Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 28-09-2011) 18-10-2011, n. 37698

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con sentenza, deliberata il 14 luglio 2009 e depositata il 27 settembre 2010, la Corte di assise di appello di Catania, per quanto rileva nella sede del presente scrutinio di legittimità:

a) decidendo su rinvio di questa Corte suprema – Sezione 5 Penale, giusta sentenza 19 marzo 2008, n. 23617, di annullamento (per quanto qui rileva) della sentenza di quella medesima Corte territoriale 23 luglio 2004, ha confermato la sentenza della Corte di assise di Siracusa, 8 ottobre 2002, di condanna alla pena dell’ergastolo a carico di Z.C., imputato del delitto di omicidio premeditato perpetrato in danno di G.A. e dei connessi reati di detenzione e di porto illegale di arma comune da sparo, commessi in Siracusa l’11 aprile 1992;

b) previa riunione – nel corso del dibattimento dell’anzidetto giudizio di rinvio – del processo di secondo grado a carico di T.A., imputato della partecipazione alla associazione di tipo mafioso capeggiata da B.S. e da A. A., in Siracusa dal 1988 fino all’8 gennaio 2008, appellante avverso la sentenza di condanna della Corte di assise di Siracusa 8 gennaio 2008, in parziale riforma della succitata decisione, ha riconosciuto la continuazione tra il reato associativo e il delitto giudicato, giusta sentenza della Corte di assise di appello di Catania 27 giugno 1996; ha rideterminato la pena, a titolo di aumento ai sensi dell’art. 81 c.p., in un anno di reclusione, e ha confermato, nel resto, la condanna.

1.1 – Sulla base delle convergenti dichiarazioni di reità dei collaboranti O.S., N.L., S. C., G.R. e D.G.C., i giudici di merito hanno accertato:

Z.C., detto (OMISSIS) ovvero (OMISSIS), affiliato alla cosca catanese dei Cursoti e latitante a Siracusa sotto la protezione della alleata cosca Urso – Bottaro, aveva concorso nell’omicidio di G.A. su mandato della consorteria ospitante; quale esecutore materiale del fatto di sangue, il giudicabile, col volto travisato mediante baffi posticci e una parrucca, aveva per primo aperto il fuoco contro G., attirato in un tranello dai compartecipi col pretesto di andare in discoteca, ferendolo; l’altro esecutore, M.G. aveva, quindi, finito il G., caduto sul selciato, con due colpi di pistola al capo.

C.C. (altra vittima designata della azione omicida), il quale accompagnava il sodale G. e, subodorato l’agguato, si era dato alla fuga, riuscendo a salvarsi, aveva, tuttavia, scagionato Z., sostenendo di aver riconosciuto, malgrado il travisamento, U.G. nella persona dell’esecutore materiale che aveva per primo aperto il fuoco e ferito G..

Questa Corte colla pronuncia rescindente ha censurato che la Corte di assise di appello non aveva dato conto della conclusione che C. era incorso in errore percettivo nel riconoscimento dell’ U. (peraltro, a sua volta, pure imputato della compartecipazione nel fatto di sangue e assolto dalla Corte di assise di Siracusa) e ha disposto il rinvio per nuovo giudizio sul punto.

La Corte di assise di appello di Catania, in esito alla rinnovazione della istruzione dibattimentale con nuovo esame, tra l’altro, del C., dato atto che il teste ha ribadito di aver riconosciuto U., ha motivato il convincimento dell’errore percettivo del testimone (atto a "elidere il radicale contrasto tra le dichiarazioni – di costui – e le numerose dichiarazioni provenienti dai dichiaranti de relato" v. la sentenza di annullamento del 19 marzo 2008, p. 38), rilevando quanto segue.

L’errore è, innanzi, tutto reso plausibile dalla compatibilità dei tratti somatici (analiticamente considerati dalla Corte di merito) tra Z. e U..

Se è pur vero che il secondo è alquanto più corpulento del primo, tuttavia il dato appare neutralizzato dal particolare abbigliamento dell’omicida, il quale – secondo quanto lo stesso C. riferisce – indossava "un giubbotto enorme addosso, lunghissimo", che lo faceva apparire "anche più grosso di quello che era".

