Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 28-09-2011) 18-10-2011, n. 37511

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe il GIP del tribunale di Civitavecchia dichiarò S.S. colpevole del reato di cui all’art. 110 t.u.p.s. perchè, quale gestore di una sala giuochi aperta al pubblico, ometteva di esporre la tabella predisposta dal questore contenente i giuochi d’azzardo e quelli vietati, e lo condannò alle pena di Euro 50,00 di ammenda. Osservò il giudice che erano irrilevanti sia il fatto che l’imputato esercitava nel locale attività di trasmissione dati e raccolta di scommesse per conto di un allibratore inglese sia le relative problematiche di compatibilità tra norme interne e norme comunitarie, dal momento che l’obbligo, disatteso, di esporre la tabella dei giuochi vietati era sorto per il fatto di avere collocato nel locale un apparecchio per il giuoco lecito, riconducibile all’art. 110 t.u.p.s., comma 6 e regolarmente autorizzato.

L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) mancanza o manifesta illogicità della motivazione.

Osserva che l’attività di trasmissione dati e raccolta di scommesse era legittimamente esercitata anche in mancanza della licenza di polizia ex art. 88 tulps.

2) inosservanza ed erronea applicazione di legge.

Osserva che essendo sprovvisto della licenza ex art. 88 tulps non era legittimato a richiedere al questore la tabella e la relativa vidimazione.

Nella specie la richiesta era stata effettuata ma era rimasta inevasa non avendo il questore ritenuto opportuno l’installazione di un congegno elettronico all’interno del centro dove si raccoglievano scommesse. Peraltro, l’installazione dell’apparecchio di giuoco lecito era stata regolarmente autorizzata dall’Aziende dei monopoli di Stato.

3) ignoranza scusabile della legge penale.

Osserva che a causa della caoticità e delle continue modificazioni della legislazione di settore e della relativa giurisprudenza, egli versava nella ragionevole convinzione di avere soddisfatto tutti gli obblighi di legge assumendo un apparecchio elettronico autorizzato dalla AAMS. D’altra parte non è chiaro quale sia l’autorità competente al rilascio della tabella nel caso che il centro sia sprovvisto della licenza ex art. 88 tulps.

Motivi della decisione

Il primo motivo è completamente inconferente perchè, come ha già esattamente osservato il giudice del merito, la questione se l’attività di trasmissione dati e di raccolta di scommesse possa o meno essere legittimamente esercitata anche senza la licenza di polizia di cui all’art. 88 tulps esula del tutto dal presente processo, perchè il reato contestato e ritenuto riguarda esclusivamente un congegno per giuoco lecito collocato dall’imputato nel locale aperto al pubblico da lui gestito, la cui presenza fa sorgere l’obbligo della affissione della tabella dei giuochi vietati.

Il secondo motivo è manifestamente infondato perchè nel presente giudizio rileva soltanto il fatto che l’imputato non ha adempiuto all’obbligo di affissione della tabella, mentre non rilevano nè l’autorizzazione della AMMS, nè le ragioni di un eventuale diniego del questore al rilascio della tabella stessa.

Del resto, l’imputato non ha dimostrato e nemmeno dedotto di avere impugnato dinanzi al competente giudice amministrativo l’eventuale provvedimento implicito di diniego del questore, come avrebbe potuto fare chiedendone la sospensiva.

Il terzo motivo è manifestamente infondato essendo evidente che non si versi in un caso di ignoranza o errore scusabile della legge penale.

Ed invero, la nota sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale, che dichiarò incostituzionale l’art. 5 c.p. nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile, ebbe a mettere in evidenza come sicuramente "in evitabile, rimproverabile ignoranza della legge penale versa chi, professionalmente inserito in un determinato campo d’attività, non s’informa sulle leggi penali disciplinanti lo stesso campo".

Nella specie il comportamento addebitato al S. è relativo proprio alla sua attività professionale, sicchè il suo eventuale errore non escluderebbe la sua colpa e quindi non lo esimerebbe dalla responsabilità per la contravvenzione contestatagli.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

In applicazione dell’art. 616 c.p.p., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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