Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 28-09-2011) 18-10-2011, n. 37520

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 2 dicembre 2010, il G.I.P. del Tribunale di Venezia applicava a Z.F.P. la pena concordata per il reato di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 3, comma 2, nn. 4 e 8 (in (OMISSIS)).

Avverso tale decisione la predetta proponeva ricorso per cassazione deducendo, con un unico motivo, il vizio di motivazione.

Rilevava, a tale proposito, che il provvedimento impugnato doveva ritenersi censurabile per carenza di motivazione, in quanto il G.I.P. non aveva dato conto del compimento di una verifica circa la sussistenza degli elementi costitutivi del reato e dell’assenza di condizioni per l’applicabilità dell’art. 129 c.p.p., essendo presente un mero richiamo ad alcuni atti di polizia giudiziaria.

Aggiungeva che il giudice, avendo disposto la confisca, non aveva indicato le ragioni giustificative della misura ablativa e, nel quantificare la pena, non aveva dato conto dei motivi che consentivano l’applicazione della continuazione, impedendo così qualsiasi verifica della congruità del trattamento sanzionatorio.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è solo in parte fondato.

Occorre preliminarmente ricordare che, in tema di "patteggiamento", il rito prescelto non consente la prospettazione, in sede di legittimità, di questioni che risultino incompatibili con la richiesta di applicazione della pena formulata per il fatto contestato e per la relativa qualificazione giuridica risultante dalla contestazione, poichè l’accusa come giuridicamente qualificata non può essere rimessa in discussione, presupponendosi la rinuncia a far valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento e al consenso a essa prestato. (Sez. 5, n. 21287, 04 giugno 2010; Sez. 2, n. 5240, 14 gennaio 2009).

Ciò posto, deve osservarsi, con riferimento alla lamentata carente esplicitazione della sussistenza o meno della cause di non punibilità contemplate dall’art. 129 c.p.p., che secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti la espressa considerazione della insussistenza delle cause di non punibilità da parte del giudice è richiesta solo nel caso in cui, sulla base degli atti o delle deduzioni delle parti, emergano concreti elementi circa la loro possibile applicazione, essendo altrimenti sufficiente la mera enunciazione della loro insussistenza o una motivazione implicita (Sez. 5, n. 1713, 11 giugno 1999; Sez. 5, n. 4117, 29 settembre 1999).

Va aggiunto che la natura e i limiti del controllo giurisdizionale ai sensi art. 129 c.p.p., richiesti per il "palleggiamento", fanno sì che la decisione possa essere sottoposta al giudizio di legittimità con riferimento al vizio di motivazione solo quando dal testo della sentenza appaia evidente la sussistenza delle cause di non punibilità indicate nella norma predetta (Sez. 6, n. 4120, 1 febbraio 2007; Sez. 3, n. 2309, 09 ottobre 1999) circostanza questa, non verificatasi nella fattispecie.

Invero il G.I.P. ha espressamente escluso che ricorressero le condizioni per applicare la menzionata disposizione rinviando al contenuto di alcuni atti redatti dal personale di polizia giudiziaria operante ed assolvendo così efficacemente all’onere motivazionale impostogli dalla legge.

La motivazione non risulta carente neppure per quanto attiene ai riferimenti in ordine all’applicazione dell’art. 81 c.p..

Va rammentato, infatti, che non può ritenersi affetta da nullità la sentenza di patteggiamento anche quando il giudice, ratificando l’accordo per l’applicazione di una pena superiore al minimo legale, ometta l’indicazione dell’aumento per la continuazione, nè tale provvedimento può ritenersi suscettibile di censura sotto il profilo della mancanza di motivazione, poichè il giudice è tenuto in proposito a verificare soltanto la corretta quantificazione della pena (cfr. Sez. 5, n. 37307, 19 ottobre 2010; Sez. F. n. 33409, 17 agosto 2009; Sez. 2, n. 43929, 17 novembre 2009; Sez. 5, n. 20562, 25 maggio 2007; Sez. 4, n. 8151, 27 febbraio 2001).

Nel caso di specie la sentenza indica nel dettaglio tutti i calcoli effettuati per la quantificazione della pena, ivi compreso l’aumento per la continuazione, dando atto della congruità della stessa e della correttezza dei calcoli effettuati dalle parti che la proponevano.

La sentenza non appare invece idonea a superare il vaglio di legittimità nella parte in cui dispone la confisca di alcuni beni in sequestro.

Invero, la L. 12 giugno 2003, n. 134, modificando l’art. 445 c.p.p., comma 1, ha esteso l’applicabilità della confisca a tutte le ipotesi previste dall’art. 240 c.p. e non più solo a quelle previste come ipotesi di confisca obbligatoria. La giurisprudenza di questa Corte è tuttavia unanime nel ritenere che tale estensione impone al giudice di motivare sulle ragioni per cui ritiene di dover disporre la confisca (Sez. 6, n. 17266, 6 maggio 2010; Sez. 5, n. 47179, 11 dicembre 2009; Sez. 6, n. 2703, 21 gennaio 2009; Sez. 6, n. 10531, 12 marzo 2007; Sez. 4, n. 43943, 2 dicembre 2005).

Nel caso di specie manca ogni indicazione in tal senso.

In particolare, non è possibile neppure individuare a quali bene si riferisca il provvedimento che richiama un verbale di sequestro dell’Arma dei Carabinieri nè, tantomeno, comprendere se tali beni siano suscettibili di confisca facoltativa o obbligatoria. Manca, inoltre, qualsivoglia riferimento alle ragioni che impongono o giustificano la misura di sicurezza patrimoniale.

Tale lacuna motivazionale dovrà pertanto essere colmata nel successivo giudizio di rinvio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Venezia limitatamente alla confisca.

Rigetta nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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