Cass. civ. Sez. I, Sent., 02-04-2012, n. 5248 Legittimazione attiva e passiva

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. En. e D.L.F., eredi insieme ad d.l.

a. e M.A. di D.L.E., titolare della quota di un terzo del capitale sociale della Fratelli Della Longa di Della Longa Armando & c. s.n.c., nel maggio 1996 chiesero al Tribunale di Roma la liquidazione di tale quota ex artt. 2284 e 2289 cod. civ., con la condanna al relativo pagamento nei confronti della società o, in alternativa, dei soci superstiti Al. e D.L.A., nei limiti delle rispettive quote. Questi ultimi si costituirono in giudizio, al pari di a.d.l.

(essendo deceduta M.A.), eccependo la nullità della domanda per indeterminatezza del soggetto nei cui confronti era proposta, in quanto gli attori avevano fatto riferimento, nell’esporre i fatti posti a fondamento della pretesa, alla partecipazione del loro dante causa alla "Fratelli Della Longa di Della Longa Armando & c. s.n.c.", ma nella vocatio in ius avevano indicato altra società, pure esistente, la "Fratelli Della Longa di Della Longa Armando e fratelli s.n.c.". 2. Il Tribunale, escluso che tale errore comportasse indeterminatezza della domanda – non essendo dubbio che gli attori avevano svolto la loro pretesa nei confronti della Fratelli Della Longa di Della Longa Armando e fratelli s.n.c., respingeva tale domanda (non essendo dedotto neppure se il de cuius facesse parte della suddetta società), e, ritenendo che la presenza in giudizio di tutti i soci dell’altra società Fratelli Della Longa di Della Longa Armando & c. s.n.c. consentisse una pronuncia sulla domanda di liquidazione, condannò Al. e D.L.A. al pagamento della somma corrispondente al valore della quota sociale del defunto D.L.E., come da c.t.u. contabile espletata.

3. Proponevano appello Al. e D.L.A., ribadendo preliminarmente l’eccezione di nullità della citazione introduttiva del giudizio di primo grado e dolendosi (per quanto qui ancora rileva) che fosse stata resa una pronuncia direttamente nei loro confronti prima ed a prescindere da una condanna della società, con ciò pregiudicando loro la possibilità di invocare la sussidiarietà della responsabilità dei soci ed il beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale. La Corte di Appello di Roma, con sentenza non definitiva del 9 ottobre 2003, rigettava sotto tali profili il gravame disponendo la prosecuzione del giudizio in ordine alle doglianze riguardanti la quantificazione del valore della quota, che parimenti riteneva infondate con la sentenza definitiva depositata il 8 settembre 2005. Osservava la Corte con la sentenza non definitiva: a) che, a fronte del chiarimento espresso dagli attori alla prima udienza secondo cui destinataria della domanda era la Fratelli Della Longa di Della Longa Armando & c. s.n.c., e della costituzione in giudizio degli unici soci di tale società – in tale veste convenuti -, la iniziale incertezza nella esatta individuazione della società convenuta derivante dalla contraddittorietà tra la esposizione dei fatti (avente ad oggetto la pretesa nei confronti della "Fratelli Della Longa di Armando Della Longa & c. s.n.c.) e la vocatio in ius dell’altra società non rendeva necessaria la pur richiesta rinnovazione della citazione nei confronti della Fratelli Della Longa di Della Longa Armando & c. s.n.c., che era stata posta in grado di partecipare al giudizio e di contraddire alla domanda; b) che peraltro contraddittoriamente il primo giudice aveva condannato in solido direttamente i soci di tale società, al di là della richiesta di parte attrice, formulata (cautelativamente, viste le incertezze circa la legittimazione passiva) in termini alternativi nei confronti della società o dei soci, e quanto a questi ultimi nei limiti della rispettiva quota sociale: tuttavia, sul punto mancava uno specifico motivo di appello, in quanto gli appellanti non avevano dedotto un vizio di ultrapetizione, bensì solo sostenuto (infondatamente, essendo il beneficio di escussione opponibile dai medesimi nella fase esecutiva ed essendo, salvo tale limite, anch’essi responsabili illimitatamente del debito in questione) la illegittimità di una loro condanna in mancanza della condanna della società debitrice.

