Cass. civ. Sez. I, Sent., 02-04-2012, n. 5254 Ammissione al passivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Lanciano, con decreto del 27.10.09, ha respinto l’opposizione L. Fall., ex art. 98, proposta da Equitalia Pragma s.p.a. avverso il decreto del giudice delegato che aveva dichiarato inammissibile, ai sensi della L. Fall., art. 101, u.c., la sua domanda di ammissione allo stato passivo del Fallimento della Nardi s.r.l..

Il giudice del merito ha ritenuto che fra le cause di inimputabilità del ritardo, che, ai sensi della citata disposizione, legittimano la presentazione della domanda tardiva anche dopo la scadenza del termine di cui al comma 1, del medesimo articolo, non potessero essere incluse le difficoltà connesse all’adozione dei provvedimenti finalizzati alla formazione del titolo da allegare all’istanza di insinuazione, nonchè del subentro del soggetto richiedente ad altro concessionario, anche in ragione dell’ampia possibilità concessa agli istituti di presentare domande di insinuazione incomplete della documentazione e da ammettere con riserva.

Equitalia Pragma ha chiesto la cassazione del provvedimento, con ricorso affidato a cinque motivi.

Il Fallimento della Nardi s.r.l. non ha svolto difese.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo di ricorso, Equitalia Pragma denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., e D.Lgs. n. 112 del 1999, artt. 33 e 39, anche in relazione all’art. 106 c.p.c.. Deduce che, nel ricorso in opposizione, essa aveva fatto espressa richiesta di essere autorizzata ad integrare il contraddittorio nei confronti dell’Agenzia delle Entrate – ufficio di Lanciano, quale titolare dei crediti che le erano stati affidati in riscossione, per porla in condizione di controdedurre nel merito ed assume che tale istanza processuale è stata totalmente pretermessa dal Tribunale; rileva che il provvedimento non era rimesso alla discrezionalità del giudice, ma vincolato, atteso che, ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, qualora l’oggetto del giudizio non attenga a vizi formali della cartella, il concessionario ha l’obbligo di chiedere la chiamata dell’ente impostore, anche per non rispondere delle conseguenze della lite; sostiene infine, che, poichè il contraddittorio non è stato integrato, il procedimento sarebbe da considerarsi nullo.

Il motivo è infondato.

Il giudice di merito, omettendo di provvedere sull’istanza di chiamata in causa dell’Agenzia delle Entrate, l’ha implicitamente respinta, evidentemente ritenendo che non vi fosse alcun motivo per estendere il contraddittorio all’ente impositore.

La ricorrente, pur dolendosi del mancato accoglimento dell’istanza, non si spinge sino al punto di affermare che si versava in fattispecie di litisconsorzio necessario, in cui la pronuncia non avrebbe potuto emessa se non anche nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, ma si limita a rilevare che il provvedimento richiesto era "vincolato", essendo essa obbligata alla chiamata, ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, per non rispondere delle conseguenze della lite nei confronti dell’ente impositore.

L’assunto non può essere condiviso.

Va in primo luogo rilevato che, al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario, è nella discrezionalità del giudice del merito di consentire la chiamata di un terzo in causa (Cass. S.U. n. 4309/010), sicchè è fuor di luogo parlare di vincolatività della chiamata senza dedurre la ricorrenza di una fattispecie disciplinata dall’art. 102 c.p.c..

Ugualmente fuor di luogo è poi i richiamo all’art. 39 del citato D.Lgs., che concerne unicamente le liti promosse contro il (e non quelle promosse dal) concessionario, sempre che non abbiano ad oggetto esclusivo la regolarità o la validità degli atti esecutivi.

La disposizione trova la sua ragion d’essere nel fatto che la legittimazione passiva nel giudizio instaurato dai contribuente per contestare la sussistenza della pretesa tributaria resta in capo all’amministrazione finanziaria, titolare del diritto di credito in contestazione, e non al concessionario (oggi agente della riscossione), mero destinatario del pagamento; questi, pertanto, se non vuole rispondere delle (eventuali) conseguenze negative della lite promossa dal contribuente nei suoi soli confronti, è tenuto a chiamare in giudizio l’ente impositore. (Cass. S.U. n. 16412/07).

