Cons. Stato Sez. IV, Sent., 18-11-2011, n. 6112

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società N. E. P. ha chiesto l’autorizzazione alla gestione in regime di deposito fiscale di un deposito di oli minerali di capacità inferiore a 3.000 metri cubi, ubicato in Carpaneto Piacentino.

L’istanza è stata negativamente riscontrata dall’Agenzia delle Dogane, perché non risultavano soddisfatti i criteri oggettivi di cui ai punti 2 e 3 della sezione 2.1 della circolare n. 16/D del 28.04.2006, con provvedimento di data 20.03.2009 impugnato avanti il T.A.R. EmiliaRomagna.

A seguito di accoglimento dell’istanza cautelare nonché tenendo conto delle note pervenute da parte della N. E. P. il 25.03.2009, l’Agenzia delle Dogane, evidenziato, con nota del 13.11.2009, di ritenere opportuno procedere ad un riesame della fattispecie, disponeva nuovo sopralluogo, tenutosi il 19.01.2010, sulla base dei cui esiti, vista anche la documentazione integrativa fatta pervenire in data 25.02.2010 dall’interessata, esprimeva un nuovo diniego, per carenza di ciascuno dei presupposti contemplati dalla circolare predetta, con atto del 17.03.2010, impugnato con motivi aggiunti.

Gli atti impugnati sono stati annullati dal T.A.R. con la sentenza in epigrafe, che l’Agenzia delle Dogane appella deducendo: 1) errata decisione in punto improcedibilità del primo ricorso, sostenendo che il secondo atto è sostitutivo del precedente; 2) mancata valutazione del rifiuto della difesa dell’amministrazione a rinunciare ai termini a difesa assegnati dall’art. 23 legge n. 1034 del 1971, in relazione ai motivi aggiunti; 3) errata interpretazione, nel merito, della circolare 16/D del 28.04.2006 e violazione degli artt. 5 e 23 del D.Lgs. n. 504 del 1995 e delle disposizioni comunitarie in materia, in particolare della Raccomandazione della Commissione Europea n. 2000/789 CEE e Direttiva n. 91/12/CEE, nonché difetto di motivazione; quest’ultimo rilevabile, secondo l’Agenzia, dal carattere apodittico dell’avviso secondo cui la percentuale del 30% dei prodotti movimentati in regime sospensivo "è sufficiente che sia calcolata sul prodotto in entrata", avviso non suffragato da alcun appiglio normativo ma dalla mera osservazione che non si vedeva motivo per il quale il deposito fiscale non sarebbe autorizzabile nel caso di prodotti che entrano in regime agevolato; l’Agenzia, comunque, segnala che il D.L. 25.09.2009, n. 135, convertito in legge 20.11.2009, n. 166 ha soppresso le agevolazioni per gli oli lubrificanti ed altri prodotti energetici ottenuti dalla rigenerazione di oli usati (acquistati dalla appellata e, dunque, da immettere nel deposito), ora quindi sottoposti ad aliquota piena. Inoltre, si sostiene che il secondo diniego non avrebbe potuto essere annullato per la ritenuta incongruità di uno solo dei motivi del diniego, senza prendere in considerazione anche gli altri presupposti la cui mancanza era stata segnalata dall’amministrazione.

Resiste la N. E. P., la quale sostiene che non vi siano state effettive lesioni del diritto di difesa dell’Agenzia, che aveva prodotto memorie; che la sentenza sia adeguatamente motivata ed esatta quanto all’interpretazione della normativa; che l’atteggiamento dell’Agenzia sia contraddittorio, tenuto conto che nel primo verbale di sopralluogo del 12.01.2009, era stata ritenuta la sussistenza del requisito di cui al punto 1 dell’art. 2.1 della circolare, escluso, invece, nel più recente sopralluogo; che il sopravvenuto D.L. n. 135/2009 non altera le condizioni necessarie per l’autorizzazione al deposito; che comunque i tre requisiti indicati dalla circolare sono alternativi e non poterebbe fondatamente disconoscersi la sussistenza di quelli di cui ai punti successivi.

Le parti hanno dimesso memorie, ribadendo ed ulteriormente illustrando le rispettive tesi, e la appellata altresì atto di replica.

Il ricorso è stato posto in decisione all’udienza del 18.10.2011.

Motivi della decisione

La controversia attiene alla esatta individuazione, nonché alla verifica della ricorrenza nel caso concreto, dei presupposti per autorizzare la gestione di un deposito di oli minerali in regime di deposito fiscale.

Il deposito fiscale, secondo la definizione datane dall’art. 1, comma 2, lett. e), del Testo unico sulle accise approvato con D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 104, è "l’impianto in cui vengono fabbricate, trasformate, detenute, ricevute o spedite merci sottoposte ad accisa, in regime di sospensione dei diritti di accisa, alle condizioni stabilite dall’amministrazione finanziaria".

