Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-03-2012, n. 5145 Petizione di eredità Vendita dell’eredità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 2 ed il 5.3.1996 F. G., prospettandosi cessionario di tutti i diritti pervenuti alla Fondazione Premio Nobel per effetto della successione testamentaria di d.B.B.L., apertasi il 2.8.1972, agiva contro la Fondazione (OMISSIS) per la ricerca sul cancro, erede, a sua volta, di B.T., coniuge di d.B.B.L. e legataria dell’usufrutto generale dei beni di lui, per sentirla condannare alle restituzioni o al risarcimento del danno, lamentando che la B. aveva posto in essere illegittimi atti di disposizione di taluni beni relitti.

Deduceva, in particolare, che B.T. aveva alienato a terzi scorte vive di un’azienda agricola (costituite da due mucche e 148 ovini), riscosso 35.000.000 di lire, quale controvalore di 3.100 quintali di vino, senza conferirne l’importo all’eredità, e utilizzato, retrodatandolo ad otto giorni prima della morte del de cuius, un fissato bollato firmato in bianco da quest’ultimo, per intestarsi 18.000 delle 36.000 azioni costituenti il capitale sociale della M.I.T.U.R. s.p.a. Conveniva, altresì, in giudizio l’avv. M.A., esecutore testamentario della B., prima, e curatore della relativa eredità giacente fino a quando la Fondazione (OMISSIS) per la ricerca per il cancro, ottenuto il riconoscimento, non aveva accettato l’eredità con benefico d’inventario. Nei confronti di entrambi i convenuti, quindi, domandava, previa dichiarazione di nullità degli atti in questione, le restituzioni o il risarcimento del danno.

Resistevano in giudizio entrambi i convenuti. In particolare, l’avv. M. eccepiva la prescrizione del diritto azionato.

Il Tribunale di Roma, qualificata la domanda come petizione di eredità, la rigettava per difetto di legittimazione attiva del F.. Sentenza, questa, confermata dalla Corte d’appello di Roma, sebbene sulla base di una diversa qualificazione giuridica – rivendica di beni ereditari sulla base di una vendita di eredità – e della ritenuta prescrizione del diritto, ritenendo che la citazione dell’avv. M., nella sua qualità di curatore dell’eredità giacente, non fosse idonea a interrompere la prescrizione in confronto all’erede testamentario.

Proposto ricorso per cassazione dal F., questa Corte con sentenza n.5334/04 annullava la pronuncia d’appello, ritenendo che in base all’art. 529 c.c. il curatore dell’eredità giacente, sebbene non sia rappresentante del chiamato all’eredità, è tuttavia legittimato sia attivamente che passivamente in tutte le cause che riguardano l’eredità stessa, per cui l’azione esercitata nei suoi confronti costituiva valido atto interruttivo della prescrizione nei confronti dell’erede.

Il successivo giudizio di rinvio era definito con sentenza n.4336/09 della Corte d’appello di Roma, la quale rigettava la domanda.

In particolare, la Corte capitolina riteneva prescritta l’azione nei confronti dell’avv. M., in difetto di atti interruttivi che lo riguardassero in proprio, e non come curatore dell’eredità giacente, incarico da cui era cessato nel 1978.

Quanto alla domanda proposta nei confronti della Fondazione, la Corte d’appello rilevava che era incontestato che gli atti di disposizione posti in essere dalla B., quanto alla vendita dei capi di bestiame e del vino, avevano ad oggetto beni di un’azienda agricola posta in Tarante, e che, pertanto, in applicazione dell’art. 981 c.c., non bastava accertare la mancata reintegrazione di singoli beni o il mancato reimpiego dei capitali riscossi, ma occorreva che gli atti di gestione dell’azienda fossero tali da menomarne in modo sensibile l’efficienza produttiva, mentre nel caso di specie nulla risultava quanto alla redditività precedente e successiva dell’azienda.

