Cass. civ. Sez. I, Sent., 02-04-2012, n. 5257 Opposizione a dichiarazione di fallimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con atto depositato in data 24 maggio 2010, la società Mart S.r.L., in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante, A. M., proponeva reclamo avverso la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia del 5 – 6 maggio 2010, con la quale e stato dichiarato il fallimento della stessa società, deducendo in primo luogo l’inesistenza e/o la nullità della notificazione, per non avere essa società mai avuto conoscenza del procedimento fallimentare in questione.

A tal fine assumeva: a) che l’Ufficiale Giudiziario aveva, nella sua relata, dichiarato di aver notificato, in data 05 febbraio 2010, gli atti alla MART S.r.L. – senza tuttavia indicare il luogo della notifica – "mediante consegna di copia al rappresentante legale Signor A.M. tale qualificatosì; b) che con ulteriore relata, altro ufficiale giudiziario, aveva dichiarato di aver notificato, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., i medesimi atti in (OMISSIS), luogo di presunta residenza dell’ A.; c) che in realtà nessuna istanza con pedissequo decreto di fissazione dell’udienza era stata mai notificata ad esso A. nella qualità di legale rappresentante della Mart S.r.L., e men che meno in data (OMISSIS), giorno in cui l’ A. si trovava per tutta la giornata nel Comune di (OMISSIS) all’interno della struttura ambulatoriale del dott. S. A.; d) che nessuna notificazione era stata inoltre effettuata all’errato indirizzo di contrada (OMISSIS), dal momento che l’ A. non risiedeva più in tale luogo da circa due anni e dove evidentemente l’Ufficiale Giudiziario non aveva potuto accertare alcuna "irreperibilità" o "assenza" del destinatario, ai sensi di una rituale notifica ex art. 140 cod. proc. civ.; e) che entrambe le notificazioni erano da considerarsi nulle in quanto effettuate in violazione degli artt. 145, 148 e 140 cod. proc. civ..

In secondo luogo deduceva che il Tribunale di Vibo Valentia era incompetente a dichiarare il fallimento dovendo ritenersi competente il Tribunale del luogo dove l’imprenditore aveva la sede principale dell’impresa, coincidente nella specie non con la sede legale in (OMISSIS), ma con l’unità locale sita in (OMISSIS);

circostanza quest’ultima che risultava dalla Visura Storica della C.C.I.A.A. di (OMISSIS), dalla stessa istanza di fallimento presentata dalla "Claudio Tonello S.r.l." e da talune fatture e documenti di trasporto allegati alla detta istanza.

Infine lamentava che erroneamente il primo giudice aveva considerato sussistenti i presupposti del fallimento, avendo ritenuto, senza alcun fondamento ed in mancanza di prova alcuna, che l’istante avesse dimostrato: a) la sussistenza di un debito pari ad Euro 50.164,00 a carico della Mart S.r.l.; b) il perdurante inadempimento di tale debito documentato, ed in particolare la sussistenza di un inadempimento per un ammontare pari ad una somma superiore alla soglia di Euro 30.000,00, R.D. n. 267 del 1942, ex art. 15, u.c.; e) la emersione da tali elementi di uno stato di insolvenza, ex art. 5, L. Fall.; d) la presenza di un considerevole numero di protesti levati nei confronti della Mart S.r.l.;

All’udienza del 14 luglio 2010 si costituiva in giudizio la Curatela del Fallimento Mart S.r.l. la quale resisteva al proposto gravame chiedendone il rigetto.

La Corte d’appello, con ordinanza del 5-6 agosto 2010, disponeva al rinnovazione della notificazione nei confronti della Claudio Tonello S.r.l. e successivamente, con sentenza 907/10, rigettava il reclamo.

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione la Mart srl sulla base di tre motivi cui non resiste con controricorso la curatela fallimentare nè il creditore istante.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la società ricorrente deduce la nullità della notifica dell’istanza di fallimento della Tonello srl mai pervenuta nè alla società nè al suo legale rappresentante.

Con il secondo motivo lamenta che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto inammissibile la eccezione di incompetenza territoriale proposta con il reclamo.

Con il terzo motivo contesta la esistenza di una situazione debitoria pari o superiore ai trentamila Euro e la ritenuta sussistenza dello stato d’insolvenza.

Il primo motivo è infondato.

Risulta che una prima notifica della istanza di fallimento e del provvedimento di fissazione di udienza è stata effettuata il 5.2.10 a mani del legale rappresentante della società, A.M..