Peraltro, come le SU. hanno tenuto a precisare, il principio di responsabilità contemplato dall’art. 39 esclude che, nella fattispecie disciplinata dalla norma, il giudice debba ordinare d’ufficio l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’amministrazione creditrice: questa, infatti, non è litisconsorte necessaria nel giudizio, attesa l’estraneità del contribuente al rapporto (di responsabilità) fra la stessa e l’esattore (Cass. n. 16412/07 cit.).

Ciò vale, tanto più, per il procedimento di insinuazione allo stato passivo dei crediti dell’amministrazione finanziaria, regolato dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 33, il quale si limita a prevedere che lente creditore iscrive a ruolo il credito ed il concessionario provvede all’insinuazione.

In tale procedimento, l’evenienza che il credito dell’amministrazione finanziaria venga contestato non può neppure porsi.

Infatti, atteso il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. a sindacare l’an ed il quantum dell’obbligazione tributaria, il G.D., in sede di verifica, non può conoscere dei fatti estintivi o modificativi dell’obbligazione, ma deve limitare il proprio controllo all’accertamento dell’esistenza di un valido titolo per l’ammissione al passivo e della sussistenza dei privilegi richiesti e, qualora, il credito sia contestato dinanzi al giudice tributario, deve procedere all’ammissione con riserva, da sciogliersi quando è inutilmente decorso il termine prescritto per la proposizione della controversia davanti al giudice competente, ovvero quando il giudizio è stato definito con decisione irrevocabile o risulta altrimenti estinto.

Il fatto che non spetti al soggetto titolare del credito di farlo accertare nel procedimento di verifica non comporta, dunque, ricadute sul piano sostanziale e, a maggior ragione, non può comportarne sul piano processuale.

La ricorrenza o meno di una causa di inimputabilità del ritardo nella presentazione dell’istanza di insinuazione è, d’altro canto, questione estranea all’accertamento del credito.

Le eventuali ragioni giustificatrici de ritardo, pertanto, quand’anche dipendenti dal fatto dell’amministrazione, ben possono essere fatte valere dall’Agente della riscossione, non essendovi alcun ostacolo a che esso assuma – o la creditrice gli trasmetta- unitamente all’estratto del ruolo, informazioni in ordine ai tempi che sono occorsi per la relativa iscrizione, qualora non risultino sufficienti gli elementi emergenti dal titolo (data della sua formazione e della sua trasmissione in via telematica all’addetto alla riscossione, da porre in correlazione con l’annualità alla quale si riferisce il tributo).

2) Col secondo motivò, denunciando violazione della L. Fall., art. 101, in relazione all’art. 12 preleggi, comma 1, la ricorrente lamenta che il Tribunale abbia ritenuto che Tunica causa di inimputabilità dei ritardo sia da ravvisarsi nell’ignoranza scusabile del creditore della pendenza della procedura fallimentare, escludendo che tra le ipotesi di ritardo incolpevole possa rientrare anche quella dovuta al rispetto dei tempi necessari per la formazione de ruolo.

3) Con il terzo motivo, Equitalia Pragma, denunciando ulteriore violazione della L. Fall., art. 101, sostiene che i termine decadenziale di cui all’ultimo comma della norma predetta non può ritenersi operante nei casi di crediti contributivi e tributari, attesa la loro natura pubblicistica. Solleva, in suberdine, questione di legittimità costituzionale dell’art. 101 in relazione all’art. 53 Cost..

4) Con il quarto motivo, la ricorrente sostiene che la L. Fall., art. 101, u.c., è applicabile soltanto ai creditori legittimati ad insinuarsi in via diretta allo stato passivo; osserva, che, in caso contrario, la causa di inimputabilità andrebbe riferita esclusivamente al soggetto cui spetta la legittimazione processuale, sicchè, nella specie, il Tribunale avrebbe dovuto ritenerla sussistente, posto che il ritardo nella presentazione della domanda è dipeso dal ritardo con il quale l’amministrazione finanziaria le ha trasmesso il ruolo.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati e devono essere respinti.

