Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-03-2012, n. 5148 Innovazioni e modificazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.S., proprietario di una parte dell’immobile sito in (OMISSIS), il 20 febbraio 1982, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di quella città, il fratello B. F., proprietario della restante parte dell’ immobile, di cui sopra, per ivi sentirlo condannare al risarcimento dei danni provocati dall’utilizzazione abusiva di parti comuni e dell’esecuzione di lavori di ristrutturazione nella proprietà esclusiva (creando lesioni strutturali all’immobile), nonchè al pagamento di alcuni debiti, e alla rimozione di tre canne fumarie realizzate dal convenuto, con attraversamento del proprio immobile, per inadempimento di un accordo verbale, in base al quale sarebbe stato consentito il passaggio di due altre canne fumarie, nel proprio immobile, dietro il corrispettivo della cessione di uno stanzino ripostiglio.

Si costituiva B.F., resistendo alla domanda, e, in via riconvenzionale, chiedeva il risarcimento del danno e la rifusione delle somme dovutegli dall’attore.

Dopo l’interruzione per la morte del convenuto, il processo continuava nei confronti degli eredi T.M., B. G. e B.A., i quali provvedevano a costituirsi.

Il Tribunale di Lecce, con sentenza n. 1560 del 2000, dichiarava compensati i reciproci crediti, condannava gli eredi di B. F. a risarcire i danni derivanti dalle lesioni, così come descritte nel punto 5 della relazione del CTU, nonchè, a rimuovere le canne fumarie ed a rifondere all’attore, i due terzi delle spese di causa, compensava il residuo (delle spese giudiziali).

Avverso questa sentenza, interponeva appello, B.G..

Si costituiva B.S. contestando il contenuto dell’impugnazione e chiedendo la conferma della decisione impugnata.

La Corte di Appello di Lecce, con sentenza del 24 febbraio 2002, accoglieva, per quanto di ragione, l’impugnazione e per l’effetto rigettava la domanda di risoluzione contrattuale e di rimozione delle canne fumarie proposta da B.S. con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, precisava la statuizione n. 4 della gravata pronunzia nel senso che gli eredi di B.F. erano condannati a riparare le fessurazioni e le lesioni mediante: a) la rimozione dell’intonaco; b) sarcitura delle lesioni mediante pulitura, bagnatura, sigillatura con malta cementizia, rinzaffatura con schegge di pietra viva e laterizio; c) ripresa dell’intonaco, d) tinteggiatura; dichiarava interamente compensate, tra le parti, le spese sul doppio grado del giudizio.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione B. S. sulla base di due motivi. B.G. resisteva con controricorso.

La Corte Suprema di Cassazione, con sentenza n. 21632 del 2006, accoglieva il ricorso, annullava la sentenza impugnata e rinviava il processo ad altra sezione della Corte di Appello di Lecce, enunciando il seguente principio: "La rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto opera quando si chieda l’inadempimento del contratto, in considerazione del potere del giudice di verificare la sussistenza delle condizioni dell’azione e non, quando la domanda sia diretta a far dichiarare l’invalidità del contratto, dovendosi coordinare l’art. 1421 c.c. con gli artt. 99 e 112 c.p.c. i quali sulla base del principio dispositivo su cui va modellato il processo impongono al giudicante il limite insuperabile della domanda attorea, anche alla luce del nuovo art. 111 Cost. che richiede di evitare al di là di precise e certe indicazioni normative ampliamenti dei poteri di iniziativa officiosa".

B.S., provvedeva a riassumere il giudizio, davanti alla Corte di Appello di Lecce, nei confronti di B.G., B.A. e T.M..

Si costituiva solo B.G., mentre restavano contumaci B.A. e T.M..

