T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 17-11-2011, n. 2773

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) In punto di fatto il Tribunale rileva che con decreto ingiuntivo decreto ingiuntivo n. 14845/2010 emesso dal Tribunale di Milano il 05.05.2010, munito di formula esecutiva il 03.01.2011, notificato in tale forma il 18.02.2011 e non oggetto di opposizione, il giudice ordinario ha ingiunto all’amministrazione resistente di pagare in favore della società ricorrente la somma di Euro 72.322,84 oltre gli accessori, come indicati nel decreto (cfr. documentazione di parte ricorrente).

La società ricorrente lamenta che il decreto ingiuntivo non è stato integralmente ottemperati dall’amministrazione, neppure costituitasi nel presente giudizio.

2) Preliminarmente il Tribunale ritiene di dovere affrontare il problema della attuale possibilità giuridica di portare ad ottemperanza il titolo indicato in epigrafe.

L’art. 11, comma 2, del decretolegge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, dispone che "Per le regioni già sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, sottoscritti ai sensi dell’articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e già commissariate alla data di entrata in vigore del presente decretolegge, al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi dei medesimi Piani di rientro nella loro unitarietà, anche mediante il regolare svolgimento dei pagamenti dei debiti accertati in attuazione dei medesimi piani, i Commissari ad acta procedono, entro 15 giorni dall’entrata in vigore del presente decretolegge, alla conclusione della procedura di ricognizione di tali debiti, predisponendo un piano che individui modalità e tempi di pagamento. Al fine di agevolare quanto previsto dal presente comma ed in attuazione di quanto disposto nell’Intesa sancita dalla Conferenza StatoRegioni nella seduta del 3 dicembre 2009, all’art. 13, comma 15, fino al 31 dicembre 2010 non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime".

L’art. 11, comma 51 della legge 2010, n. 220 – recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011) – dispone che "al fine di assicurare il regolare svolgimento dei pagamenti dei debiti oggetto della ricognizione di cui all’articolo 11, comma 2, del decretolegge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per le regioni già sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, sottoscritti ai sensi dell’articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e già commissariate alla data di entrata in vigore della presente legge, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, fino al 31 dicembre 2011. I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni di cui al presente comma alle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, effettuati prima della data di entrata in vigore del decretolegge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, non producono effetti dalla suddetta data fino al 31 dicembre 2011 e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per le finalità istituzionali dei predetti enti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo.

Le norme ora citate si collocano nel quadro della disciplina introdotta dall’art. 1, commi da 164 in avanti, della legge 2004 n. 311, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005).

In particolare, il comma 164 dell’art. 1 prevede, tra l’altro, che lo Stato concorra al ripiano dei disavanzi del servizio sanitario nazionale mediante un finanziamento integrativo, strumentalmente teso a garantire che l’obiettivo del raggiungimento dell’equilibrio economico finanziario da parte delle regioni sia conseguito nel rispetto della garanzia della tutela della salute (comma 169).

L’accesso al finanziamento integrativo a carico dello Stato, derivante da quanto disposto al comma 164, viene subordinato alla stipula di una specifica intesa tra Stato e regioni, che ai fini del contenimento della dinamica dei costi deve contemplare una serie di parametri individuati dal comma 173 del medesimo articolo 1.

Il successivo comma 174 impone alle regioni, in caso di sussistenza di una situazione di squilibrio e proprio al fine del rispetto dell’equilibrio economicofinanziario, di adottare i provvedimenti necessari, con la precisazione che, qualora la regione non provveda, si procede al commissariamento secondo la procedura di cui all’articolo 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131 e previa diffida del presidente del consiglio dei ministri. In tale caso spetta al presidente della regione, in qualità di commissario ad acta, di approvare il bilancio di esercizio consolidato del servizio sanitario regionale al fine di determinare il disavanzo di gestione e di adottare i necessari provvedimenti per il suo ripianamento.

