Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 28-09-2011) 18-10-2011, n. 37514 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 17 febbraio 2011, la Corte d’Appello di Brescia confermava la sentenza con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, il G.l.P. di quella città aveva condannato M. G.B. per violenza sessuale e lesioni personali in danno di M.P., la quale veniva costretta a subire atti sessuali consistenti in palpeggiamenti del seno cui il predetto la sottoponeva in occasione di un passaggio in auto offertole dopo che la stessa aveva subito un guasto alla propria vettura arrecandole, nella colluttazione che ne seguiva, lesioni personali guaribili in sette giorni.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Premessa una dettagliata descrizione degli eventi, degli esiti del giudizio di primo grado e dell’atto di appello, lamentava che la decisione della Corte bresciana era affetta da vizio di motivazione ed era stata assunta in violazione dell’art. 192 c.p.p., commi 1 e 2 e art. 546 c.p.p., comma 1.

Osservava, a tale proposito, che i giudici del gravame si erano abbandonati a mere congetture, sposando la tesi colpevolistica prevalsa nel giudizio di primo grado, in assenza di concreti riscontri.

Richiamava in particolare l’attenzione sulla circostanza che la persona offesa aveva dichiarato di avergli provocato, difendendosi, profondi graffi affondandogli le unghie nelle mani e che tale circostanza era stata però smentita da numerosi testimoni che non avevano notato segni di alcun tipo sul suo corpo e le cui dichiarazioni erano state erroneamente valutate dai giudici del gravame attraverso il ricorso a personali deduzioni.

Altrettanto erronea riteneva la valutazione delle risultanze del certificato medico emesso all’esito della visita cui la donna era stata sottoposta dopo l’aggressione, in quanto le lesioni riscontrate dai sanitari non coincidevano con quelle descritte in querela e criticava la scarsa considerazione prestata alle condizioni psichiche della predetta ai fini della sua credibilità ed attendibilità.

Ulteriori censure riguardavano la compatibilita della condotta descritta con le condizioni di tempo e di luogo concernenti l’evento delittuoso e la dimostrata ricerca di testimonianze compiacenti da parte della donna che riteneva, anche in questo caso, frettolosamente liquidate dalla Corte territoriale ancora una volta sulla base di considerazioni meramente congetturali.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

In data 28 luglio 2011 depositava in cancelleria motivi nuovi con i quali deduceva il vizio di motivazione anche in relazione a specifiche doglianze enunciate nell’atto di appello.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Esso si sostanzia, come emerge chiaramente nel contenuto, in una critica alle modalità di valutazione del compendio probatorio da parte dei giudici del gravame che si ritiene gravemente compromesso dal reiterato ricorso alla congettura quale mezzo per inficiare la pluralità di elementi oggetti vi che dimostrerebbero la inattendibilità della persona offesa.

Si tratta di elementi già offerti nell’atto di appello ed ai quali la Corte territoriale ha fornito una risposta ritenuta però non soddisfacente per le ragioni dianzi esposte.

Il ricorrente si è più volte preoccupato di evidenziare come le sue doglianze non mirassero ad una diversa ed inammissibile valutazione delle risultanze probatorie quanto, piuttosto, a stigmatizzare un non corretto approccio critico da parte dei giudici del gravame.

Tali censure si risolvono, tuttavia, in una prospettazione alternativa delle risultanze fattuali del giudizio di merito che non può però trovare accesso in questa sede di legittimità (ed a conclusioni analoghe deve giungersi con riferimento ai motivi nuovi successivamente depositati).

Si tratta, in ogni caso, di questioni che la Corte territoriale ha lucidamente affrontato fornendo adeguata e coerente risposta a tutte le doglianze mosse con l’atto di appello addirittura eccedendo, in alcuni casi, con considerazioni ed argomentazioni esplicative non necessarie e che tuttavia evidenziano scrupolo e attenzione nell’esame delle questioni trattate e non alterano la sostanziale linearità del complessivo giudizio.