Il regime del deposito è disciplinato dal successivo art. 5 e contempla la necessità di autorizzazione amministrativa ed attribuzione di un codice di accisa, l’obbligo di cauzione (con previsione di esonero per le amministrazioni pubbliche ed aziende municipalizzate e facoltà dell’amministrazione finanziaria di esonerare ditte di sicura affidabilità e solvibilità), la ricomprensione nel circuito doganale e la vigilanza finanziaria a fini di tutela fiscale.

Con specifico riferimento alla categoria merceologica degli oli minerali, l’art. 23 del T.U. prevede che a) operano nel predetto regime le raffinerie e gli altri stabilimenti di produzione ove si ottengono oli minerali ed altri prodotti sottoposti ad accisa, b) possono essere autorizzati alla gestione nel predetto regime i depositi per uso commerciale di capacità superiore a 3.000 mc., c) per i depositi di capacità inferiore (come nella specie), la gestione in regime di deposito fiscale può essere autorizzata "quando risponde ad effettive necessità operative e di approvvigionamento dell’impianto".

Con richiamo alla predetta normativa nonché alla Raccomandazione della Commissione Europea 29/11/2000, recante orientamenti sulle autorizzazioni ai depositari a norma della direttiva 92/12/CEE ed invito ad applicare criteri rigorosi per l’autorizzazione alla gestione in regime di deposito fiscale, l’Agenzia delle Dogane ha emanato la circolare n. 16/D del 28.04.2006.

Al punto 2.1 della predetta circolare sono indicati i presupposti per il rilascio dell’autorizzazione, stabilendosi, per quanto riguarda i criteri oggettivi (che qui interessano), che "la gestione dell’impianto in regime di deposito fiscale deve essere giustificata: 1) dall’esigenza di estrarre in regime sospensivo prodotti per un ammontare pari almeno al 30% del totale delle estrazioni. Le operazioni che potranno concorrere al raggiungimento di tale limite sono: a) movimentazioni di prodotti petroliferi soggetti ad accisa verso Paesi membri dell’U.E.; b) operazioni di esportazione di prodotti petroliferi verso Paesi terzi, ivi compresi i buncheraggi sottoposti alle procedure doganali; c) forniture di prodotti petroliferi in esenzione o ad accisa agevolata per determinate destinazioni (ad esempio, rifornimenti a Forze Armate o per produzione di energia elettrica); 2) dalla particolare natura rivestita da un impianto, costituente propaggine di un esistente deposito fiscale ubicato nelle immediate vicinanze, facenti capo allo stesso gruppo societario oppure, in caso di titolari diversi, se questi siano legati operativamente da consolidati rapporti commerciali; 3) dalle difficoltà di tipo logistico dell’impianto che, per la sua posizione geografica, sia costretto, ad esempio, a rifornirsi da depositi ubicati a notevole distanza o raggiungibili attraverso una rete viaria di non agevole percorribilità (per l’alta densità di traffico, strade impervie, permanentemente dissestate) o raggiungibile tramite navigazione resa difficoltosa da tipiche condizioni climatiche che per lunghi periodi stagionali renderebbero impossibile o precario l’approvvigionamento con conseguente inevitabile aggravio economico".

Con il secondo atto di diniego di autorizzazione l’Agenzia delle Dogane afferma, conclusivamente, che nessuno dei presupposti oggettivi predetti è riscontrabile nella specie. Tale atto, impugnato coi motivi aggiunti di primo grado, supera e sostituisce il precedente, essendo basato su una rinnovata istruttoria, in relazione ad ulteriori apporti della società interessata e ad un aggiornato vaglio della situazione, mediante nuovo sopralluogo, ma non prende, espressamente, una posizione precisa sulla questione della alternatività dei requisiti posta col ricorso principale, che investiva il primo diniego, motivato con la mancanza di due dei tre requisiti (quelli di cui ai nn. 2 e 3).

La questione presenta interesse, a prescindere dal primo, superato, provvedimento, in quanto tra le censure di appello vi è il rilievo che il secondo provvedimento non avrebbe potuto essere annullato per la ritenuta incongruità di uno solo dei motivi del diniego, in presenza di altre ragioni non esaminate dal T.A.R..

La sentenza appellata afferma, in primo luogo, che i requisiti elencati hanno carattere alternativo e, sul punto, non può che concordarsi, tenuto conto che la circolare non stabilisce che essi siano cumulativi e considerata la natura stessa delle condizioni oggettive delineate; per un verso, la coesistenza di quelle di cui ai punti 2 (propaggine di un impianto ubicato nelle immediate vicinanze) e 3 (difficoltà di approvvigionamento derivanti dalla posizione geografica dell’impianto, difficilmente o non sempre raggiungibile) non appare configurabile; per altro verso, ciascuna delle condizioni di cui ai punti 1 e 2 è idonea da sé ad integrare, per distinti e indipendenti aspetti, quelle "effettive necessità operative" cui fa riferimento l’art. 23 del T.U.A.

Non convince, invece, la sentenza laddove reputa sussistente, nella specie, il requisito di cui al punto 1, e pertanto illegittimo il diniego di autorizzazione, affermando che la percentuale del 30% di prodotto movimentato possa indifferentemente calcolarsi sul prodotto in entrata nel deposito (ossia acquistato dal gestore del deposito stesso) o sul prodotto in uscita dallo stesso (venduto dal gestore ai propri clienti).