Al verificarsi di queste condizioni, la regione interessata procede ad una ricognizione delle cause dello squilibrio ed elabora un programma operativo di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del servizio sanitario regionale, di durata non superiore al triennio. I ministri della salute e dell’economia e delle finanze e la singola regione stipulano apposito accordo che individui gli interventi necessari per il perseguimento dell’equilibrio economico, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza e degli adempimenti di cui alla intesa prevista dal comma 173. La sottoscrizione dell’accordo è condizione necessaria per la riattribuzione alla regione interessata del maggiore finanziamento anche in maniera parziale e graduale, subordinatamente alla verifica della effettiva attuazione del programma (cfr. comma 180).

Dal quadro normativo ora richiamato emerge che il divieto di intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere presuppone: a) che esse operino in regioni commissariate secondo la procedura di cui all’articolo 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131; b) che siano stati predisposti piani di rientro dai disavanzi sanitari, ai sensi dell’articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 finalizzati alla riorganizzazione, riqualificazione o al potenziamento del servizio sanitario regionale; c) che sia stata effettuata la ricognizione dei debiti di cui all’articolo 11, comma 2, del decretolegge 31 maggio 2010, n. 78.

Sotto altro profilo va osservato che la disciplina di cui si tratta introduce un limite alla possibilità per i creditori di conseguire coattivamente una pretesa patrimoniale nei confronti delle A.S.L., ponendo così un problema di coordinamento e di compatibilità con la disciplina comunitaria in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

Il riferimento va alla Direttiva 29 giugno 2000, n. 2000/35/CE, pubblicata nella G.U.C.E. 8 agosto 2000, n. L 200, entrata in vigore in data 8 agosto 2000 e recepita dallo Stato italiano con la legge 1° marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001) e con D.Lvo. 9 ottobre 2002, n. 231; direttiva poi abrogata dall’articolo 13 della direttiva 2011/7/UE, a sua volta relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, ma entrata in vigore in data 15 marzo 2011 e, pertanto, non riferibile alla fattispecie in esame, che resta sottoposta alla precedente direttiva 2000 n. 35.

In particolare, vale evidenziare che la direttiva n. 35 è rivolta a realizzare "l’obiettivo della lotta contro i ritardi di pagamento nel mercato interno", obiettivo che non può essere sufficientemente realizzato dagli Stati membri separatamente e può, pertanto, essere meglio realizzato a livello comunitario (cfr. considerando n. 12), con la precisazione che "i periodi di pagamento eccessivi e i ritardi di pagamento impongono pesanti oneri amministrativi e finanziari alle imprese, ed in particolare a quelle di piccole e medie dimensioni. Inoltre tali problemi costituiscono una tra le principali cause d’insolvenza e determinano la perdita di numerosi posti di lavoro" (cfr considerando n. 7).

In relazione all’ambito applicativo, va osservato che la normativa comunitaria disciplina tutte le transazioni commerciali, a prescindere dal fatto che esse siano effettuate tra imprese pubbliche o private o tra imprese e autorità pubbliche, "tenendo conto del fatto che a queste ultime fa capo un volume considerevole di pagamenti alle imprese" (cfr. considerando n. 20 e art. 2).

Inoltre, sul piano della correlazione tra lotta contro i ritardi nei pagamenti e disciplina delle procedure di recupero del credito, la direttiva evidenzia che: a) i ritardi di pagamento costituiscono una violazione contrattuale resa finanziariamente attraente per i debitori nella maggior parte degli Stati membri per i bassi livelli dei tassi degli interessi di mora e/o dalla lentezza delle procedure di recupero (cfr. considerando n. 16); b) le conseguenze del pagamento tardivo possono risultare dissuasive soltanto se accompagnate da procedure di recupero rapide ed efficaci per il creditore (cfr. considerando n. 20); c) l’articolo 5 della direttiva prevede che la procedura di recupero dei crediti non contestati sia conclusa a breve termine, in conformità delle disposizioni legislative nazionali (cfr. considerando n. 23).

