Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 28-09-2011) 18-10-2011, n. 37702

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con sentenza, deliberata il 2 dicembre 2010 e depositala il 13 dicembre 2010, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza del giudice della udienza preliminare del Tribunale di Termini Imerese, 4 dicembre 2009, di condanna di I.G. alla pena principale della reclusione in anni nove e di I. N. (concesse a costui circostanze attenuanti generiche dichiarate prevalenti) alla pena della reclusione in anni sei, essendo entrambi imputati, in concorso tra loro, dei delitti di omicidio premeditato, tentato in danno di R.G., di minaccia grave in danno di G.C., e della contravvenzione di porto di arma od oggetto atto a offendere, reati commessi in Termini Imerese il 21 giugno 2008; nonchè il solo I.N. di alcuni furti in precedenza commessi, nel marzo dello stesso anno.

1.1 – Sulla base delle deposizioni dei testimoni oculari (segnatamente C.S. e di I.A.), sulla base delle riprese delle videocamere installate sul teatro del delitto, sulla base delle ammissioni dell’imputato I. G. (in ordine al ferimento) e sulla base delle emergenze della prova generica, i giudici di merito hanno accertato, in relazione a quanto assume rilievo nelle sede del presente giudizio di legittimità, che gli imputati, padre ( G.) e figlio ( N.), agendo con premeditazione, avevano compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di R. G., loro sodale in pregresse imprese criminali; in particolare I.G., spalleggiato dal figlio, il quale ostacolava la fuga della vittima e bloccava il malcapitato, aveva sferrato plurime coltellate contro R., sorpreso all’interno della sala giuochi C., e lo aveva attinto al torace e all’addome, cagionandogli gravissime ferite, senza, tuttavia, realizzare l’intento omicida, in quanto il ferito riusciva a sottrarsi alla aggressione, mediante la fuga; successivamente i due aggressori, postisi all’inseguimento della vittima, si erano recati presso l’abitazione di G.C., amante di R., alla ricerca di costui; e colà, con atteggiamento violento, avevano, nell’occasione, minacciato la donna di tagliarle la gola.

1.2 – In relazione ai motivi di gravame proposti da I. G. (a) per la derubricazione del delitto di omicidio tentato in quello di lesione personale e (b) per l’assoluzione dal delitto di minaccia, nonchè da I.N. (a) per l’assoluzione dal concorso nel delitto di tentato omicidio, (b) gradatamente per la derubricazione nei sensi indicati, (c) in ulteriore subordine per il riconoscimento del concorso anomalo ai sensi dell’art. 116 c.p., e (d) comunque – salva la richiesta principale – per la declaratoria della prevalenza delle attenuanti generiche, già riconosciute, e per il contenimento della pena, la Corte territoriale ha motivato quanto appresso.

La idoneità della azione e il dolo alternativo omicida sono dimostrati dalla considerazione della reiterazione dei colpi, dell’impiego di un coltellaccio (con lama di quattordici centimetri, atto allo sgozzamento del bestiame), dei distretti anatomici attinti, sedi di organi vitali, della gravita delle ferite, che comportarono, all’atto del ricovero ospedaliero la formulazione di prognosi riservata quoad vitam.

A pieno titolo si configura il concorso di I.N., nella compartecipazione delittuosa.

Il giovane, oltre a rafforzare il proposito omicida del genitore, coadiuvò attivamente il padre nella cruenta aggressione, frapponendosi tra l’uscio della sala giuochi e la vittima che tentava la fuga e bloccando il R..

Lo stesso I.N., nel corso della conversazione (intercettata) intercorsa colla madre nel parlatorio del carcere, ammise di aver trattenuto l’aggredito.

La condotta dell’appellante, tutt’altro che "marginale", non integra la ipotesi del concorso anomalo.

La responsabilità degli imputati per il delitto di minaccia è dimostrata dal "sicuro e attendibile" resoconto della persona offesa, corroborato dell’immediato conquesto col fratello G.G., al quale la donna si rivolse, nella immediatezza, atterrita, narrando l’accaduto, siccome confermato dal G..