I dettagli, indicati da C. per suffragare il riconoscimento di U. (forma degli occhi, leggera gibbosità del naso, movenze) sono tutt’altro che decisivi per contrastare la possibilità dell’errore di persona.

Dal testimoniale assunto nella rinnovata istruzione dibattimentale non è emersa "alcuna caratteristica saliente degli occhi di U. G." che li rendano inconfondibili.

Affatto generici e vaghi sono i riferimenti alle movenze.

Mentre proprio la lieve gibbosità del profilo nasale accomuna Z. a U. e accredita la conclusione dell’errore di persona.

Sul piano psicologico la spiegazione della genesi della fallace agnizione è stata offerta dallo stesso C., senza volerlo.

Il teste, infatti, nel ribadire di essere certo di aver, "in quell’attimo lì" scorto U., ha significativamente soggiunto "perchè, poi, lutti gli altri erano tutti dello stesso gruppo, quelli che ci hanno portati nella trappola, c’era .. quelli che erano lì, erano tutti dello stesso gruppo".

La esplicazione disvela "la relazione consecutiva e causale tra l’individuazione del gruppo" e la agnizione di U., fallacemente operata nel drammatico e concitato frangente, essendo il teste, nelle sfavorevoli condizioni di osservazione, "psicologicamente orientato a individuare", sotto il travisamento, l’appartenente a gruppo criminale ( U.), che somigliava al reale esecutore ( Z.), da C. mai visto prima.

La Corte territoriale ha, anche, osservato che, peraltro, lo stesso C. ha riferito la confidenza ricevuta dal cugino S. O., circa il coinvolgimento nella compartecipazione delittuosa del latitante di Catania Z., detto (OMISSIS); che i collaboranti, oltre alla cruciale dichiarazione di reità de relato, hanno riferito significativi elementi circostanziali a loro noti per personale e diretta conoscenza; e che è stata accertata, con sentenza passata in giudicato, la responsabilità di Z. per l’omicidio di B.S., perpetrato dal latitante, dopo appena un mese e dodici giorni, su mandato di U.A., nello stesso contesto dei rapporti criminali che legavano l’appellante alla cosca siracusana che lo proteggeva.

1.2 – Quanto a T., i giudici di merito hanno accertato la associazione alla cosca Bottaro – Attanasio precipuamente sulla base delle plurime chiamate in correità e dichiarazioni di reità.

In relazione ai motivi di gravame formulati dall’appellante (sotto il profilo della genericità delle accuse, della carenza di "ogni riscontro esterno", della mancanza di alcuna relazione di parentela tra T. e B.A., madre di U.G. e supposto tramite delle sovvenzioni della cosca al ricorrente detenuto) la Corte territoriale ha motivato, previo scrutinio della attendibilità intrinseca della fonti orali e previo richiamo dei principi di diritto in ordine alla vicendevole conferma delle convergenti propalazioni di accusa: il collaborante D.C. A. ha annoverato T. tra gli associati al gruppo avverso al proprio e ha narrato che, nel maggio 2002 nel carcere di (OMISSIS), l’appellante, alla notizia dell’omicidio di L. R., ebbe a brindare con gli accoliti della cosca Bottaro – Attanasio colà ristretti; il collaborante P.R., pur non conoscendo di persona il T., ha riferito che il giudicabile era affiliato alla propria cosca e che era sovvenzionato, pur durante la detenzione, dalla consorteria, precisando, su domanda del difensore, che le sovvenzioni erano somministrate agli associati ristretti in carcere o presso le abitazioni dei familiari; la percezione da parte dell’appellante dello "stipendio" erogato dalla associazione è stata confermata dal collaborante S.M.;

pur se le succitate dichiarazioni costituiscono prova sufficiente del delitto associativo, soccorre l’ulteriore prova offerta dalla intercettazione della conversazione tra presenti, intercorsa tra gli associati U., Ca. e c., nel corso della quale gli interlocutori discorrono del contributo di un milione di lire da erogare alla convivente del T. (indicata come Co.) e di ulteriori sovvenzioni da far pervenire all’appellante per il tramite di sua zia A., individuata alla udienza del 17 gennaio 2006 dall’ispettore della Polizia di Stato M.G. in M.A., sorella della madre dell’imputato.