In merito alle azioni della soc. M.I.T.U.R. osservava che in base all’art. 1994 c.c. non è soggetto a rivendicazione il soggetto che ha acquistato il possesso di titoli di credito, quali, appunto, delle azioni, in conformità della legge sulla relativa circolazione, il che rendeva superfluo ogni accertamento sulla sussistenza o meno dell’asserito riempimento abusivo del fissato bollato.

Oltre a ciò, la Corte capitolina osservava che le domande proposte dalla Fondazione dovevano essere respinte anche sotto altro profilo.

Infatti, in base alla sentenza n.5334/04 di questa Corte, doveva ormai ritenersi definitivamente accertato che l’atto di cessione dei diritti ereditari da parte della fondazione Premio Nobel al F. fosse da qualificarsi come vendita di eredità, con la conseguenza che quest’ultimo era subentrato non nella complessiva situazione soggettiva dell’erede, ma nei singoli rapporti giuridici riguardanti i beni trasferiti. Pertanto, ogni azione poteva essere proposta unicamente verso il venditore, anche se nella fattispecie, non avendo la vendita di eredità avuto quale suo oggetto dei beni determinati, il venditore, in base alla regola dell’art. 1542 c.c., era tenuto solo a garantire la qualità di erede.

Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre F. G., formulando cinque motivi d’annullamento.

Resistono con separati controricorsi entrambe le parti intimate, che hanno altresì depositato memoria.

Motivi della decisione

Preliminarmente va rilevata l’inammissibilità del controricorso di M.A., in quanto l’avviso di ricevimento della relativa notificazione avvenuta a mezzo del servizio postale è stata depositata dopo la relazione.

1. – Con il primo motivo è dedotta la violazione dell’art. 2909 c.c. e artt. 324 e 394 c.p.c..

Sostiene parte ricorrente che con la sentenza della cassazione si è formato il giudicato interno sulla qualificazione della cessione dei diritti ereditari dalla Fondazione Premio Nobel al F. come vendita di eredità, e sull’azione esercitata da quest’ultimo quale rivendica della proprietà. Pertanto la Corte d’appello non poteva, in sede di rinvio, sollevare la questione di legittimazione attiva o passiva delle parti, essendo stata quest’ultima implicitamente decisa da questa Corte quale presupposto necessario della pronuncia di annullamento con rinvio.

2. – Con il secondo motivo è denunciata la falsa applicazione del principio processuale che attribuisce rilievo probatorio alle mancate contestazioni, nel senso, si sostiene, che la Corte territoriale ha applicato il principio di non contestazione non ad un fatto dedotto, ma ad una argomentazione difensiva; lamenta, inoltre, che la Corte d’appello, violando l’art. 2697 c.c., abbia ritenuto gravante sul F. l’onere di provare il subentro nella proprietà dei beni depauperati. L’errore, sostiene il ricorrente, sta nel fatto che il F. non ha agito per il risarcimento del danno, ma perchè gli fossero restituiti i capi di bestiame che in base all’inventario dei beni ereditari dovevano esistere al momento dell’apertura della successione. Infine, non è esatta l’applicazione dell’art. 981 c.c., comma 1, atteso che quanto meno riguardo all’elevato numero di ovini era configurabile un gregge, con consequenziale applicazione, semmai, dell’art. 994 c.c..

3. – Con il terzo motivo è dedotta la violazione dell’art. 1640 c.c., comma 1, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 981 c.c. quanto ai 35 milioni di lire ricavati dalla vendita del vino, sostenendosi che la sentenza impugnata ha erroneamente equiparato, ai fini della decisione, il vino (che è un prodotto) alle scorte (che costituiscono dotazione del fondo).

4. – Con il quarto motivo è dedotta la violazione degli artt. 1994 e 1146 c.c. Sostiene parte ricorrente che l’art. 1194 c.c. sia inapplicabile, nella specie, per la male fede della B. nel retrodatare il trasferimento delle azioni mediante il fissato bollato firmato in bianco, e che la Fondazione, quale erede di quest’ultima, è succeduta anche nel possesso delle azioni viziato da mala fede.