La Corte di appello di Lecce, con sentenza n. 389 del 2009: a) rigettava la domanda di rimozione delle canne fumarie e della canna di areazione, come avanzata da B.S. nei confronti di B.F. (adesso nei confronti degli eredi dello stesso) e riassunta in danno di B.G., di B.A. e di T.M.; b) dichiarava compensate le spese tra le parti per tutti i gradi del giudizio. A sostegno di questa decisione, la Corte territoriale, osservava: a) In ragione del principio affermato dalla Corte Suprema di Cassazione, il presente procedimento, doveva riguardare, soltanto, la questione relativa alla richiesta di rimozione delle due canne fumarie e di quella di aereazione, dato che altra domanda avanzata dalle parti risultava, ormai, definita con la sentenza di secondo grado; b) andava esclusa, nella specie, ogni valutazione sulla nullità dell’accordo che B.S. assumeva di aver stipulato con B.F. con il quale, quest’ultimo, si sarebbe impegnato a trasferirgli la proprietà di un piccolo vano sgabuzzino in cambio del suo consenso al passaggio di due canne fumarie e di una d’areazione; 3) l’esame della Corte può involgere, soltanto, la stipula, ancorchè verbale di detto accordo e del suo adempimento. Ebbene, dell’esistenza del dedotto accordo, l’odierno riassumente, non ha fornito prova sufficiente.

La cassazione della sentenza n. 389 del 2009, della Corte di Appello di Lecce, è stata chiesta da B.S., con atto di ricorso affidato a due motivi.

B.G. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1 .- Con il primo motivo di ricorso, B.S., lamenta: la violazione, falsa applicazione degli artt. 384 e 394 c.p.c., nonchè l’omessa motivazione, su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Secondo il ricorrente, la Corte di Appello di Lecce, in sede di rinvio, è andata oltre i poteri e i limiti che la normativa indicata prevede espressamente, giungendo a disattendere il principio di diritto sancito dalla Corte Suprema di Cassazione, nella sentenza del 6 ottobre 2006, nonchè la valutazione dei fatti di causa già definitivamente accertati. A suo giudizio, infatti, dovevano ritenersi precluse tutte le questioni di fatto e di diritto costituenti il presupposto logico del principio di diritto affermato, cosicchè la Corte di Appello non avrebbe potuto riesaminare, come invece ha fatto, la questione relativa alla stipulazione e all’esistenza dell’accordo della cui risoluzione si controverteva.

1.1.- Il motivo è infondato.

La Corte di appello ha preso atto del principio di diritto affermato da questa Corte nella sentenza di cassazione con rinvio, secondo il quale, nel caso di specie, la nullità rilevata non poteva esserlo d’ufficio com’era avvenuto. Ed ha altresì preso atto che a seguito di detta sentenza, per un verso le era stata restituita nella sua integralità, la domanda avanzata dall’originario attore consistente nella risoluzione per inadempimento di un preteso contratto verbale, con il quale B.S. (originario attore) aveva concesso la possibilità all’originario convenuto, di installare due canne fumarie ed una canna di aereazione attraversando il proprio immobile, dietro il corrispettivo della cessione di uno stanzino ripostiglio.

Ma per altro verso la pronuncia della Corte di Cassazione le rimetteva anche l’esame delle eccezioni con le quali B. F. (e poi i suoi eredi) aveva contrastato la pretesa dell’attore e, in particolare, dell’eccezione secondo la quale il contratto dedotto in giudizio in effetti non era stato mai stipulato.

Su tale ultima questione, infatti, non c’era stata alcuna pronuncia da parte della Corte d’appello con la sentenza cassata, non avendola la Corte presa in esame.

Costituiva principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale "qualora il giudice decida esplicitamente su una questione, risolvendone in modo implicito un’altra, rispetto alla quale la prima si ponga in rapporto di dipendenza, e la decisione venga impugnata sulla questione; risolta espressamente, non è possibile sostenere che sulla questione risolta implicitamente si sia formato un giudicato implicito, in quanto l’impugnazione sulla questione dipendente preclude la formazione di tale giudicato, il quale suppone il passaggio in giudicato della decisione sulla questione dipendente espressamente decisa" (da ultimo Cass. 9 giugno 2010 n. 13833; 7 novembre 2005 n. 21490). In particolare, a proposito del giudizio di cassazione, è stato costantemente enunciato il principio secondo il quale il ricorso incidentale per cassazione, anche se qualificato come condizionato, presuppone la soccombenza e non può, quindi, essere proposto dalla parte che sia risultata completamente vittoriosa nel giudizio di appello, nè quest’ultima ha l’onere di riproporre le domande e le eccezioni non accolte o non esaminate dal giudice d’appello, poichè l’eventuale accoglimento del ricorso principale comporta la possibilità che dette domande o eccezioni vengano riesaminate in sede di giudizio di rinvio (Cass. 10 dicembre 2009, n. 25821, 16 luglio 2001, n. 9637).