2. – Ricorrono per cassazione entrambi gl’imputati:

– Z., mediante dichiarazione resa ai sensi dell’art. 123 cod. proc. pen. il 15 ottobre 2010, al direttore della Casa circondariale di Volterra, e col ministero del difensore di fiducia, avvocato Sergio Falcone, redattore dei motivi;

– T., col ministero del difensore di fiducia, avvocato Amoddio Sofia, mediante atto del 19 novembre 2010. 2.1 – Z. denunzia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, anche sotto il profilo della formale violazione dell’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. "2" recte: e).

Dopo aver premesso che, alla stregua della pronuncia rescindente, il tema da esaminare era costituito dalla dimostrazione – essenziale per la tesi di accusa – dell’errore percettivo in cui sarebbe incorso il teste oculare C.C., il quale aveva scagionato il ricorrente, attribuendo la condotta addebitata a Z., nella compartecipazione delittuosa, ad altra persona ( U.G.), il difensore ha dedotto: nella istruzione dibattimentale, rinnovata nel giudizio di rinvio, C. ha perentoriamente ribadito di avere, a dispetto del travisamento, riconosciuto l’ U., per i tratti somatici (occhi e naso) e per le movenze; l’agnizione è avvalorata, come indicato dal testimone, dalla pregressa, personale conoscenza e frequentazione; prive di pregio sono le argomentazioni addotte dalla Corte territoriale per suffragare l’assunto dell’errore di persona; la somiglianza tra Z. e U. non è decisiva;

Z. è, peraltro, più "corpulento" di U.; mentre il riferimento alla taglia del vestiario indossato dall’omicida (maggiore della taglia di C.) appare "inconcludente e strumentale"; e neppure la considerazione del dato somatico comune al ricorrente e a U. (la "gobba piccolina" del naso, particolare, invero, irrilevante) può superare il contrasto invincibile tra la prova diretta della testimonianza oculare, favorevole al giudicabile e affatto liberatoria, e le dichiarazioni di reità, tutte de relato;

nè giova alla dimostrazione della accusa il riferimento di C. alla confidenza ricevuta da S.O. circa la partecipazione al fatto di sangue "di un latitante catanese", in quanto lo stesso S. ha confermato al C. che a sparare era stato U.; e ulteriore conferma in tal senso ha offerto il collaborante D.G. C., destinatario della confessione dell’ U. in loco criminis, "Qua è dove abbiamo fatto quel ragazzo"; piuttosto il generico riferimento di S. al coinvolgimento nell’omicidio di un latitante catanese dimostra che le tutte dichiarazioni di reità de relato sono frutto della succitata diceria, essendo noto negli ambienti criminali che Z. "trascorreva la sua latitanza a Siracusa". 2.2 – T. sviluppa due motivi con i quali dichiara promiscuamente di denunziare, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 416 c.p. recte: art. 416-bis c.p., nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità (iella motivazione, anche sotto il profilo della formale violazione dell’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e).