4. Avverso tale sentenza non definitiva, unitamente a quella definitiva (rimasta però esente da specifiche censure), E., S. e D.L.D., nella loro qualità di eredi di D.L.A. (deceduto nelle more), hanno proposto ricorso a questa Corte, formulando tre motivi, illustrati anche da memoria.

Resistono F. ed De.Lo.En. con controricorso. Gli intimati De.Lo.Al. e d.l.a. non hanno svolto difese.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono: a) la nullità del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 163 c.p.c., nn. 2 e 3, artt. 164, 100, 101 e 102 cod. proc. civ.; b) la violazione e falsa applicazione degli artt. 2266, 2267, 2268, 2284, 2289 e 2293 cod. civ., artt. 81, 102 e 354 cod. proc. civ. nonchè il vizio di motivazione. Sostengono che nel giudizio promosso dall’erede di un socio di società di persone per ottenere in proprio favore la liquidazione della quota del suo dante causa il giudice non può considerare la società di persone, in difetto di sua rituale vocatio in ius, quale parte del procedimento ove siano state citate regolarmente solo le persone fisiche dei soci.

2. Il motivo è infondato. Questa Corte ha già avuto modo di precisare (cfr. Cass. n. 12125/06) come debba intendersi il coordinamento tra il principio, affermato dalle Sezioni Unite a composizione di un contrasto giurisprudenziale (n. 291/00), della titolarità esclusiva in capo alla società in nome collettivo – e non ai soci superstiti – della legittimazione passiva sulla domanda proposta dagli eredi del socio deceduto al fine di ottenere, a norma dell’art. 2284 cod. civ., la liquidazione della quota del loro dante causa, ed il principio (anch’esso ripetutamente affermato da questa Corte: cfr. n. 13438/03; n. 8399/03; n. 15229/05) secondo cui è sufficiente, ai fini della rituale instaurazione del contraddittorio nei confronti della società, la presenza in giudizio di tutti i soci, non essendo configurabile un interesse della società – intesa come autonomo soggetto giuridico – che non si identifichi con la somma degli interessi dei soci medesimi. Tali due principi debbono essere coordinati nel senso che il necessario contraddittorio nei confronti della società può ritenersi regolarmente instaurato anche nel caso in cui non sia convenuta la società, ma tutti i soci, ove risulti accertato, attraverso l’interpretazione della domanda e con apprezzamento di fatto riservato al Giudice del merito, che l’attore abbia proposto l’azione nei confronti della società per far valere un proprio credito nei suoi confronti.

Esaminando alla luce di tale orientamento – cui il Collegio intende dare continuità – la motivazione della sentenza impugnata, emerge come la Corte di merito abbia interpretato la condotta processuale degli attori come espressiva del chiaro intento di proporre la propria domanda nei confronti della società, in relazione ad un credito contro di essa vantato. La Corte ha espressamente evidenziato sul punto, da un lato, come gli attori avessero fatto riferimento, nella esposizione dei fatti contenuta nella citazione in primo grado, al credito derivante dalla cessata partecipazione del loro dante causa alla "Fratelli Della Longa di Armando Della Longa & c. s.n.c." (salvo poi, per mero errore, convenire in giudizio l’altra società, insieme ai soci della prima), ed alla prima udienza avessero precisato che destinataria della domanda era la società stessa; e come, d’altro lato, gli odierni ricorrenti fossero stati citati in giudizio quali componenti della intera compagine sociale, dunque non individualmente considerati, il che peraltro la Corte ha ritenuto incoerente con la condanna dei medesimi, e non della società, al pagamento. Ha quindi rettamente ritenuto, con motivazione che appare congrua e non priva di coerenza logica, che non fosse necessario rinnovare la citazione nei confronti della società anzidetta, essendo questa già presente in giudizio attraverso tutti i suoi soci superstiti. Deve dunque escludersi la denunciata violazione del contraddittorio.

3. Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la statuizione con la quale la Corte di merito ha tenuto ferma la condanna diretta nei loro confronti senza quella nei confronti della società, denunciando l’illogicità e contraddittorietà della motivazione, nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 100, 101, 102 e 112 cod. proc. civ.. Ribadito che la Corte avrebbe dovuto rilevare anche d’ufficio il difetto di una parte necessaria, deducono che la motivazione è contraddittoria ed illogica, perchè, una volta rilevato l’errore del tribunale nel condannare i soci direttamente ed in via solidale, ha omesso di pronunciarsi, senza peraltro specificare quale sia il capo di sentenza privo della corrispondente domanda di tutela giudiziaria.