Va, in primo luogo, escluso che il termine di cui alla L. Fall., art. 101, u.c., possa ritenersi non operante per i criteri tributari, in cagione della loro natura pubblicistica.

Infatti anche l’Amministrazione dello Stato, ai pari di ogni altro soggetto pubblico o privato, per far valere in giudizio i propri diritti, è tenuta al rispetto delle regole processuali.

Manifestamente infondata e (a questione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente: il principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 Cost., è posto a tutela dei valori di equità, solidarietà e progressività della tassazione, che non possono certo essere vulnerati da una norma che si limita a prevedere un termine di decadenza per l’esercizio del diritto a presentare domanda per la partecipazione al concorso.

Tanto premesso, può concordarsi con Equitalia, laddove contesta l’affermazione del Tribunale secondo cui l’ignoranza scusabile del creditore dell’avvenuta apertura della procedura fallimentare costituisce causa pressochè esclusiva di inimputabilità del ritardo nella presentazione della domanda di insinuazione: non v’è dubbio, infatti, che possano verificarsi situazioni in cui il creditore, pur essendo venuto a conoscenza del fallimento, si trovi nell’impossibilità di depositare la domanda per cause di forza maggiore o per aìtre ragioni a lui non imputabili.

Fra tali situazioni, tuttavia, non rientra necessariamente il ritardo determinato dal comportamento dell’amministrazione finanziaria che, nell’emissione del ruolo, si attenga ai termini all’uopo stabiliti dalla legge.

Infatti, secondo quanto recentemente affermato da questa Corte, l’istanza di ammissione tardiva volta a far valere il credito tributario nei confronti del fallimento, deve essere presentata, al pari di ogni altra, nel termine annuale previsto dalla L. Fall., dell’art. 101, comma 1; senza che i diversi, e più lunghi, termini previsti per la formazione dei ruoli possano di per sè costituire ragioni di scusabilità del ritardo, la quale va invece valutata – in esso di deposito ultra annuale della domanda rispetto alla data di esecutività dello stato passivo – in relazione ai tempi strettamente necessari all’amministrazione per predisporre i titoli per l’ammissione e trasmetterli all’addetto alla riscossione (Cass., ord. nn. 21188/90 e 21190/011). Come è stato chiarito nelle citate ordinanze, può dunque, ad esempio, accadere che il fallimento intervenga subito dopo fa presentazione della dichiarazione dei redditi del fallito e che la formazione dello stato passivo si svolga in termini così rapidi che l’ufficio finanziario, pur accelerando tutti gli adempimenti dovuti, si trovi nell’impossibilità di operare la liquidazione nel rispetto del predetto termine annuale. Ma, in questa come in altre fattispecie ipotizzagli, la verifica della ricorrenza della causa di scusabilità deve essere provata dall’addetto alla riscossione e costituisce oggetto di un tipico accertamento in fatto, devoluto al giudice del merito e sindacabile in sede di legittimità setto il profilo del vizio di motivazione. E, nel caso, Equitalia non solo non ha proposto motivi di ricorso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma neppure si è curata di precisare quale natura abbiano i crediti tributari di cui ha chiesto l’ammissione ed a quale annualità essi si riferiscano.

5) Va infine dichiarato inammissibile, per difetto di interesse all’impugnazione, il motivo con il quale la ricorrente contesta l’affermazione del Tribunale, costituente autonoma ratio decidenti, secondo cui il ritardo nella presentazione della domanda era inescusabile anche in ragione della possibilità, che le era data, di richiedere l’ammissione con riserva, ai sensi della L. Fall., art. 96, posto che l’eventuale fondatezza della censura non potrebbe di per sè condurre all’accoglimento del ricorso.

Non v’è luogo alla liquidazione delle spese del giudizio in favore del Fallimento della Ilardi s.r.l., che non ha svolto difese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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