5. – Con il quinto motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1292 e 1310 c.c.. Nel dichiarare prescritta l’azione nei confronti dell’avv. M., la Corte d’appello non ha tenuto conto che quest’ultimo è stato evocato in giudizio quale debitore in solido della Fondazione, di talchè, ai sensi dell’art. 1310 c.c., i fatti interruttivi della prescrizione nei confronti della Fondazione valgono anche nei confronti di lui.

6. – Il primo motivo è infondato.

6.1.- Come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di rinvio, è precluso alle parti di ampliare il thema decidendum e di formulare nuove domande ed eccezioni ed al giudice – il quale è investito della controversia esclusivamente entro i limiti segnati dalla sentenza di cassazione ed è vincolato da quest’ultima relativamente alle questioni da essa decisa – non è, pertanto, consentito qualsiasi riesame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato, sulla scorta di fatti o profili non dedotti, nè egli può procedere ad una diversa qualificazione giuridica del rapporto controverso ovvero all’esame di ogni altra questione, anche rilevabile d’ufficio, che tenda a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione in contrasto con il principio della sua intangibilità (Cass. n. 5381/119). Lo stesso enunciato è stato ritenuto applicabile non solo in ordine agli errores in indicando relativi al diritto sostanziale, ma anche alle violazioni di norme processuali, tutte le volte in cui il principio sia stato enunciato rispetto a un fatto con valenza processuale (v. Cass. S.U. n. 15602/09).

Ciò in quanto ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, il giudice di rinvio deve uniformarsi al principio di diritto "e comunque a quanto statuito dalla Corte", espressione, quest’ultima, che copre tutte le affermazioni necessariamente presupposte o implicate dalla decisione del giudice di legittimità. Il discrimine tra i poteri esercitabili da parte del giudice di rinvio, si coglie, pertanto, a misura dell’attitudine del nuovo accertamento a vanificare limiti, portata ed effetti delle statuizioni di diritto, o delle affermazioni di un fatto processuale, contenute nella sentenza di cassazione, nel senso che il giudizio di rinvio non può mettere capo ad una pronuncia che in qualunque modo ne ecceda i limiti di riferimento. Per contro, deve ritenersi reiterabile ogni altra attività funzionale alla decisione di merito, la quale non contraddica le soluzioni accolte in sede di legittimità. 6.2. – Nello specifico, il giudicato interno ritraibile dalla sentenza n. 5334/04 di questa Corte, riguarda, innanzi tutto, la qualificazione giuridica, in termini di vendita di eredità e non di singoli beni ereditari, del contratto stipulato tra F. G. e la Fondazione Premio Nobel, giudicato che deriva dalla reiezione del ricorso incidentale che la Fondazione (OMISSIS) e M.A. avevano proposto per contestare proprio che tale contratto avesse ad oggetto l’eredità piuttosto che singoli beni ereditari.

Secondariamente, con la citata sentenza di legittimità era stato escluso che la Corte d’appello, nel qualificare come rivendica e non come petizione ereditaria la domanda proposta, avesse deciso su di una domanda nuova, non costituendo mutatio libelli una diversa prospettazione giuridica del medesimo petitum, nè una differente qualificazione dell’originaria pretesa, invariati i fatti storici su cui essa riposava.

Con particolare riferimento a quest’ultimo aspetto (sul primo, quello della natura del contratto costituente il titolo in virtù del quale il F. ha agito in giudizio, non si registra un contrasto fra la seconda ratio decidendi della sentenza oggi impugnata e il motivo di ricorso in esame), la sentenza n. 5334/04 di questa Corte non operò, dunque, un accertamento in positivo sull’esatta qualificazione giuridica dell’azione proposta, ma si limitò ad escludere che la questione potesse essere affrontata e risolta in termini di novità della domanda. Pertanto, dovendo il giudice di rinvio riesaminare per intero il merito della controversia, di cui la prima sentenza d’appello non si era occupata avendo accolto l’eccezione preliminare di prescrizione, la qualificazione della domanda doveva ritenersi pregiudicata dal ridetto precedente di legittimità unicamente nel senso che non poteva considerarsi inammissibile la qualificazione dell’azione ai sensi dell’art. 948 c.c., non determinando essa alcun mutamento della domanda. E ciò, di riflesso, non escludeva la qualificazione dell’azione in termini di petitio hereditatis, implicita nella seconda delle due rationes decidendi della sentenza impugnata, cui si riferisce il motivo in esame.