Quanto poi alle situazioni sottratte all’ambito di applicazione della normativa comunitaria, viene specificato che la "direttiva si limita a definire l’espressione "titolo esecutivo", ma non disciplina le varie procedure per l’esecuzione forzata di un siffatto titolo, né le condizioni in presenza delle quali può essere disposta la sospensione dell’esecuzione ovvero può essere dichiarata l’estinzione del relativo procedimento", così precisando che solo l’esecuzione forzata e le relative ipotesi di sospensione restano estranee a tale regolamentazione.

Sempre in relazione ai limiti di applicazione, l’art. 6 della direttiva consente agli Stati membri di escludere da tale disciplina: a) i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore; b) i contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002; c) le richieste di interessi inferiori a 5 euro.

In sede di recepimento, lo Stato italiano ha esercitato tale potere di esclusione, ma limitatamente ai contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002, che restano sottratti alla normativa in esame, ai sensi dell’art. 11, comma 1, del d.l.vo 2002, n. 231.

3) Il quadro normativo ora ricostruito non consente di comprendere l’ottemperanza ad un decreto ingiuntivo tra le azioni esecutive che non possono essere intraprese o proseguite nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni commissariate e sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari.

3.1) In primo luogo occorre portare l’attenzione sulla ratio della disciplina nazionale preclusiva delle azioni esecutive; ratio emergente dai presupposti di applicazione della normativa nazionale di cui si tratta.

Il blocco delle azioni esecutive mira a consentire la realizzazione dei piani di rientro dai disavanzi sanitari predisposti dalle regioni commissariate e diretti, non solo a ripristinare l’equilibrio finanziario del settore sanitario, ma anche ad assicurare l’attuazione di un processo di riorganizzazione e risanamento del servizio sanitario, nel quale si colloca la previsione di un finanziamento integrativo a carico dello Stato (cfr. in particolare art. 11, comma 2, del d.l. 2010, n. 78, nonché art. 11, comma 51, della legge 2010, n. 220 e art. 1, commi 164, 169, 174, 180 della legge 2004, n. 311).

I piani di rientro e la loro attuazione devono assicurare che l’equilibrio economico e finanziario venga conseguito garantendo la tutela della salute, nonché il mantenimento di modalità di erogazione delle prestazioni sanitarie uniformi sul territorio nazionale e coerenti, sul piano qualitativo e quantitativo, con i livelli essenziali di assistenza in materia sanitaria (cfr. in particolare art. 1, comma 169, della legge 2004, n. 311).

L’obiettivo dell’attuazione dei piani di rientro e del contemporaneo mantenimento dei livelli di assistenza, a tutela del fondamentale diritto alla salute, presuppone che l’amministrazione conservi integri e nel loro complesso i beni strumentali e funzionali all’erogazione delle prestazioni sanitarie, nonostante sia gravata da una situazione debitoria tale da pregiudicarne l’equilibrio economico e finanziario e da giustificare un finanziamento integrativo a carico dello Stato.

Tale esigenza si soddisfa escludendo che nei confronti delle aziende sanitarie, versanti nelle condizioni economiche e finanziarie suindicate, possano essere attivate o completate procedure esecutive che, al fine di soddisfare il creditore, consentano di aggredire i beni, mobili ed immobili, di cui l’amministrazione si avvale per l’erogazione delle prestazioni del servizio sanitario, sottraendoli alla loro destinazione funzionale.

Il riferimento attiene, pertanto, al processo di esecuzione in senso stretto, caratterizzato dal pignoramento, che, da un lato, produce l’effetto giuridico di vincolare determinati beni del debitore al soddisfacimento del creditore, dall’altro, è prodromico alla soddisfazione coattiva del credito mediante l’assegnazione o la vendita, secondo la disciplina posta dagli artt. 491 e seg. del c.p.c..

Insomma, il compimento di simili atti nei confronti delle A.S.L. versanti nelle condizioni suindicate avrebbe l’effetto di sottrarre alla loro destinazione determinati beni funzionali all’erogazione del servizio sanitario, con pregiudizio sia dell’obbiettivo del risanamento economico e finanziario, nonché delle esigenze di riorganizzazione e di risanamento del servizio sanitario, sia dell’esigenza di mantenere inalterati i livelli essenziali di assistenza.