La "brutalità" delle condotte e la "tenacia criminale" manifestata dagli appellanti, i quali, pur dopo la perpetrazione del grave fatto di sangue, si posero alla ricerca della vittima, recandosi presso l’abitazione della amante e si resero responsabili dell’ulteriore delitto di minaccia in danno di costei, ostano alla riforma del trattamento sanzionatorio, risultando la dosimetria della pena pienamente rispondente ai parametri fissati dall’art. 133 c.p. per ambedue i giudicabili, laddove non si apprezza alcuna ragione per modificare il giudizio di comparazione, nel senso postulato da I.N..

2. – Ricorrono per cassazione gli imputati col ministero dei rispettivi difensori di fiducia: I.G., mediante atto recante la data del 9 febbraio 2011, redatto dall’avvocato Giuseppe Minà, e I.N., mediante atto recante la data del 14 febbraio 2011, redatto dall’avvocato Angelo Brancato.

2.1 – I.G. sviluppa due motivi.

2.1.1 – Con il primo motivo il difensore denunzia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, censurando la qualificazione della condotta relativa al delitto di sangue, in relazione al ritenuto delitto di omicidio tentato, piuttosto che – come postulato -in termini di lesione personale, e opponendo che il ricorrente se "avesse voluto proseguire nella azione omicidiaria, avrebbe potuto ancora infierire sul corpo della vittima"; mentre "ha consentito" a R. "di allontanarsi .. in modo tranquillo e indisturbato". 2.1.2 – Con il secondo motivo il difensore censura, in relazione al residuo delitto di minaccia, che le dichiarazioni della persona offesa non sarebbero state "sottoposte ad attento e scrupoloso vaglio critico" e che doveva dubitarsi della attendibilità della G. per la "conflittualità esistente tra le famiglie Rinaldo, Galeani e Iannolino". 2.2 – I.N. sviluppa due motivi.

2.2.1 – Con il primo motivo il ricorrente dichiara promiscuamente di denunziare, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 56, 575 e 116 c.p., inosservanza di norme processuali, in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., nonchè mancanza della motivazione.

Il difensore deduce: il numero dei colpi inferto e "il mancato inseguimento" del ferito dimostrano la "assenza .. di volontà omicidiaria", in capo all’esecutore materiale I.G.;

gli imputati non sono "professionisti del crimine"; la Corte territoriale non ha "bene visionato il filmato dell’aggressione";

dalle riprese non risulta che N. avesse trattenuto R.;

"il gesto di correre incontro alla vittima", affatto "istintivo e fuorviante", non è "illuminante nella ricerca del dolo omicidiario";

il giudice a quo ha valorizzato "spropositamente" la frase proferita dal ricorrente durante il colloquio intercettato nel parlatorio del carcere; N. intendeva censurare "la diversa valutazione a opera degli organi giudiziari" in relazione alla condotta "assolutamente identica" alla propria di F.A. (già indagato e successivamente prosciolto per il concorso nel tentato omicidio); costui, infatti, si era mosso nella stessa direzione del ricorrente, così ostacolando (involontariamente) la fuga della vittima; la Corte territoriale non ha valutato le deduzioni difensive in ordine alla testimonianza di I. e, soprattutto, in ordine alla prospettate emergenze della videoripresa, là dove si desume che, prima della aggressione, N. aveva tentato di dissuadere il genitore dal proposito delittuoso e, dopo il ferimento, aveva favorito la fuga della vittima, spingendo il padre; di tanto, peraltro, aveva dato correttamente atto il giudice per le indagini preliminari nella ordinanza di custodia cautelare in carcere, pur svalutando il gesto colla considerazione che il ricorrente avesse reputato "che non fosse necessario infierire ulteriormente", in quanto "l’azione già compiuta era idonea a portare a compimento il proposito delittuoso"; ma, in realtà, N. volle "scongiurare il compimento della azione", dimostrando in quel frangente la vittima vitalità e reattività; in considerazione di tanto, dovevano essere, gradatamente, riconosciuti la desistenza volontaria con derubricazione della condotta del ricorrente nel delitto di lesione personale, e, in ulteriore subordine, il concorso anomalo ai sensi dell’art. 116 c.p..

