Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 28-09-2011) 18-10-2011, n. 37701 Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- V.M.S. ricorre per cassazione avverso la sentenza 30.4/28.5.2010 della corte di appello di Bologna che confermava la dichiarazione della di lui colpevolezza, in sede di giudizio abbreviato semplice, del gup del tribunale di Ravenna in data 11.6.2009 in ordine ai reati di maltrattamenti, di tentato omicidio ai danni della moglie V.M. e di porto abusivo di coltello, riducendo solo la pena inflitta dai primi giudici da anni nove e dieci giorni di reclusione, ad anni 6, mesi 8, e giorni 10 di reclusione per via della concessione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti alla già contestata aggravante della premeditazione.

-2- I fatti di causa venivano inquadrati dai giudici di merito nel contesto di un rapporto da tempo deteriorato tra i due coniugi e contrassegnato dalle continue violenze e sopraffazioni dell’imputato, spesso in stato di ebbrezza, che sperperava nel gioco e negli alcoolici le risorse familiari, tanto da indurre la moglie a promuovere la causa per la separazione legale che aveva buon esito.

La condotte costitutiva del delitto di omicidio e della contravvenzione si erano verificate la mattina del 10.5.2006:

l’imputato aveva aggredito, profferendo minacce di morte, la vittima sorprendendola alle spalle, mentre la donna si recava di buona mattina al bar per fare colazione non avendo rinvenuto in casa il caffè, furtivamente sottratto dal marito, entrato in casa servendosi delle doppie chiavi in suo possesso. Armato di coltello, aveva sopraffatto la moglie, che tentava ripetutamente di colpire alla gola non riuscendovi per le resistenza della vittima che comunque veniva attinta da un colpo di arma bianca che la attingeva al volto, trapassandole la guancia destra. La donna comunque riusciva a divincolarsi, a riparare dentro la macchina di persona che si era fermata alle grida d’aiuto della donna.

-3- Con l’unico motivo di ricorso l’imputato denuncia la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione correlata al delitto di tentato omicidio, sottolineando che il dolo configurato contrastava con una serie di circostanze di fatto, partitamente elencate di seguito: unicità del colpo di coltello, ferita inferta non alla gola, ma alla guancia, parte quindi non vitale, mancanza di una consulenza legale attestante l’entità e l’esatto posizionamento della ferita, il contesto emotivo-culturale dell’imputato convinto che la donna avesse ormai un altro uomo, il contenuto di una conversazione telefonica subito dopo il fatto a tale N.C. che ha confermato la frase che l’imputato gli avrebbe rivolto del tenore "l’ho fatto, l’ho sfregiata" ed, infine, con riferimento alle aggravante della premeditazione, l’insussistenza della circostanza che egli sarebbe penetrato furtivamente in casa la notte precedente l’omicidio e sottratto il caffè per indurre così la donna ad uscire di casa di buon mattino, perchè la predetta circostanza sarebbe solo collegata alle sensazioni della vittima.

-4- Il ricorso non merita accoglimento perchè inammissibile.

Le ragioni difensive invero disancorano la scena del delitto da una serie di dati significativi e danno della azione una rappresentazione statica solo di determinate circostanze, privando queste ultime del significato loro proprio da trarre da una visione dinamica e panoramica della azione tutta. Per intanto il ricorrente non è in grado di svilire la circostanza della sparizione della confezione di caffè, del quale la V. la sera prima del delitto ne aveva consumato una porzione insieme alla figlia in casa, fornendo una qualsiasi plausibile spiegazione alternativa. Del resto le censure sul punto del ricorrente sono estremamente generiche e quindi, di per sè inammissibili. Ed il dato, di una pervicace determinazione e preparazione dell’azione omicidiaria, si coniuga con il significato compiuto della condotta dell’imputato che si arma di un grosso coltello da cucina, sorprende la donna di prima mattina, tenta di colpirla alla gola, giusta la deposizione della persona offesa, con più colpi, andati a vuoto per la resistenza della vittima che aveva afferrato il polso dell’imputato nel tentativo riuscito di deviare i colpi, reitera verbalmente nel corso della azione l’intenzione di uccidere, manifestata nei giorni precedenti, insegue la donna che gli sfugge riparando nell’abitacolo della macchina del soccorritore.

Ora a fronte di un discorso giustificativo giudiziale compiuto non vale certo il tentativo della difesa di sminuire, depotenziandole di valore, le circostanze così compiutamente valorizzate. La prova del dolo del tentato omicidio può essere tratta da una serie di elementi sintomatici ritenuti utili, secondo le regole di esperienza e l’"id quod plerumque accidit", per la individuazione della direzione teleologica della volontà dell’agente verso la morte della vittima, quali la micidialità del mezzo usato, la reiterazione delle lesività, la mancanza di motivazioni alternative dell’azione.

Invero, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, l’elemento probatorio de quo ha natura indiretta, dovendo essere desunto da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente. Ne consegue che, ai fini dell’accertamento della sussistenza dell’"animus necandi", nel delitto tentato assume valore determinante l’idoneità dell’azione che va apprezzata in concreto, senza essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti, dovendosi diversamente l’azione ritenersi sempre inidonea, per non aver conseguito l’evento, sicchè il giudizio di idoneità è una prognosi, formulata "ex post", con riferimento alla situazione così come presentatasi al colpevole al momento dell’azione, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso particolare (Sez. 1, 23.9/21.10.2008, Di Salvo, Rv 241339).

Ed i giudici di merito hanno in concreto evidenziato la micidialità dell’arma, la direzione e la reiterazione dei colpi, prescindendo dalla loro deviazione per la resistenza della vittima, la manifestata intenzione di uccidere prima e durante l’azione lesiva, il più generale contesto temporale rappresentativo della accesa conflittualità tra i coniugi, la preparazione fin dalla notte precedente, il tentativo attraverso l’introduzione nella abitazione, la sottrazione della confezione del caffè per indurre la persona offesa ad uscire di casa nella prima mattina per la forzata colazione al bar.

In definitiva non è consentita in sede di legittimità la rivalutazione di circostanze, tutte considerate dal giudice di merito e dal predetto collegate con coerenti e logici criteri, al fine di proporre una ricostruzione alternativa dei fatti, contrapposta a quella, logica e coerente, giudiziale.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili il ricorso l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000; Cass. S.U. 27.6.2001, Cavalera Rv. 219532) – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente in al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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