3.1 Con il terzo motivo, tornano a censurare la medesima statuizione di condanna nei loro confronti, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 102, in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 4, e degli artt. 2291, 2304 e 1292 e ss. cod. civ. Sostengono che la Corte ha violato, da un lato, il combinato disposto degli artt. 2291 e 2304 c.c. – e quindi i principi della responsabilità sussidiaria dei soci e del beneficio di preventiva escussione – e dall’altro i principi della solidarietà passiva nelle obbligazioni (art. 1292 e ss. c.c.) quantificando il debito della società quale obbligato principale e condannando al relativo pagamento direttamente le persone fisiche dei soci superstiti, senza prima pronunciare sentenza di condanna nei confronti della società di persone passivamente legittimata. In tal modo generando un titolo suscettibile di essere messo in esecuzione solo ed esclusivamente nei confronti delle persone fisiche dei soci, i quali sarebbero anche privi del diritto di regresso verso la società. 4. Entrambi i motivi -la cui stretta connessione ne consiglia la trattazione unitaria – sono privi di fondamento.

4.1 Va innanzitutto esclusa, per le ragioni già esposte, la lamentata assenza dal processo in questione della parte necessaria – cioè della società debitrice -, con quanto ne consegue in ordine alla insussistenza della dedotta violazione degli artt. 99, 100, 101 e 102 cod. proc. civ..

4.2. La Corte d’appello ha rettamente evidenziato come la condanna al pagamento del debito sociale emessa nei confronti dei soci in solido, sulla base della esplicitata responsabilità solidale ed illimitata posta a loro carico dall’art. 2291 cod. civ., non sia, in effetti, esattamente corrispondente alla domanda proposta nei confronti degli odierni ricorrenti, che in effetti era stata formulata, cautelativamente, in via alternativa alla condanna nei confronti della società, e quindi sul presupposto che il giudice avesse ritenuto il debito avente ad oggetto la liquidazione della quota del socio defunto come gravante direttamente sugli altri soci, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione alla società.

Tale ultrapetizione non era stata specificamente censurata nell’atto di appello dagli odierni ricorrenti, e non poteva quindi essere rilevata d’ufficio dal giudice del gravame, senza incorrere a sua volta in un vizio di extrapetizione (cfr. ex multis Cass. n. 11559/00; n. 12746/08).

4.3 Peraltro, a ben vedere della condanna in virtù della sua responsabilità solidale ed illimitata (con l’implicito carattere della sussidiarietà che tale responsabilità contraddistingue in virtù del beneficio di escussione contemplato dall’art. 2304 cod. civ.), in luogo di una sua obbligazione diretta, il socio non ha neppure interesse a dolersi, trattandosi non di un reale ampliamento, bensì semmai di una riduzione dell’oggetto della materia del contendere, vertente sul medesimo debito, in relazione ai quale la responsabilità sussidiaria del socio, convenuto in giudizio in siffatta veste, discende automaticamente da tale sua qualità, e sarebbe comunque conseguita ad una condanna pronunciata nei confronti della società (cfr. ex multis Cass. n. 6734/11; n. 1040/09; n. 19946/04; n. 613/03).

4.4. Nè i ricorrenti possono fondatamente dolersi della omessa precisazione nel dispositivo del carattere sussidiario della responsabilità accertata a loro carico. Tale carattere è implicito nella precisazione, ampiamente presente nella motivazione della sentenza impugnata, circa il titolo della loro responsabilità; e, del resto, rettamente la Corte di merito ha rilevato come il beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale, previsto dall’art. 2304 cod. civ., sia opponibile dal socio solo nella fase esecutiva, non precludendo al creditore sociale di agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio (cfr.ex multis Cass. n. 13183/1999; n. 3211/03;

n. 19946/04; n. 10584/07).

4.5. Analoghe considerazioni valgono infine per l’eventuale azione di regresso nei confronti della società in caso di pagamento da parte dei ricorrenti del debito nei confronti delle controparti. Essendo chiarito, nella sentenza impugnata la natura sociale del debito per cui è condanna, l’ammissibilità del regresso non potrebbe certo essere negata.

5. Il rigetto del ricorso si impone dunque, con la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione, tenendo conto della complessità ed incertezza delle questioni trattate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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