Quest’ultimo deduce la falsità della relata in quanto in quei gironi si trovava nel comune di (OMISSIS) presso una struttura ambulatoriale.

Tale assunto è privo di alcun fondamento essendo fin troppo noto che la relata di notifica dell’ufficiale giudiziario costituisce un atto pubblico le cui attestazioni fanno prova fino a querela di falso.

Nel caso di specie siffatta querela non risulta essere stata proposta onde le contestazioni del ricorrente non hanno alcun pregio non potendo smentire la certificazione dell’ufficiale giudiziario.

Circa la mancata indicazione nella relata del luogo ove è avvenuta la notifica tale circostanza è priva di rilievo alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente affermato che poichè la relazione di notificazione si riferisce, di norma, all’atto notificato, così come strutturato, in assenza di indicazioni difformi deve presumersi che la notificazione sia stata effettuata nel luogo in esso indicato, sicchè l’omessa indicazione del detto luogo nella "relata", ove emendabile col riferimento alle risultanze dell’atto, non comporta nullità della notificazione, ma mera irregolarità formale, non essendo la nullità prevista dall’art. 160 cod. proc. civ. (Cass 5079/10, Cass 11066/03).

A ciò deve aggiungersi che la notifica di un atto a mani proprie del destinatario, ex art. 138 cod. proc. civ., è sempre valida, a prescindere dalla circostanza che la consegna del piego, nel comune in cui ha la propria residenza il destinatario del piego stesso, non sia avvenuta presso la casa di abitazione (anagrafica) del destinatario stesso. (Cass 1887/06, Cass 12398/02).

Il secondo motivo è infondato.

La Corte d’appello ha fornito una duplice motivazione in ordine al rigetto della domanda di declaratoria di incompetenza territoriale.

Anzitutto ha ritenuto la stessa inammissibile perchè proposta per la prima volta in sede di reclamo.

Tale pronuncia deve ritenersi corretta.

Il principio generale in materia è che l’incompetenza per materia, da qualunque causa dipenda ed al pari di quella per valore e per territorio nei casi previsti dall’art. 28 cod. proc. civ., dev’essere eccepita o rilevata, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 38 c.p.c., comma 1 (nel testo introdotto dalla L. n. 353 del 1990, art. 4 in vigore dal 30 aprile 1995; ma il principio è applicabile anche nel vigore del testo introdotto dalla L n. 69 del 2009) non oltre la prima udienza di trattazione; ne consegue che, in difetto, diviene insindacabile e irretrattabile la competenza del giudice dinnanzi a cui l’incompetenza non sia stata eccepita o rilevata. (Cass 4007/09;

Cass 22055/06).

Questa Corte ha altresì ulteriormente chiarito che la disposizione di cui all’art. 38 cod. proc. civ., nel nuovo testo di cui alla L. n. 353 del 1990, art. 4 (ed ora nel testo nel testo modificato dalla L. n. 69 del 2009 applicabile al caso di specie), laddove ha introdotto una generale barriera temporale preclusiva ai fini della possibilità di rilevare tutti i tipi di incompetenza, fissandola nella prima udienza di trattazione, deve ritenersi applicabile non soltanto ai processi di cognizione ordinaria, ma anche ai processi di tipo camerale, almeno allorchè questi siano utilizzati dal legislatore per la tutela giurisdizionale di diritti. (Cass 13055/99, Cass 14139/02).

Deve quindi ritenersi che l’obbligo di eccepire l’eccezione di incompetenza nella prima udienza di trattazione sia applicabile anche alle controversie in materia fallimentare vertendo questa sulla tutela giurisdizionale dei diritti.

Per quanto concerne la procedura per la dichiarazione di fallimento in relazione alla competenza prevista dall’art. 9, L. Fall. va rammentato che prima della novellazione del 2006 e del 2007 la giurisprudenza di questa Corte , sia pure in riferimento alla non più prevista ipotesi di amministrazione controllata, aveva ritenuto che il tribunale investito della domanda di un imprenditore di ammissione alla predetta procedura poteva dichiarare la propria incompetenza territoriale anche oltre il limite temporale previsto all’art. 38 cod. proc. civ., comma 1 (prima udienza di trattazione), in particolare perchè nell’ambito delle procedure concorsuali (in cui il giudice è investito di notevoli poteri inquisitori e di impulso, si che lo svolgimento delle stesse non è nella piena disponibilità delle parti, con riflessi anche sul contraddicono tra queste) non è riscontrabile una udienza avente struttura e funzione analoghe alla prima udienza di trattazione nel procedimento ordinario. (Cass 19496/05). Tale pronuncia, che si riferisce peraltro esclusivamente alla tardiva proposizione della eccezione nel giudizio di primo grado ma non anche alla proposizione della stessa per la prima volta in sede di gravame,appare non più invocabile alla luce della attuale normativa. L’art. 15, L. Fall., attualmente in vigore ha infatti strutturato un procedimento per la dichiarazione di fallimento a carattere contenzioso ed a cognizione piena con trattazione in udienza in cui viene assicurato in modo completo il contraddicono tra le parti ed il diritto di difesa, residuando comunque dei poteri d’accertamento ufficiosi da parte del giudice.