Qualificazione, a sua volta, corretta, in quanto la domanda si fonda su di un acquisto iure hereditatis ed ha per oggetto beni costitutivi dell’universum ius ereditario (sulla differenza tra petizione di eredità e rivendica, v. per tutte e da ultimo, Cass. n. 1074/09).

6.4. – Il motivo d’impugnazione in esame, essendo diretto ad affermare la legittimazione negata dalla sentenza di rinvio, sollecita un’ulteriore questione, relativa all’estensione dei diritti ceduti con la vendita di eredità. 6.3.1. – La vendita di eredità, disciplinata dagli artt. 1542 e ss. c.c. è il contratto commutativo, (eventualmente aleatorio, almeno secondo Cass. n. 287/62) e ad efficacia traslativa, mediante il quale l’erede (o il suo avente causa), aperta la successione, cede la (proprietà della) propria quota ereditaria dietro un corrispettivo in denaro.

Genericità e anfibologia del concetto di eredità ne rendono, da sempre, problematica la precisa individuazione dell’oggetto, tant’è che una parte della dottrina considera tale contratto come negotium per relationem, ad oggetto non determinato, ma determinabile sulla base dei beni facenti parte dell’eredità al momento (secondo la dottrina prevalente) dell’apertura della successione (e non della vendita).

6.3.2. – Ai fini che qui rilevano, occorre stabilire se nell’oggetto della vendita dell’eredità rientri anche l’azione di petizione ereditaria, prevista dall’art. 533 c.c. in favore del solo erede (e ovviamente del coerede, a tutela della propria quota), nel qual caso la legittimazione attiva si estenderebbe, o meglio si trasferirebbe all’acquirente.

La soluzione negativa (seguita dalla dottrina prevalente), che esclude la legittimazione attiva di colui il quale abbia acquistato l’eredità, appare condivisibile.

La petitio hereditatis, infatti, è diretta all’accertamento della qualità di erede, che per sua natura è intrasmissibile, e, del resto, la vendita dell’eredità è pur sempre un’alienazione di componenti patrimoniali, per cui non potrebbe avere ad oggetto una mera qualificazione giuridica. A ciò deve aggiungersi che l’acquirente è creditore del venditore per i frutti percepiti, i crediti riscossi e i beni ereditari eventualmente venduti (art. 1544 c.c.), e può esercitare l’azione surrogatoria in caso di inerzia del venditore nell’esercizio della petizione d’eredità (cfr. Cass. n. 628/62), sicchè egli rimane terzo rispetto al conflitto tra l’erede e il possessore di beni ereditari pro herede ovvero senza titolo.

6.3.3. – Deve conseguentemente escludersi la legittimazione attiva del F. all’azione di petizione, il che corrisponde in buona sostanza a quanto ha affermato la Corte territoriale, la quale, sostenendo che ogni azione poteva essere proposta unicamente verso il venditore, ha ritenuto attribuibile all’attore soltanto un’azione contrattuale, e dunque di tipo diverso rispetto a quella esercitata in questo giudizio.

7. – Il rigetto del suddetto motivo, rendendo non più attaccabile la seconda delle due rationes decidendo poste a base della sentenza impugnata, assorbe l’esame dei restanti motivi d’impugnazione, inerenti alla prima ratio, imponendo la reiezione del ricorso.

8. – Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente verso la Fondazione controricorrente e nei confronti dell’intimato M.A., che ha comunque svolto altra attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio in favore della Fondazione (OMISSIS) per la ricerca sul cancro e di M.A., spese che liquida in Euro 5.200,00, di cui 200,00 per esborsi, in favore della Fondazione, e in Euro 3.700,00, di cui 200,00 per esborsi, in favore di M.A., il tutto oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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