Di recente, per altro, le Sezioni Unite di questa Corte, sviluppando i principi enunciati dalla sentenza 9 ottobre 2008 n. 24883 in materia di giudicato; implicito sulla giurisdizione, si sono discostate dai suddetti precedenti con la sentenza 26 gennaio 2011, n. 1764, con la quale hanno affermato il formarsi di un giudicato implicito sulle questioni pregiudiziali non fatte oggetto di ricorso incidentale per cassazione della parte vittoriosa nel giudizio di appello.

L’iter argomentativo adottato potrebbe condurre ad uguale conseguenza per le questioni preliminari di merito.

Anche ove possa così ritenersi, per altro, ragionandosi nell’ottica della sentenza n. 24883 del 2008, va affermato, in conseguenza di quanto statuito in quella decisione, che il giudicato implicito non può mai formarsi sulla questione preliminare quando dalla motivazione della sentenza risulti che l’evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione ed abbia. indotto il giudice a decidere per saltum, non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni.

Tale è la situazione verificatasi nel caso di specie, avendo la Corte d Appello, con la sentenza a sua tempo cassata, proceduto per saltum, omettendo di esaminare la questione relativa all’esistenza del contratto verbale stante l’evidenza che, nella materia de qua un contratto verbale sarebbe stato comunque nullo.

Pertanto deve ritenersi che nel caso di specie non si era formato alcun giudicato preclusivo dell’esame, da parte della Corte di Appello in sede di rinvio, della questione relativa all’esistenza del contratto verbale oggetto del giudizio formulata da B. G..

2- Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria su di un punto decisivo della controversia anche per omessa ed erronea valutazione di risultanze processuali e documentali in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. In particolare, il ricorrente deduce che la Corte di Appello di Lecce nel ritenere che non sia stata data alcuna prova dell’esistenza dell’accordo verbale tra le parti, la cui esistenza, invece, era stata affermata dal Tribunale in primo grado, avrebbe negato in modo sommario valore probatorio alle deposizioni dei testi V.G. e L.L..

2.1.- Il motivo è infondato e non può essere accolto, non solo, perchè richiederebbe una nuova e diversa valutazione delle risultanze istruttorie, inibita al Giudice di legittimità, ma, soprattutto, perchè la Corte di Lecce ha indicato, in modo esauriente, l’iter logico che ha comportato il giudizio d’insufficienza della prove offerte a dimostrare l’inesistenza del contratto di cui si dice. La Corte di Lecce, infatti, non ha mancato di specificare, tra l’altro, che la CTU dava modo di intendere correttamente le stesse deposizioni testimoniali, considerato che aveva accertato che il vano ove transitavano le canne fumarie era stato realizzato contestualmente alla costruzione dell’immobile, da parte dell’unico proprietario, dal quale era, poi, pervenuto agli odierni ricorrenti e che quel vano era stato adibito a camino, Pertanto, la sentenza appare convincente laddove afferma che restava provato il pacifico consenso prestato da B.S. a B.F. per il passaggio delle canne in parola nel vano esistente nella sua proprietà e, già in tal senso predisposto dall’originario proprietario del fabbricato, poi diviso tra le parti, nonchè la mancanza di prova sull’accordo dell’attore per il quale B.F. avrebbe compensato il consenso, così prestato con la cessione di un piccolo vano da adibire a sgabuzzino.

Ne consegue che il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannato al pagamento delle spese del giudizio, così come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2500,00 oltre Euro 200 per esborsi e oltre spese generali e accessori come per legge.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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