Ciò a differenza di quanto avveniva prima della novellazione del 2006 e del 2007 in cui non era prevista alcuna udienza innanzi al tribunale essendo sufficiente che il fallendo fosse informato della esistenza della procedura a suo carico e potesse quindi esplicare le proprie difese anche mediante il deposito di memorie senza che vi fosse in tal caso la necessità di essere obbligatoriamente sentito dal giudice.

L’attuale procedimento prefallimentare è invece incentrato, previa notifica del decreto di convocazione del fallendo e dei creditori istanti, sulla udienza di comparizione innanzi al tribunale in composizione collegiale in cui il fallendo deve depositare le proprie difese e tutta la documentazione necessaria ed il tribunale può espletare mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio.

Risulta quindi di tutta evidenza che attualmente il giudizio si svolge con il contraddittorio pieno delle parti e che nella udienza di comparizione il fallendo, analogamente all’udienza di cui all’art 183 c.p.c., ha la possibilità di rappresentare tutte le proprie difese e di sollevare quindi con queste ultime ogni eccezione ivi compresa quella di incompetenza territoriale di cui all’art. 9, L. Fall..

Quanto alla eventuale rilevabilità d’ufficio, l’art. 28c.p.c. dispone, tra l’altro, che la competenza territoriale non può essere derogata per i casi di procedimenti in Camera di consiglio, vale a dire per i procedimenti regolati dagli artt. 737 e segg. c.p.c. come quello fallimentare in esame, giusta l’espressa indicazione dell’art. 15, comma 1, L. Fall..

Da tali disposizioni si ricava che la competenza territoriale individuata in base al criterio previsto dal citato art. 9, L. Fall. riveste un carattere inderogabile, rientrando in uno dei casi di esclusione della facoltà di deroga per accordo delle parti della competenza territoriale previsti dall’art. 28 c.p.c..

L’art. 38 c.p.c. dispone al comma 3 che l’incompetenza territoriale inderogabile è rilevata, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione. Ne consegue che il mancato rilievo entro il termine suindicato rende, pertanto, la competenza territoriale incontestabile. (argomenta sul punto ex Cass 2255/04).

Dunque la decadenza dalla eccezione di incompetenza territoriale inderogabile per omessa proposizione si verifica nel giudizio di primo grado, onde la stessa non è più proponibile in sede di gravame come correttamente sostenuto dalla sentenza impugnata. (v.

Cass 3622/89 Cass 12781/98).

Va aggiunto a tale ultimo proposito che è stato già affermato che in sede di reclamo avverso la dichiarazione di fallimento, l’istituto, adeguato alla natura camerale dell’intero procedimento, è caratterizzato, per la sua specialità, da un effetto devolutivo pieno, cui non si applicano i limiti previsti, in tema di appello, dagli artt. 342 e 345 cod. proc. civ., pur attenendo il reclamo ad un provvedimento decisorio, emesso all’esito di un procedimento contenzioso svoltosi in contraddittorio e suscettibile di acquistare autorità di cosa giudicata. Da ciò consegue che il debitore, benchè non costituito avanti al tribunale, può indicare anche per la prima volta, in sede di reclamo, i mezzi di prova di cui intende avvalersi, al fine di dimostrare la sussistenza dei limiti dimensionali di cui all’art. 1, comma 2, L. Fall. ovvero l’insussistenza dello stato d’insolvenza, (Cass. 22546/10). Tuttavia deve ritenersi che l’effetto devolutivo in esame non possa estendersi alle ipotesi in cui si sia già verificata una decadenza da una eccezione nel corso del primo grado di giudizio ed in particolare quella di incompetenza perchè ciò sarebbe, comunque, contrario al principio costituzionale della celerità dei giudizi dal momento che, qualora si ammettesse la possibilità di sollevare l’eccezione d’incompetenza anche in fase di gravame, sarebbero suscettibili, se l’eccezione fosse fondata, di ricominciare ex novo innanzi al giudice competente con vano dispendio di tempo e di attività giudiziaria.