2.2.2 – Col secondo motivo il ricorrente dichiara promiscuamente di denunziare, ai sensi dell’art. 606 c.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 133, 69 e 114 c.p., nonchè vizio della motivazione, opponendo: la comparazione delle attenuanti generiche, in termini di prevalenza sulla aggravante, "avrebbe consentito un più congruo adeguamento della pena in concreto", in attuazione del principio di ragionevolezza, sancito dall’art. 3 Cost., e della finalità rieducativa stabilita dal successivo art. 27; il ruolo "marginale" nella compartecipazione delittuosa e "la efficacia causale trascurabile" del contributo offerto al correo comportavano il riconoscimento della attenuante della minima partecipazione.

3. – Il ricorso di I.N. è infondato; quello di I.G. è inammissibile.

3.1 – E d’uopo premettere che manifestamente non ricorre il denunziato vizio della violazione della legge penale sostanziale, dedotto da entrambi i ricorrenti:

– nè sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice a quo applicato una determinata disposizione in relazione all’operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie);

– nè sotto il profilo della erronea applicazione, avendo la Corte territoriale esattamente interpretato le norme applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, nè, oltretutto, opponendo il ricorrente alcuna alternativa interpretazione a quella correttamente seguita nel provvedimento impugnato.

E, poi, appena il caso di aggiungere che gli assunti fattuali dei ricorrenti non possono essere presi in considerazione nella sede del presente scrutinio di legittimità. 3.2 – Priva di giuridico pregio è, anche, la ulteriore denunzia di inosservanza di norma processuale, formulata da I.N. col primo motivo di ricorso.

La ritenuta violazione dei canoni di valutazione della prova fissali dall’art. 192 cod. proc. pen. non è, infatti, riconducibile alla tipologia dei vizi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) evocato nell’incipit del ricorso.

Non si tratta, infatti, di norma processuale stabilita a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza, siccome prevede l’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, ridetta lett. c).

Nello scrutinio di legittimità l’inosservanza dei criteri dell’art. 192 cod. proc. pen. assume rilievo elusivamente sotto il profilo della manifesta illogicità della motivazione.

Il vizio in questione è, infatti, integrato non solo dalla violazione degli altri principi della logica formale (oltre che di quello di non contraddizione, oggetto di distinta ed espressa previsione normativa) ovvero dalla invalidità (o scorrettezza) dell’argomentazione – per carenza di connessione tra le premesse della abduzione ovvero per difetto di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e la conclusione – ma anche, per l’appunto, dalla formale inosservanza dei canoni normativi di valutazione della prova prescritti dall’art. 192 cod. proc. pen. (cfr.: Cass., Sez. 6, 8 gennaio 2004, n. 7336, Meta, massima n. 229159; Cass., Sez. 6, 14 ottobre 1997, n. 9104, Arena, massima n. 211578; Sez. 1, 3 aprile 1997, n. 5036, Pesce, massima n. 207789; Sez. 1, 16 dicembre 1994, n. 1381, Felice, massima n. 201488).

La conclusione riceve a fortiori conforto dal principio di diritto fissato da questa Corte in ordine alla sussunzione del vizio della mancanza di motivazione (ancorchè rilevante come specifica ipotesi di nullità ai sensi dell’art. 125 c.p.p., comma 3) nell’ambito della previsione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), – quale lex specialis – piuttosto che in quella generale della inosservanza della legge processuale stabilita a pena di nullità ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), (Sez. 1, 28 gennaio 1993, n. 360, Moccia, massima n. 193371).

Epperò la denunzia della violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. resta assorbita nella concorrente censura formulata dal ricorrente à termini dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

3.3 – Sotto tale residuo profilo il primo motivo di ricorso appare infondato.