Ecco, allora, che tanto l’art. 11, comma 2, del decretolegge 31 maggio 2010, n. 78, quanto l’art. 11, comma 51, della legge 2010, n. 220, nella parte in cui escludono la possibilità di intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni commissariate e già sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, sottoscritti ai sensi dell’articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, vanno interpretati come preclusivi delle azioni esecutive in senso stretto, ossia delle procedure di esecuzione forzata per espropriazione, che consentono al creditore di soddisfarsi coattivamente sui beni del debitore mediante la vendita o l’assegnazione dei beni medesimi, in quanto simili procedure ostacolano l’attuazione dei complessivi obiettivi, di risanamento finanziario e di riorganizzazione, che connotano i piani di rientro e pregiudicano il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza nel settore sanitario.

Il dato letterale conforta tale interpretazione, atteso che, proprio l’art. 11, comma 51, della legge 2010, n. 220, dopo avere precluso l’attivazione e la prosecuzione delle "azioni esecutive" nei confronti delle A.S.L., disciplina le azioni esecutive già intraprese, prevedendo che non producono effetti i "pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni" alle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, effettuati prima della data di entrata in vigore del d.l. n. 78 del 2010.

Certo, l’inciso da ultimo considerato riguarda solo i pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie effettuate dalla regione e non gli atti di esecuzione forzata per espropriazione compiuti su altri beni strumentali all’erogazione del servizio sanitario, ma resta fermo che, nel contesto complessivo della disposizione, la preclusione è riferita solo ad atti tipici del processo di esecuzione forzata (il pignoramento, in particolare), mentre la formula impiegata si spiega con l’esigenza, espressa dalla norma, di conservare al servizio sanitario le somme versate dalla regione per l’erogazione del servizio medesimo, in modo che gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri possano continuare a "disporre, per le finalità istituzionali dei predetti enti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo".

In altre parole, con l’inciso in esame il legislatore ha dettato il regime di un particolare bene, qual é il denaro versato dalla regione e destinato all’erogazione del servizio, al fine di evitare che i pignoramenti e le prenotazioni a debito già effettuati ne ostacolino l’utilizzo per lo scopo prestabilito.

Nondimeno, resta fermo che la norma, riferendosi espressamente solo al pignoramento e alla prenotazione a debito, ha limitato la preclusione ai soli atti della procedura esecutiva in senso stretto e sul piano sistematico ciò induce a riferire l’espressione "azioni esecutive" proprio a questo tipo di procedura, atteso che, anche per i beni diversi dal denaro, ma comunque strumentali allo svolgimento del servizio sanitario, sussiste l’esigenza di preservarne la destinazione, sottraendoli alla soddisfazione coattiva del creditore, destinazione compromessa dagli atti della procedura esecutiva per espropriazione.

Analoga esigenza non sorge rispetto al giudizio di ottemperanza, che, pertanto, non è riconducibile alle "azioni esecutive" paralizzate dall’art. 11, comma 2, del decretolegge 31 maggio 2010, n. 78 e dall’art. 11, comma 51, della legge 2010, n. 220.

Invero, mediante l’azione di ottemperanza esperita a tutela di una situazione creditoria ed, in particolare, per la soddisfazione di una pretesa pecuniaria risultante da una sentenza passata in giudicato del giudice ordinario o da un provvedimento giurisdizionale ad essa equiparato, come il decreto ingiuntivo munito di formula esecutiva, il creditore non aggredisce esecutivamente singoli beni sottraendoli alla loro destinazione funzionale e vincolandoli alla soddisfazione della propria pretesa, ma ottiene che il giudice si sostituisca all’amministrazione, direttamente o indirettamente per il tramite di un commissario ad acta, nel compimento degli atti necessari per l’adempimento del debito.

