Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 28-09-2011) 18-10-2011, n. 37510 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 22 settembre 2010, la Corte d’Appello di Roma confermava la decisione con la quale, in data 29 marzo 2007, il Tribunale di quella città condannava D.T.M. per il reato di cui all’art. 81 c.p., artt. 609 bis e 609 ter c.p. concretatosi nel costringere una minore, nata nel (OMISSIS), a subire in più occasioni atti sessuali consistiti nel porre le mani sotto la maglietta toccandole il seno, nel toccarle il sedere da sopra i pantaloni e, dopo averle chiesto di tirare fuori la lingua, nel porre la sua lingua su quella di lei.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Dopo aver effettuato un’ampia ricostruzione della vicenda processuale nel primo e secondo grado di giudizio, deduceva, con un unico motivo di ricorso, il vizio di motivazione.

Osservava, a tale proposito, che la Corte territoriale aveva reso una motivazione connotata da illogicità, omettendo di analizzare aspetti fondamentali della questione ed esaminando solo parte delle doglianze prospettate con l’atto di appello mentre, al contrario, si rendeva necessario valutare con maggiore congruità e logicità il contegno tenuto in ogni singolo episodio così collocandolo in un corretto contesto che ne avrebbe evidenziato la sporadicità e la natura giocosa, non connotata da mire di natura sessuale.

Altre incongruenze venivano rilevate, inoltre, nella valutazione della tempistica degli episodi e nella quantificazione della pena, ritenuta eccessiva perchè conseguenza di una errata lettura dell’art. 609 bis c.p., u.c..

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Il ricorrente dopo aver a lungo indugiato nella illustrazione dello svolgimento delle diverse fasi processuali, lamenta una incompleta valutazione delle doglianze mosse con l’atto di appello da parte della Corte territoriale.

La sentenza impugnata, però, non presente le lacune motivazionali indicate in ricorso.

Viene infatti offerta una completa indicazione dei motivi di appello ai quali viene poi fornita sintetica ma puntuale risposta.

I giudici dell’appello effettuano, infatti, un legittimo richiamo per relationem alla decisione di primo grado con riferimento alla valutazione di attendibilità e spontaneità del racconto reso dalla minore e del conseguente vaglio critico cui lo stesso era stato sottoposto.

Analizzano, successivamente, il contesto del racconto medesimo, ritenuto non verosimile dalla difesa, chiarendo come esso si sia dimostrato rafforzativo della credibilità del racconto della minore, chiarendone quindi le ragioni e considerando la natura dei rapporti tra la giovane abusata e le figlie dell’imputato, nonchè l’evoluzione della conflittualità tra i due nuclei familiari, sfociata anche nelle vie di fatto e nella successiva presentazione di denunce.

Osservano a tale proposito i giudici del gravame che la tempistica nella presentazione della denuncia di abuso sessuale e di quella per aggressione presentata dalla moglie dell’imputato aveva una sua logica ed era evidentemente correlata alla conoscenza dell’abuso subito dalla minore ed alla conseguente richiesta dei suoi genitori alla moglie del ricorrente di allontanarlo dall’abitazione, evitando così la denuncia e dal deterioramento dei rapporti tra le due famiglie determinato dal rifiuto opposto a tale richiesta.

L’atteggiamento mostrato dalle parti lese viene ritenuto dai giudici del merito del tutto logico e giustificato dall’intento di non esporre la figlia alle conseguenze di un processo penale e dalla mancanza di intenti risarcitori, dimostrata dalla mancata costituzione di parte civile.

Anche il contenuto del racconto della minore viene preso in considerazione nelle parti poste in evidenza nei motivi di appello, osservando come la imprecisione nella collocazione cronologica degli episodi di abuso, pienamente compatibile con il numero non elevato degli stessi, non ne inficiava la verificazione, tanto che lo stesso imputato non aveva negato che si fossero verificati, limitandosi ad escludere ogni finalità di concupiscenza da parte sua e rilevando come la bambina non avesse alcuna ragione di inventare particolari scabrosi che avrebbero determinato una situazione tale da impedirle l’ulteriore frequentazione delle sue compagne di giochi.

Adeguata risposta viene fornita anche con riferimento al mancato rinvenimento nel computer del ricorrente delle foto scattate alla minore, ricordando come fu proprio la madre della stessa a richiederne la cancellazione, mentre la frequente presenza in casa della moglie dell’imputato viene ritenuta compatibile con ciò che riferisce la bambina, contrariamente a quanto sostenuto nell’atto di appello, in considerazione delle caratteristiche dell’appartamento (composto di due stanze) e della natura degli atti sessuali fatti subire dalla minore i quali, consistendo in toccamenti lascivi, ben potevano essere posti in essere approfittando della momentanea assenza della donna dalla stanza in cui si trovavano il ricorrente e la minore.

Si tratta, in definitiva, di risposte del tutto coerenti e prive di cedimenti logici le quali, unite ad una completa analisi del compendio probatorio offerto dall’istruzione dibattimentale svolta nel giudizio di primo grado, non vengono minimamente intaccate dalle doglianze illustrate nei motivi di ricorso.

Il complessivo corpo argomentativo non può inoltre essere scardinato da eventuali omissioni motivazionali su singoli e non decisivi aspetti della vicenda come pare richiedere il ricorrente allorquando lamenta che la Corte territoriale non si sarebbe adeguatamente soffermata nell’analisi dettagliata di ciascun episodio riferito dalla minore.

Al contrario, la motivazione contestata, nella sua sinteticità, peraltro giustificata dal richiamo alla decisione dei primi giudici, risulta essere il risultato di una attenta ed integrale valutazione dei motivi di appello idonea a superare indenne il vaglio di legittimità cui è stata sottoposta.

A conclusioni analoghe deve giungersi per quanto attiene alla determinazione della pena.

Sul punto, la doglianza difensiva si basa sulla eccessività della pena e sulla mancata collocazione dell’episodio nell’ambito dell’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 609 bis c.p., evidenziando come la valutazione debba essere effettuata considerando le sole modalità oggettive del fatto incriminato, prescindendo da ogni riferimento alla personalità del reo.

Va evidenziato, a tale proposito, che lo specifico motivo di appello sul punto riguardava la eccessività della pena e nel ricorso il riferimento alla diminuente di cui all’art. 609 bis c.p., u.c. viene effettuato al fine di evidenziare come il suo riconoscimento avrebbe potuto ulteriormente contenere la pena.

L’assenza di una specifica richiesta si applicazione della diminuente nell’atto di appello esonerava quindi la Corte territoriale da una specifica risposta sul punto, essendo richiesto il solo controllo della dosimetria della pena che i giudici del merito hanno ritenuto adeguata alla gravità del reato in quanto consistente in fatti reiterati commessi in danno di una bambina.

Ciò facendo, la Corte d’Appello ha congruamente motivato anche in ordine alla determinazione della pena, considerando la natura del reato, la personalità del reo, sul quale gravava un precedente specifico e la concessione delle attenuanti generiche da parte del giudice di prime cure.

Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in Euro 1.000,00 tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità".(Corte Cost. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende Così deciso in Roma, il 28 settembre 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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