Non sono, infatti, decisive le censure difensive circa la omessa valutazione da parte della Corte territoriale delle deduzioni dell’appellante in ordine alle emergenze delle video riprese delle telecamere installate sul teatro del delitto.

Effettivamente il difensore del giudicabile ha dedotto, nell’atto di appello, che dalle video registrazioni risultava che I. N.:

a) non aveva mai trattenuto la vittima in modo da consentire al genitore di accoltellare il R.;

b) aveva, al contrario, prima del ferimento dissuaso il padre dal proposito offensivo;

c) aveva, soprattutto, ostacolato l’azione aggressiva e agevolato la fuga della vittima, consentendole di porsi in salvo.

Orbene, l’accertamento dei giudici di merito in ordine alla condotta concorsuale, materialmente perpetrata da I.N. si fonda non solo sulla considerazione delle evidenze delle videoregistrazioni, le quali – come rilevato dal primo giudice – non ripresero tutte le sequenze del fatto di sangue alcune delle quali avvenute "fuori del capo di visuale dalle telecamera" (v. sentenza di primo grado, p. 6), ma anche sulla correlate risultanze della prova orale, costituite dalle testimonianze dei testimoni oculari sul punto della partecipazione alla aggressione del ricorrente, nel senso che costui provvide a bloccare la vittima.

Nè appare rilevante la interpretazione difensiva circa l’atteggiamento del giudicabile, fuori del locale, prima della commissione del delitto, e, all’interno della sala giuochi, dopo il ferimento, posto che l’antefatto è superato dalla condotta successiva e posto che la supposta desistenza risulta, secondo la stessa prospettazione difensiva della relativa tempistica, affatto tardiva e, pertanto, ininfluente, essendo il delitto tentato già perfezionato. E tanto a tacere, della ulteriore conferma della "piena adesione del ricorrente al progetto omicidiario del padre" – perspicuamente valorizzata dal primo giudice, p. 7 sentenza del 14 dicembre 2009, e ripresa dalla Corte territoriale nella parte relativa al trattamento sanzionatolo, p. 6 della sentenza impugnata – desunta dalla condotta, successiva al ferimento, di ricerca del R. presso la abitazione della amante, caratterizzata da violenza e aggressività e culminata nella perpetrazione del delitto di minaccia grave in danno della donna.

3.4 – Le residue censure formulate dal difensore di I. N., circa supposti vizi della motivazione della sentenza impugnata, in ordine all’accertamento del dolo omicida dell’autore del ferimento ( I.G.), alla compartecipazione a pieno titolo del ricorrente, alla importanza del contributo offerto (tutt’altro che di minima importanza), alla comparazione delle circostanze e al trattamento sanzionatorio sono palesemente infondate.

In relazione ai punti in questione la Corte territoriale ha dato conto adeguatamente – come illustrato nel paragrafo che precede sub 1.2 – delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte: Cass., Sez. 1, 5 maggio 1967, n. 624, Maruzzella, massima n. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. 4, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità; laddove i rilievi, le deduzioni e le doglianze espressi dal ricorrente, benchè inscenati sotto la prospettazione di viti a della motivazione, si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di merito, sicchè, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili à termini dell’art. 606 c.p.p., comma 3. 3.5 – Neppure le deduzioni (tutte di merito), contenute nel secondo motivo del ricorso di I.G., sono riconducibili alla tipologia delle impugnative contemplate dall’art. 606 cod. proc. pen..

Il mezzo è, pertanto, inammissibile, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3. 3.6 – Conseguono alle considerazioni che precedono:

a) il rigetto del ricorso di I.N. e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali;

b) la declaratoria della inammissibilità del ricorso di I. G. e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè – valutato il contenuto dei motivi e in difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione – al versamento a favore della cassa delle ammende della somma, che la Corte determina, nella misura congrua ed equa, infra indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso di I.N. che condanna al pagamento delle spese processuali.

Dichiara inammissibile il ricorso di I.G. che condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000 (mille) alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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