Atti che consistono nel reperimento delle somme necessarie per la soddisfazione del credito, eventualmente anche mediante il ricorso a finanziamenti, nei limiti consentiti dalla legge, ma non nel pignoramento e nella successiva assegnazione o vendita di beni determinati, che sono atti diretti a realizzare la conversione in denaro di beni determinati a soddisfazione del creditore.

In altre parole, tale procedura non incide sui beni, mobili o immobili, che l’A.S.L. utilizza per l’erogazione del servizio sanitario, né sulle somme che in base alla legge sono destinate all’erogazione di tale servizio, sicché in relazione ad essa non viene in rilevo la necessità di evitare che la tutela dei creditori dell’amministrazione possa pregiudicare l’attuazione degli obiettivi di risanamento finanziario, di riorganizzazione e di mantenimento dei livelli essenziali di assistenza nel settore sanitario che connotano i piani di rientro dai disavanzi sanitari, alla cui attuazione è funzionale il blocco delle azioni esecutive.

In simili casi spetta all’organo giurisdizionale, o al commissario ad acta nominato dal primo, il compimento degli atti necessari per la soddisfazione del credito azionato, senza intaccare necessariamente beni strumentali al servizio sanitario nei termini suesposti.

Resta fermo che, in relazione alle peculiarità del caso concreto, possono verificarsi delle fattispecie in cui l’ottemperanza risulta oggettivamente impossibile e ciò dipende dal fatto che ogni giudizio di ottemperanza incontra il limite dell’oggettiva impossibilità, da apprezzare caso per caso (cfr. in argomento a mero titolo esemplificativo Consiglio di Stato, Ad. Plen., 29 aprile 2005, n. 2), ma tale circostanza non incide sull’ammissibilità della relativa azione.

3.2) L’esclusione del giudizio di ottemperanza dal blocco delle azioni esecutive è coerente con la già richiamata disciplina comunitaria in materia di lotta ai ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali.

In effetti, la direttiva 2000 n. 35 (in particolare considerando n. 15) specifica di limitarsi "a definire l’espressione titolo esecutivo", senza disciplinare le "procedure per l’esecuzione forzata di un siffatto titolo, né le condizioni in presenza delle quali può essere disposta la sospensione dell’esecuzione ovvero può essere dichiarata l’estinzione del relativo procedimento".

Il riferimento alla sola "esecuzione forzata" e non alla generalità delle procedure utilizzabili per la realizzazione di una pretesa pecuniaria induce a ritenere che restino estranee alla disciplina comunitaria solo le procedure di soddisfazione del credito caratterizzate dall’agire esecutivamente sui beni del debitore, vincolandoli alla soddisfazione del credito e così sottraendoli alla loro destinazione, mentre ne restano assoggettate quelle che, come il giudizio di ottemperanza, tendono alla realizzazione della pretesa pecuniaria senza espropriare forzatamente beni determinati dell’amministrazione.

Difatti, escludere qualsiasi forma di esecuzione dall’ambito di applicazione della direttiva equivarrebbe a vanificarne la finalità e l’esigenza di omogeneizzazione della disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali cui tende la normativa comunitaria.

Diversamente opinando, ciascuno Stato potrebbe, a proprio arbitrio, decidere di paralizzare ogni forma di esecuzione nel settore cui si riferisce la direttiva, impedendo al creditore di soddisfarsi concretamente e così precludendo la realizzazione degli obiettivi comunitari.

Ciò è ancora più evidente se si considera – come già evidenziato in sede di ricostruzione del quadro normativo – che proprio la direttiva stigmatizza la lentezza delle procedure di recupero e precisa che "le conseguenze del pagamento tardivo possono risultare dissuasive soltanto se accompagnate da procedure di recupero rapide ed efficaci per il creditore", aggiungendo che tale situazione si verifica, tra l’altro, nei rapporti tra imprese e autorità pubbliche, in quanto "a queste ultime fa capo un volume considerevole di pagamenti alle imprese" (cfr. considerando n. 16 e n. 20, nonché artt. 2 e 5 dell’articolato).