La Corte bresciana richiama infatti, legittimamente, per relationem, la sentenza di primo grado e si sofferma sulle questioni prospettate dalla difesa, dando atto che l’esistenza di un incontro tra l’imputato e la persona offesa non è in contestazione.

Il racconto della donna riportato in querela viene riconosciuto veritiero e credibile sulla base di riscontri che appaiono valutati con argomentazioni prive di cedimenti logici.

Viene in primo luogo richiamata l’attenzione sulla circostanza che la persona offesa, subito dopo l’accaduto (circa un quarto d’ora), raccontò della vicenda alla parrucchiera presso la quale si stava recando quando incontrò l’imputato e che quella, del tutto indifferente ai fatti e certamente credibile, riferiva di aver personalmente constatato la presenza di segni sulla donna e di aver appreso dalla stessa che, nel difendersi, aveva graffiato il suo aggressore.

La presenza delle lesioni riportate dalla M.P. risultano poi documentate da un certificato medico.

I giudici del gravame danno quindi atto delle plurime dichiarazioni dei familiari dell’imputato e di un suo collega di lavoro circa l’assenza di segni dei graffi che la persona offesa assumeva di avergli infetto illustrando una serie di motivi per i quali le stesse non potevano ritenersi determinanti e, segnatamente, per il fatto che il contenuto delle dichiarazioni medesime non escludeva in ogni caso che una colluttazione fosse avvenuta.

Rilevano, a tale proposito, in modo del tutto coerente, che la persona offesa, nel riferire della sua reazione ha descritto, considerato il concitato svolgimento degli eventi, ciò che riteneva di aver provocato al suo aggressore, cosicchè l’assenza di segni visibili poteva comunque ritenersi compatibile con la narrazione riportata in querela e non inficiava la genuinità del racconto.

Venivano aggiunte ulteriori osservazioni sulla incertezza dei riferimenti temporali indicati dai testi indotti dalla difesa ed oggetto di contestazione nei motivi di appello ma che, a fronte delle precedenti argomentazioni, non assumono rilievo.

Viene poi analizzata dai giudici del merito la attendibilità e completezza della certificazione medica, pervenendo, anche in questo caso, alla conclusione che le lesioni refertate sono perfettamente compatibili con il racconto della vittima del reato in quanto i medici avrebbero riferito esclusivamente delle lesioni maggiormente rilevanti.

Anche tale osservazione appare del tutto scevra da salti logici, posto che è di tutta evidenza che una certificazione medica riporti l’indicazione delle lesioni o di altre patologie obiettivamente apprezzabili che presentino sintomatologia manifesta e rilevanza sotto il profilo clinico.

Parimenti immuni da censure risultano, inoltre, le ulteriori considerazioni che la Corte territoriale svolge in merito alla mancanza di dati significativi circa eventuali intenti calunniatori da parte della donna e la irrilevanza della patologia dalla quale la stessa era affetta, sulla compatibilità del narrato con le condizioni di tempo e di luogo nelle quali si sarebbero svolti i fatti e sulla ricerca della donna di testimonianze tese a dimostrare le tendenze sessuali del suo aggressore.

Si tratta, anche in questo caso, di dati fattuali che la Corte bresciana analizza nel dettaglio senza incorrere in alcuna incongruenza e con apprezzamenti la cui tenuta logica non risulta in alcun modo compromessa dalle deduzioni che la difesa ha sviluppato in ricorso e che aveva già formulato nell’atto di appello ricevendo adeguata risposta.

Ne consegue che il giudizio di attendibilità sulla dichiarazione testimoniale della persona offesa effettuato dalla Corte d’Appello si palesa privo contraddizioni, avendone i giudici valutato l’intrinseca coerenza nonchè la veridicità e unicità del nucleo essenziale, mentre le censure mosse in ricorso riguardano singoli particolari di minima importanza che per nulla sbiadiscono la evidenza dei dati probatori acquisiti e, conseguentemente, la ricostruzione della vicenda effettuata dai giudici di merito ed il loro complessivo giudizio.

Da tutto ciò deve conseguire la dichiarazione di inammissibilità e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in Euro 1.000,00 tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità". (Corte Cost. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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