle conclusioni del c.t.u. e, pertanto, ordinava l’arretramento delle opere illegittime nei sensi precedentemente indicati.

Avverso la suddetta sentenza di secondo grado (non notificata) hanno proposto ricorso per cassazione I.V. e V. V., articolato in due motivi, al quale hanno resistito con controricorso gli intimati I.R. e M.I., mentre gli altri due intimati P.G. e I. G. si sono costituiti formulando, a loro volta, ricorso incidentale riferito a cinque motivi. I difensori di tutte le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo i ricorrenti principali hanno censurato la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per omessa pronuncia sull’eccezione di cosa giudicata tempestivamente sollevata con riferimento agli effetti della sentenza definitiva del Tribunale di Roma n. 24842 del 2007 (di cui era stata ordinata l’acquisizione con ordinanza interlocutoria della stessa Corte di appello capitolina), con la quale era intervenuta la dichiarazione dell’avvenuto acquisto per usucapione della titolarità del loro appartamento sito in (OMISSIS), nella sua consistenza comprensiva del realizzato ripostiglio.

1.1. Il motivo è infondato e deve, pertanto essere rigettato.

Al di là del profilo che la doglianza di omessa pronuncia avrebbe dovuto essere prospettata con la deduzione del vizio riconducibile alla violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e non al n. 3 della stessa norma (cfr., ad es., Cass. n. 12952 del 2007 e Cass. n. 26598 del 2009), rileva il collegio che il motivo non è meritevole di pregio perchè la Corte territoriale, dando atto dell’avvenuta produzione della suddetta sentenza irrevocabile n. 28842 del 2007 (cfr. pagg. 13-14 della sentenza impugnata), ha, comunque, inteso affermare che il giudicato (peraltro riferito solo alle parti I.V. e I.R.) si era venuto a formare sull’acquisto per usucapione degli appartamenti (con relativa cantina), escludendo, implicitamente, che potessero essere in essi inclusi anche i ripostigli insistenti su parti condominiali, come dedotti in controversia, costituendo una mera deduzione difensiva l’allegazione di tale circostanza (senza potersi conferire, in proposito, alcuna idonea valenza propriamente giuridica al prodotto accatastamento).

2. Con il secondo motivo i ricorrenti principali hanno dedotto il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in virtù dell’art. 360 c.p.c., n. 5, avuto riguardo all’individuazione dell’oggetto del giudicato formatosi tra le parti e all’inadeguata esplicitazione delle ragioni dell’accoglimento dell’appello nei loro confronti, evidenziando la inadeguatezza della sentenza nella parte in cui, pur essendo stata richiesta la demolizione delle opere assunte come abusive, aveva ordinato l’arretramento dei manufatti.

2.1. Anche questa doglianza è priva di fondamento.

Al di là della carenza di interesse relativa alla deduzione del mancato ordine di demolizione dei ripostigli (che, se fosse stato adottato, sarebbe stato peggiorativo per i ricorrenti), rileva il collegio che la Corte territoriale ha fornito una congrua e logica giustificazione argomentativa in ordine alle conclusioni raggiunte con l’accoglimento del gravame alla stregua della mancata prova di un possesso ultraventennale utile ai fini dell’usucapione, essendo, invero, rimasto comprovato – sulla scorta dell’accertamento di una serie di elementi obiettivi di fatto idoneamente riscontrati ed adeguatamente valorizzati (cfr. pagg.5-9 della sentenza impugnata) – che l’epoca di costruzione dei manufatti risaliva ad un’epoca dal cui decorso non era ancora maturato (rispetto all’intervenuto esercizio dell’azione giudiziale) il termine ventennale, per quanto emergente dalle sentenze divenute irrevocabili prese in considerazione, dalle dichiarazioni delle parti e dalle conclusioni del c.t.u. fondate su dati oggettivi e non idoneamente confutati.

3. Con il primo motivo i ricorrenti incidentali P.G. e I.G. hanno denunciato la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, sul presupposto che la Corte di appello aveva posto a fondamento della sua decisione, in ordine all’esclusione dell’usucapione dei ripostigli realizzati al primo ed al secondo piano del fabbricato, la sentenza pretorile n. 4733 del 2993 (confermata in appello dal Tribunale di Roma con la sentenza n. 17004 del 1997) resa "inter partes" con riferimento al ripostiglio costruito, invece, al terzo piano.

3.1. La censura non coglie nel segno.

Infatti, al di là dell’aspetto che la doglianza avrebbe dovuto essere dedotta sotto il profilo della violazione di legge (da ricondurre all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: cfr., per tutte, Cass., S.U., n. 24664 del 2007 e Cass. n. 21200 del 2009), nella sentenza impugnata la Corte territoriale ha desunto dal precedente giudicato solo la circostanza che i ripostigli ai piani inferiori al terzo erano stati costruiti anteriormente a quello del terzo piano, realizzato nel 1991, affermando, inoltre, che la costruzione di detti ripostigli in epoca non utile ai fini dell’usucapione (negli anni ottanta) emergeva dalla consulenza prodotta dagli attori, dalla quale era scaturito che il ripostiglio dei ricorrenti incidentali era stato costruito nell’anno 1985 o nel 1981, nonchè dalla c.t.u., la quale, prendendo a base della sua valutazione i materiali utilizzati, aveva ritenuto che, presumibilmente, i ripostigli in questione erano stati edificati nell’anno 1980, oltre che da altri elementi idoneamente valorizzagli, come le dichiarazioni rese dalle parti in sede di sopralluogo.