Il richiamo a procedure di recupero del credito rapide ed efficaci sottende la necessità di assicurare la realizzazione concreta della pretesa patrimoniale e si pone come un passaggio indefettibile per l’attuazione degli obiettivi propri della direttiva 2000 n. 35, sicché è del tutto coerente interpretare in modo restrittivo l’esclusione della "esecuzione forzata" dall’ambito della disciplina comunitaria in questione, limitandola alla sola esecuzione per espropriazione e non alle altre procedure che, come il giudizio di ottemperanza, sono rivolte a consentire la soddisfazione del creditore senza agire per espropriazione su beni determinati.

Ne deriva che lo Stato, intervenendo normativamente in materia di soddisfazione dei crediti derivanti da transazioni commerciali tra imprese ed amministrazioni, non può paralizzare procedure esecutive diverse dall’esecuzione forzata in senso stretto, in quanto così facendo si porrebbe in contrasto con la direttiva comunitaria 2000 n. 35, che non gli attribuisce tale potere in sede di recepimento della direttiva medesima.

In altre parole, l’interpretazione prospettata dall’amministrazione resistente volta a comprendere nel blocco delle azioni esecutive anche il giudizio di ottemperanza non è condivisibile, in quanto rende la normativa nazionale in esame incompatibile con i contenuti della direttiva 2000 n. 35.

3.3) Una volta precisato che il giudizio di ottemperanza non integra una forma di esecuzione forzata ai sensi della direttiva 2000 n. 35 e, pertanto, non si sottrae alla disciplina comunitaria in esame, vale rilevare, a fini di completezza sistematica, un profilo di incompatibilità tra la disciplina posta dall’art. 11, comma 2, del decretolegge 31 maggio 2010, n. 78 e dall’art. 11, comma 51, della legge 2010, n. 220 e la direttiva 2000 n. 35, qualora si riferisse il blocco delle esecuzioni anche al giudizio di ottemperanza, secondo la prospettazione dell’amministrazione resistente, con conseguente necessità di procedere, nel caso concreto, alla disapplicazione delle norme interne ora citate.

La direttiva consente a ciascuno Stato di introdurre deroghe alla disciplina comunitaria solo per i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, nonché per i contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002 e per le richieste di interessi inferiori a 5 euro.

Il legislatore nazionale, con l’art. 11, comma 1, del d.l.vo 2002, n. 231, ha esercitato tale potere di esclusione, sottraendo i contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002 alla disciplina in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

Nondimeno, è evidente che anche il blocco delle azioni esecutive integra un limite all’operatività della disciplina ora citata, in quanto preclude l’efficacia delle procedure di recupero del credito, valorizzate dalla direttiva come strumento dissuasivo indefettibile contro i pagamenti tardivi.

Inoltre, l’art. 11, comma 2, del d.l. 2010, n. 78 e l’art. 11, comma 51, della legge 2010, n. 220 assumono a presupposto del blocco la circostanza che la regione, cui appartiene l’A.S.L. debitrice, sia commissariata e sottoposta a piani di rientro dai disavanzi economici.

Occorre allora verificare se – una volta chiarito che l’ottemperanza rientra nell’ambito di riferimento della direttiva 2000 n 35 e assumendo, secondo la tesi dell’amministrazione resistente, che il blocco delle azioni esecutive comprende anche il giudizio di ottemperanza – tale normativa nazionale riflette i presupposti in presenza dei quali la direttiva consente agli Stati di introdurre deroghe alla disciplina da essa dettata.

In particolare, alla luce delle già indicate ipotesi di deroga fatte salve dalla direttiva, occorre esaminare se la sottoposizione al commissariamento e ai piani di rientro dai disavanzi economici sia equiparabile alla sottoposizione del debitore ad una procedura, ossia all’ipotesi di derogabilità della normativa comunitaria prevista dall’art. 6, comma 3, della direttiva.

Tale equiparazione non è sostenibile.

