Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-07-2011) 18-10-2011, n. 37693 Persone giuridiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.V. e C.G. hanno proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di Brindisi, con la quale è stato confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. dello stesso Tribunale in data 11 febbraio 2011 in relazione ai reati di cui all’art. 322 ter c.p. e D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 19 e 53, relativo a due automezzi utilizzati dalla ditta GTC s.r.l., sul presupposto che fossero nella disponibilità di C.V., in ragione del ruolo di amministratore unico della G.T.C. A sostegno dell’impugnazione i ricorrenti hanno dedotto cumulativamente il seguente motivo:

a) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).

Lamentano i ricorrenti che nel caso in esame mancherebbe qualsiasi analisi critica del provvedimento impugnato anche perchè vi sarebbe stata una mera presa d’atto delle affermazioni ivi contenute. Il provvedimento ablatorio non potrebbe essere disposto in quanto mancherebbe la prova della derivazione causale dell’acquisto dei beni dall’attività dei ricorrenti, non desumibile, sotto il profilo concorsuale, dal rapporto di parentela con C.G., amministratore della società, padre di V., utilizzatore dei beni in questione e socio della G.T.C..

In realtà il C.G., in qualità di socio unico della ditta G.T.C, sarebbe estraneo ai reati oggetto del procedimento penale in base al quale è stato emesso il provvedimento impugnato e la società in questione avrebbe una vita commerciale autonoma, non collegabile con la società beneficiarla delle contribuzioni fittizie.

Non sarebbe sussistente dunque la ritenuta pertinenzialità tra il profitto conseguito dal C.V., in qualità di amministratore unico della G.T.C., e l’importo dell’ingiusto vantaggio da reato relativo al procedimento principale che vede imputati i due odierni ricorrenti, C.G. e C. V. titolari della s.a.s. di Cazzorla Gianfranco e C. quale ente responsabile, con la conseguente possibilità di procedere a sequestro preventivo per equivalente, a seguito della fruizione mediante attività truffaldina concretizzatisi in false fatturazioni e nella rappresentazione di requisiti soggettivi inesistenti, di finanziamenti non dovuti da parte della società incaricata del Servizio pubblico Sviluppo Italia s.p.a per un importo complessivo di Euro 174.465,26.

Secondo i ricorrenti dunque non potevano essere assoggettati al sequestro beni di proprietà di terzi ( C.G. unico detentore in qualità di socio delle quote della G.T.C.) in quanto la prova della disponibilità degli stessi in capo all’imputato C.V. sarebbe stata desunta solo in base al rapporto di parentela dei prevenuti.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Nel caso di specie, il ricorso può essere proposto esclusivamente per violazione di legge. Orbene il giudice del riesame ha evidenziato con chiarezza e precisione i termini della questione e le ragioni sottostanti alla necessità della apposizione del vincolo del sequestro preventivo, prodromico e strumentale alla successiva confisca per equivalente, delle somme di denaro e/o dei beni degli indagati fino alla concorrenza degli importi complessivamente addebitati, circostanza che giustifica il sequestro disposto nei confronti di beni formalmente intestate a società terza ma di fatto nella disponibilità del C.V. nella sua qualità di amministratore unico, nella forma dell’equivalenza economica. Deve ritenersi peraltro esente da censure logico giuridiche le valutazioni relative alla riferibilità di fatto del patrimonio sequestrato agli odierni indagati. Poichè il valore dei beni sequestrati è, allo stato, in base agli accertamenti effettuati, necessario rispetto all’importo complessivamente oggetto dei reati contestati correttamente sotto questo profilo è stato mantenuto e ampliato il vincolo cautelare (Cass., sez. F, 28 luglio 2009, n. 33409, CED 244839; Cass., sez. 6, 6 marzo 2009, n. 18356, CEd 243190).

Sono stati inoltre evidenziati gli elementi, in base ai quali è stata ritenuta l’intestazione fittizia dei due mezzi sequestrati, essendo risultata la riconducibililità alla G.T.C., della proprietà dei mezzi asseritamente rientranti nel patrimonio della De Marco srl.

(v. p.4), come pure il ruolo di interposizione fittizia svolto dallo schermo della G.T.C., rispetto a beni utilizzati di fatto da C.V., in qualità di amministratore unico della società, nonchè la strumentante del trasferimento di proprietà dalla De Marco Macchine s.r.l., il cui titolare D.M.S., risulta coinvolto nel processo principale, in quanto imputato per emissione di false fatturazione in favore della stessa Cazzorla s.a.s.. Tutti questi elementi allo stato, rendono concreta l’esistenza del fumus commissi delicti, che, peraltro, non deve investire la concreta fondatezza della pretesa punitiva, ma può limitarsi all’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un determinato soggetto in una specifica ipotesi di reato (Cass., 22 marzo 2007, n. 13639).

Deve essere ribadito comunque anche per l’ipotesi di coinvolgimento di singole persone fisiche il principio, in base al quale è stato affermato che in caso di pluralità di indagati quali concorrenti in un medesimo reato compreso tra quelli per i quali, ai sensi dell’art. 322 ter cod. pen., può disporsi la confisca "per equivalente" di beni per un importo corrispondente al prezzo o al profitto del reato, il sequestro preventivo funzionale alla futura adozione di detta misura può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, ma l’espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel "quantum" l’ammontare complessivo dello stesso (Sez. 6, 06 marzo 2009, n. 18536, C.E.D. cass., n. 243190).

Va dichiarata, pertanto l’inammissibilità del ricorso cui consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000 ciascuno.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno al versamento della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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