4. Con il secondo motivo i predetti ricorrenti incidentali hanno prospettato il vizio di contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, avuto riguardo alla stessa circostanza dell’accertamento dell’epoca di costruzione dei ripostigli dedotti in controversia, con riferimento alla dichiarazioni rese in altro giudizio dagli stessi coniugi P. – I..

4.1. Anche questa doglianza è priva di fondamento dovendo ritenersi che la motivazione, per quanto globalmente evidenziato con riferimento al primo motivo del ricorso incidentale appena esaminato, sia sufficientemente logica ed esaurientemente sviluppata nella ricostruzione finale dell’epoca di costruzione dei manufatti in questione, siccome comunque basata su plurime circostanze di fatto idoneamente riscontrate ed evidenziate dalla Corte territoriale.

5. Con il terzo motivo i ricorrenti incidentali hanno dedotto il vizio di omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, avuto riguardo alla ritenuta inattendibilità dei testi indicati dalle parti convenute in primo grado, dalle cui deposizioni era scaturita la circostanza del decorso del termine utile per l’acquisto a titolo di usucapione.

5.1. Anche questo motivo è destituito di fondamento e va rigettato.

Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte (cfr. Cass. n. 9662 del 2001; Cass. n. 21412 del 2006 e, da ultimo, Cass. n. 42 del 2009) la valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti. Nella fattispecie, la Corte di appello, nell’esercizio del suo potere valutativo conferitogli dall’art. 116 c.p.c. (e non risultando acquisite prove legali), ha rilevato l’inattendibilità delle deposizioni testimoniali sulla circostanza in questione, manifestando, in modo sufficientemente motivato, la preferenza per gli altri elementi istruttori ritualmente acquisiti siccome confortati da dati obiettivi. Nè, peraltro, in ossequio al principio di autosufficienza della doglianza, i ricorrenti incidentali hanno evidenziato in base a quali circostanze, effettivamente ricavabili (riportando il contenuto delle deposizioni nelle parti ritenute rilevanti allo scopo) dalla prova testimoniale, la valutazione di preponderanza degli altri elementi probatori ritenuta dalla Corte territoriale potesse risultare illogica o contraddittoria.

6. Con il quarto motivo I suddetti ricorrenti incidentali hanno censurato la sentenza della Corte di appello di Roma per contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella parte in cui era stata disposta la condanna all’arretramento dei ripostigli rispetto alla domanda attorea diretta all’ottenimento della demolizione dei manufatti.

6.1. Questa censura è inammissibile perchè, oltre a dover essere – in ipotesi – dedotta sotto il profilo della violazione dell’art. 112 c.p.c. (e, quindi, incasellata nel vizio riconducile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), è priva di interesse, essendo, sul piano concreto, più favorevole ai ricorrenti incidentali la condanna all’allineamento e al relativo arretramento che alla demolizione dei manufatti, nulla impedendo agli stessi di provvedervi di loro iniziativa, garantendo un pieno soddisfacimento della pretesa delle controparti.

7. Con il quinto ed ultimo motivo i ricorrenti incidentali hanno denunciato la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 36 e 167 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, fondata sul presupposto dell’assunta erronea tardività dell’eccezione riconvenzionale di usucapione, da ritenersi, invece, tempestivamente e ritualmente proposta da essi ricorrenti incidentali all’atto della loro costituzione nel giudizio di primo grado.

7.1. Anche quest’ultima doglianza non ha pregio avendo escluso la Corte di appello (cfr. pagg. 9-10 della sentenza impugnata), in base al completo e logico esame degli atti processuali, la rituale proposizione dell’eccezione di usucapione da parte dei ricorrenti incidentali, dedotta formalmente solo con la comparsa conclusionale in prime cure, non potendosi desumere (nemmeno, quindi, in base alla prospettazione difensiva generica richiamata con il motivo in esame) che fosse stata formulata tempestivamente "fin dalla prima udienza" (come sostenuto dai medesimi P.G. e I. G.) in modo inequivoco, essendosi i ricorrenti in questione limitati ad invocare, con la difesa iniziale, solo il rigetto della domanda (senza, perciò, precisare compiutamente e specificamente l’eccezione riconvenzionale di usucapione) ed il risarcimento dei danni da lite temeraria.

8. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni esposte, si deve pervenire al rigetto sia del ricorso principale che di quello incidentale.

9. Quanto alle spese del presente giudizio, sulla scorta dei rapporti intercorsi tra le parti, delle plurime vicende giudiziali succedutesi tra le stesse, dell’esito alterno dei gradi di merito, della natura delle questioni trattate e – per quel rileva nell’inerente relazione processuale – della reciproca soccombenza dei ricorrenti principali e di quelli incidentali, si ritiene che sussistano giusti ed equi motivi per dichiararle interamente compensate con riferimento a tutti i rapporti processuali instauratisi.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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