Invero, le procedure concorsuali sono dirette a garantire la par condicio creditorum, ossia, in estrema sintesi, la possibilità per tutti i creditori, che siano tali al momento dell’apertura della procedura, di soddisfarsi in uguale misura percentuale sui beni del debitore, che vengono sottoposti a liquidazione.

Tale situazione non è ravvisabile nelle fattispecie cui si riferisce il blocco delle azioni esecutive.

In primo luogo, va osservato che il commissariamento non riguarda l’A.S.L. debitrice ma la Regione cui l’A.S.L. appartiene, sicché la fattispecie non è riconducibile ad una procedura concorsuale aperta a carico del debitore.

Inoltre, il commissariamento, unitamente all’esecuzione dei piani di rientro dal disavanzo finanziario, non sottende l’esigenza di garantire la soddisfazione almeno pro quota di tutti i creditori, ma risponde, in primo luogo e come già evidenziato, alla necessità di consentire la riorganizzazione e la riqualificazione del servizio sanitario regionale nel mantenimento dei livelli essenziali di assistenza e correlando a tale processo riorganizzativo anche il pagamento dei debiti oggetto di specifica ricognizione.

Va, pertanto, ribadito che, qualora il blocco delle esecuzioni fosse riferito anche al giudizio di ottemperanza, che non è escluso dall’ambito della direttiva 2000 n. 35 in quanto non integra una "esecuzione forzata" ai sensi della direttiva, la normativa nazionale dovrebbe essere disapplicata per contrasto con la direttiva citata, poiché introdurrebbe una deroga alla disciplina europea al di fuori dei casi da essa consentiti.

3.4) Le conclusioni raggiunte non sono superabili valorizzando il carattere più di esecuzione che di cognizione assunto dal giudizio di ottemperanza quando ha ad oggetto le sentenze, o atti equiparati, del giudice ordinario, che recano la condanna dell’amministrazione al pagamento di somme di denaro.

Tale circostanza è stata valorizzata da una parte della giurisprudenza per sostenere che anche il giudizio di ottemperanza rientra nel blocco delle procedure esecutive.

In particolare, si è considerato che "sia le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. Sez. Un. 30 giugno 1999, n. 376) che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Ad. Plen. 15 marzo 1989 n. 7) hanno ritenuto che il giudice dell’ottemperanza, in caso di sentenze del giudice amministrativo – diversamente da quanto accade in caso di sentenze rese dal giudice di un altro ordine – ha il potere di integrare il giudicato, nel quadro degli ampi poteri, tipici della giurisdizione estesa al merito (e idonei a giustificare anche l’emanazione di provvedimenti discrezionali), che in tal caso egli può esercitare ai fini dell’adeguamento della situazione al comando rimasto inevaso (cfr. anche Consiglio di stato, sez. VI, 16 ottobre 2007, n. 5409). Per quanto poi concerne, in particolare, il giudizio di ottemperanza per l’esecuzione di un decreto ingiuntivo non opposto, secondo condivisibile giurisprudenza "il giudice amministrativo, accertato il mancato pagamento delle somme ingiunte, è investito solo della funzione di garantire gli adempimenti materiali per soddisfare tale precetto, senza poter valutare le ragioni della situazione debitoria e dell’imputabilità dell’inerzia riscontrata" (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 17 novembre 2008, n. 10251). Per tali rilievi la procedura in esame, qualificabile come "azione esecutiva" in senso proprio, peraltro alternativa all’esecuzione di cui al codice di rito, resta assoggettata al termine di sospensione previsto dalla legge 220/2010" (cfr. Tar Calabria Catanzaro, sez. I, 13 aprile 2011, n. 516).

Le considerazioni svolte dalla giurisprudenza indicata sono condivisibili nella parte in cui mettono in evidenza il carattere più di esecuzione che di cognizione del giudizio di ottemperanza avente ad oggetto un decreto ingiuntivo, mentre non lo sono nella parte in cui correlano a tale carattere dell’ottemperanza l’applicabilità del blocco delle esecuzioni.