Non è necessario esaminare la seconda doglianza proposta con il motivo di ricorso in esame avverso la seconda ratio decidendi della sentenza impugnata, con cui si è escluso che nel caso di specie la sede della società fallita non coincidesse con quella legale, poichè tale ratio riveste un carattere subordinato rispetto a quella principale della inammissibilità della eccezione dianzi esaminata ed è priva pertanto di rilevanza onde i ricorrenti sono privi di interesse a censurare siffatta pronuncia.

Anche il terzo motivo di ricorso è infondato La Corte d’appello ha correttamente ritenuto la sussistenza del requisito di cui all’art. 15, u.c., L. Fall. e dello stato di insolvenza.

Deve rilevarsi che il primo giudice ha sostanzialmente considerato la documentazione prodotta a sostegno dalla Claudio Tonello S.r.l., pienamente idonea a fornire la prova del preteso credito in quanto fondata sulla produzione di copia di fatture, per un ammontare complessivo di Euro 50.165,00, e di undici titoli, in originale, scaduti e protestati, questi ultimi portanti la complessiva somma di Euro 29.790,92.

In aggiunta a ciò, ha rilevato che dalla contabilità della società fallita emergeva al 31.12.09 un debito di oltre 49 mila Euro e che dalle dichiarazioni rese dalla stessa Mart srl e dalla documentazione da essa fornita emergeva che la stessa aveva debiti per oltre 75 mila Euro nei confronti dell’Erario e che, inoltre, vi erano numerosi altri assegni protestati, oltre a quelli della Tonello srl, che erano stati accertati dalle indagini della Guardia di Finanza.

Il ricorrente incentra le proprie doglianze sugli assegni protestati prodotti dalla Tonello srl sostenendo che, in base al riconoscimento della stessa società creditrice , il credito portato dagli assegni in questione effettivamente esigibile all’epoca della dichiarazione di fallimento era di poco superiore ai ventimila Euro e che erroneamente il giudice del gravame non aveva tenuto conto di detta dichiarazione. Contesta, inoltre, che il debito di 75 mila Euro fosse scaduto al momento della dichiarazione di fallimento posto che il concessionario aveva concesso una rateazione del debito in sessanta rate. Contesta infine ogni valore alle ulteriori levate di protesto.

Le censure sono infondate.

A prescindere dalla corretta considerazione effettuata dalla Corte d’appello relativamente agli assegni dati in pagamento alla Tonella srl secondo cui, anche a considerare il solo importo di Euro 20.628,84 a questo doveva sommarsi l’importo di altri tre titoli con scadenza anteriore al fallimento (28.2.10 – 31.3.10 – 30.4.10) per cui l’importo totale era certamente superiore ai ventimila Euro, si osserva che comunque è stato accertato in base alla contabilità della società fallita che questa al 31.12.2009 registrava un debito di 75 mila Euro circa nei confronti dell’Erario e che numerosi altri protesti di titoli cambiari erano stati elevati tra il 2006 ed il 2009 senza che fosse stata fornita la prova degli avvenuti pagamenti dei detti titoli.

In ordine a questa due contestazioni le doglianze proposte sono inconsistenti e prive di autosufficienza.

Quanto alla prima, la società ricorrente deduce che il debito fiscale era stato in parte sgravato e per il resto rateizzato, ma, anche a volere ritenere sussistenti tali circostanze, nulla argomenta circa l’entità dello sgravio e circa le modalità della rateizzazione , dovendosi ritenere che normalmente al momento dell’ammissione alla rateizzazione un importo è comunque dovuto. In tal senso era onere specifico della ricorrente dedurre e dimostrare che del credito di oltre 75 mila Euro certamente scaduto, nulla era esigibile.

In ordine ai protesti accertati dalla Guardia di Finanza, del tutto correttamente la Corte d’appello ha rilevato che gli stessi dovevano considerarsi debiti scaduti e non pagati, non essendo stato cancellato il nome della società dal bollettino protesti e non essendo stata fornita la prova del pagamento.

In conclusione la motivazione della sentenza appare idonea e sufficiente a dimostrare con tutta certezza l’esistenza di un debito superiore ai trentamila Euro.

Quanto allo stato d’insolvenza, nel motivo non si rinvengono censure specifiche ulteriori diverse da quelle testè esaminate onde anche tale profilo di doglianza deve ritenersi infondato.

Il ricorso va in conclusione respinto.

Nulla per le spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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