2.2.1 – Con il primo motivo il difensore deduce: il collaborante P., come risulta dal verbale della udienza del 24 gennaio 2007, "non è il materiale redattore della lista degli stipendi" della cosca; P. si è associato a far tempo dal 1997/1998, quando già il ricorrente era detenuto da oltre sei anni; P. non ha nominativamente indicato T. nel novero degli associati cui " D.C. portava soldi"; la chiamata di correo è affatto generica; il chiamante non conosce neppure T. di persona; la propalazione è frutto della lettura della ordinanza di custodia cautelare in carcere che P. mendacemente nega gli sia stata consegnata; neppure è possibile che sia incorso alcun contatto in ambiente carcerario tra P. e T., ristretti in padiglioni diversi del carcere di (OMISSIS); nessuno degli associati ha mai accompagnato i familiari del ricorrente in occasione delle visite in carcere; T. non ha ricevuto vaglia o corrispondenza; quanto al collaborante D.C., costui non ha detto di aver visto T. festeggiare l’omicidio di L., nè ha indicato T. tra i detenuti che attendevano la uccisione di L.; il riferimento che "tutti" gli appartenenti alla cosca brindarono non costituisce "prova individualizzante"; la Corte territoriale ha trascurato di considerare che D.C. apparteneva non alla cosca Bottaro – Attanasio, bensì a quella Triglia – Aparo – Nardo; le accuse del terzo collaborante Stupore sono "assolutamente generiche e imprecise". 2.2.2 – Con il secondo motivo il difensore oppone: la Corte territoriale ha trascurato di considerare la "prova contraria", costituita dall’esito negativo degli accertamenti eseguiti presso tutti gli stabilimenti penitenziari (ove il ricorrente è stato ristretto), in ordine a sovvenzioni da parte della cosca; il riferimento alla "zia A." (indicata nel corso della intercettazione della conversazione intervenuta il 15 aprile 2002 tra U.G., Ca.Gi., c.s. e T.F.), supposto tramite delle sovvenzioni, è privo di pregio; l’assistente della Polizia di Stato, V., alla udienza del 13 giugno 2006, ha riferito che si tratta di B. A., madre di U.G. e costei non è parente di T.; nessun elemento autorizza la conclusione che il ricorrente percepisse uno stipendio; quanto alla somma destinata ad M.A., dal tenore della conversazione risulta che si potè trattare "di una regalia data direttamentè" alla M. una tantum, posto che gli interlocutori "si domandino a chi farli pervenire". 3. – I ricorsi sono entrambi infondati.

3.1 – Non ricorre il vizio della violazione di legge:

– nè sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice a quo applicato una determinata disposizione in relazione all’operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie);

– nè sotto il profilo della erronea applicazione, avendo la Corte territoriale esattamente interpretato le norme applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, nè, oltretutto, opponendo il ricorrente alcuna alternativa interpretazione a quella correttamente seguita nel provvedimento impugnato.

3.2 – Neppure è dato apprezzare vizio alcuno della motivazione.

Quanto a Z. – è appena il caso di premettere – una volta neutralizzata, sul punto della identificazione dell’esecutore, la valenza probatoria della testimonianza oculare di C. (mediante la spiegazione delle ragioni dell’errore percettivo che la inficiano), ogni (ulteriore e diversa) questione circa la valenza del compendio probatorio, costituito dal complesso delle dichiarazioni di reità de relato dei collaboranti, a fondare l’affermazione della penale responsabilità del ricorrente, esula dal punto di accertamento commesso al giudice del rinvio.

Epperò non possono essere prese in considerazione le deduzioni in proposito formulate dal ricorrente, a ben tacere la considerazione che la congettura difensiva della circolarità di una incontrollata diceria de relato è nettamente resistita dal tenore delle dichiarazioni (debitamente scrutinate dai giudici di merito) rese dai collaboranti i quali hanno specificamente indicato le fonti primarie della loro conoscenza, tra le quali le confidenze confessorie dello stesso ricorrente, e che la riferita ammissione di U.G. circa il suo coinvolgimento (in termini affatto generici) nella compartecipazione delittuosa non contraddice l’accertamento dello specifico ruolo di esecutore materiale del fatto di sangue, assunto da Z..

Quanto a T. prive di pregio sono le deduzioni del ricorrente circa l’esito negativo della indagine in ordine a sovvenzioni intra- murarie.

Il collaborante ha, infatti, spiegato che lo "stipendio" era corrisposto agli associati alternativamente mediante rimesse in carcere ovvero mediante consegna del numerario ai familiari presso le abitazioni dei sodali detenuti.

Per il resto, in merito ai punti controversi, oggetto del giudizio, il giudice a quo ha dato conto adeguatamente – come illustrato nel paragrafo che precede sub 1. – delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte: Cass., Sez. 1, 5 maggio 1967, n. 624, Maruzzella, massima n. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. 4, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità.

Mentre le deduzioni, le doglianze e i rilievi residui espressi dal ricorrente, benchè inscenati sotto la prospettazione di vitia della motivazione, si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di merito, sicchè, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili à termini dell’art. 606 c.p.p., comma 3. 3.3 – Conseguono il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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