In particolare, la natura esecutiva che il giudizio di ottemperanza assume in tali ipotesi – giudizio peraltro cumulabile con l’esecuzione forzata civilistica salva l’impossibilità di conseguire due volte quanto spettante (cfr. tra le altre, Tar Campania Napoli, sez. V, 13 novembre 2009, n. 7373) e comunque connotato da profili di cognizione anche in relazione all’interpretazione del giudicato ordinario (cfr. Cass. Civ., SS.UU., ordinanza 2 dicembre 2009 n. 25344) – evidenzia solo che il giudice amministrativo deve limitarsi ad accertare la permanenza dell’inadempimento e la presenza di un titolo esecutivo, interpretandone il contenuto, senza potere sviluppare altri profili di cognizione, ma non vale a trasformare il giudizio di ottemperanza in una procedura di esecuzione in senso stretto, atteso che non è diretto ad aggredire beni determinati, ma a sostituire l’amministrazione inadempiente nel compimento degli atti necessari a garantire la soddisfazione del credito.

Ne deriva che la prevalenza di profili esecutivi su quelli cognitori, nel giudizio di ottemperanza riferibile ai casi in esame, nulla dice in ordine alla estendibilità a tale giudizio del blocco delle esecuzioni.

3.5) Vale evidenziare, infine, un ulteriore profilo proprio della fattispecie in esame comunque ostativo all’applicazione del blocco delle esecuzioni stabilito dagli artt. 11, comma 2, del d.l. 2010, n. 78 e 11, comma 51, della legge 2010, n. 220.

Si è già chiarito che l’operatività della disciplina dettata dalle norme citate presuppone che l’amministrazione regionale abbia proceduto alla ricognizione dei debiti prevista proprio dall’art. 11, comma 2, del d.l. 2010, n. 78.

Tale circostanza, siccome integra, nella prospettiva dedotta dall’amministrazione resistente, un fatto diretto ad applicare una normativa tesa a paralizzare la pretesa del ricorrente, deve essere dimostrata proprio dall’amministrazione resistente, ai sensi dell’art. 2697, comma 2, c.c..

Nondimeno, tale circostanza non è stata né allegata, né provata dall’Azienda resistente, neppure costituitasi nel presente giudizio.

4) In definitiva, al Tribunale non resta che prendere atto della mancata esecuzione del decreto ingiuntivo indicato in epigrafe ed adottare le conseguenti misure ai sensi dell’art. 114 c.p.a..

In particolare, il Tribunale ritiene opportuno procedere alla nomina di un Commissario ad acta, individuandolo nel Prefetto di Cosenza, affinché provveda all’esecuzione dei decreti ingiuntivi secondo i termini e le modalità stabilite in dispositivo e nei limiti degli importi che risulteranno non ancora versati alla società ricorrente.

A garanzia dell’effettività dell’adempimento, il Tribunale ritiene necessario disporre che il Commissario ad acta produca una dettagliata relazione sullo stato dell’esecuzione del decreto ingiuntivo almeno 10 giorni prima della camera di Consiglio fissata in dispositivo per il prosieguo della trattazione, con l’avviso che immotivati ritardi comporteranno l’adozione delle misure di legge.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)

non definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e per l’effetto:

1) Nomina Commissario ad acta il Prefetto di Cosenza, con facoltà di delega ad altri funzionari a lui gerarchicamente subordinati, affinché, previo accertamento della perdurante inottemperanza dell’amministrazione ingiunta, provveda entro 120 giorni dalla comunicazione della presente sentenza, o dalla notificazione se anteriore, all’esecuzione del decreto ingiuntivo indicato in epigrafe, disponendo il pagamento delle somme in esso determinate, in favore della società ricorrente e previa decurtazione degli importi già corrisposti;

2) Il Commissario ad acta produrrà una dettagliata relazione sullo stato dell’esecuzione del decreto ingiuntivo almeno 10 giorni prima della Camera di Consiglio fissata per il prosieguo della trattazione;

3) Rinvia per il prosieguo alla Camera di Consiglio del 12 aprile 2012, ad ore di rito;

Spese al definitivo.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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