Non conforta, ma anzi contraddice, la tesi il dato testuale. L’intero punto 1) dei criteri oggettivi è espressamente ed esclusivamente riferito all’uscita dal deposito ed al regime di sospensione o esenzione di cui fruisce l’acquirente dal deposito; si parla di esigenza di "estrarre" in regime sospensivo prodotti per un ammontare pari almeno al 30% delle "estrazioni", di movimentazioni "verso" Paesi UE, "verso" Paesi terzi, di forniture in esenzione a (esemplificativamente) Forze Armate o per produzione energia elettrica.

Né la tesi è conforme alla ratio della normativa. In realtà, il giudice di primo grado equivoca nell’individuazione della ratio dell’istituto del deposito fiscale, definendola come "quella di consentire la sospensione del pagamento dei diritti gravanti su merci estere depositate, con vantaggi economici connessi al differimento del pagamento di tale gravame al momento della destinazione finale."; in tal modo si confonde il regime sospensivo, in cui consiste il deposito fiscale, con la sua ragion d’essere (neppure il riferimento a merci estere è preciso, considerato che l’odierna appellata riferisce di acquistare oli rigenerati dalla Viscolube s.p.a., che dalla documentazione risulta aver sede in Pieve Fissiraga (LO).

La sospensione del pagamento dell’accisa cui è sottoposta la merce è la caratteristica che distingue il deposito fiscale rispetto al deposito libero, il cui gestore sopporta l’onere derivante dal pagamento dell’accisa all’atto dell’approvvigionamento della merce. E’, in altre parole, una forma di beneficio fiscale, sottoposta (a fronte delle conseguenze per l’erario – differimento del pagamento e correlate esigenze di vigilanza a fini di tutela fiscale -) "alle condizioni stabilite dall’amministrazione finanziaria" (art. 1, comma 2, lett. e) T.U.A.) all’interno dei parametri fissati, in materia di oli minerali, dall’art. 23 stesso T.U..

L’individuazione della ratio della regolamentazione in esame non può, quindi, prescindere dalle condizioni giustificative del regime del deposito fiscale (che anche nella singola materia di oli minerali sono diverse a seconda della tipologia di impianto), focalizzandosi solo su ciò che costituisce la conseguenza del ricorso di dette condizioni, ossia il vantaggio di versare l’accisa cui la merce è sottoposta solo al momento della vendita.

Il regime in questione è previsto dall’art. 23 cit. spetti alle raffinerie ed agli altri stabilimenti di produzione, possa essere autorizzato per gli impianti di maggiori dimensioni e, per gli impianti minori, possa autorizzarsi solo ove la gestione nel predetto regime risponda ad "effettive necessità operative e di approvvigionamento".

Quest’ultima formulazione è già di per sé stringente ed esclude (anche a prescindere dal richiamo al rigore contenuto nella Raccomandazione della Commissione Europea 29.11.2000, menzionata dalla circolare n. 16/D ed invocata, ora, dalla difesa dell’Agenzia) che il regime sospensivo possa essere accordato per mere ragioni di risparmio economico per il depositario, che è una conseguenza ma non il fine dell’autorizzazione.

Orbene, i criteri delineati dalla circolare del 28.4.2006 attengono, il n. 3, all’aspetto dell’approvvigionamento, il n. 2, ad esigenze di operatività sotto il profilo logistico, il n. 1, ad esigenze di operatività sul piano gestionale, per l’aspetto fiscale, in quanto risponde alla logica di evitare, allorché la clientela del deposito sia in buona parte (almeno 30%) costituita da acquirenti esenti (es. Forze Armate) o che possano fruire di aliquote agevolate ovvero da operatori esteri, che il depositario si trovi permanentemente in una consistente posizione creditoria nei confronti dell’Erario, semplificando e razionalizzando la dinamica dei flussi di pagamento tra depositario ed Erario.

Nel caso di deposito che acquisti almeno il 30% di prodotti in esenzione di accisa o ad aliquota agevolata, fermo restando il risparmio per tale quota, la sospensione del pagamento dell’accisa per la restante parte del prodotto acquistato, che ad essa è sottoposto, non risponde ad alcuna necessità di tipo operativo, ma ad un interesse meramente economico.

L’ipotesi, dunque, esula dalle previsioni dell’art. 23 del D.Lgs. 504/1995 e del punto 1) dell’art. 2.1 della circolare n. 16/D e non si rinvengono nella sentenza e nelle difese dell’appellata logiche spiegazioni della ritenuta riconducibilità a tali disposizioni della tesi secondo la quale le percentuale del 30% dovrebbe calcolarsi sui prodotti introdotti nel deposito.

Altro discorso, che non riguarda percentuali e modo di calcolarle, è quello relativo all’attività di miscelazione e denaturazione di prodotti petroliferi che la N. E. P. ha svolto presso il deposito fiscale della Lombarda Pertoli s.p.a. e che intenderebbe continuare a svolgere presso il deposito di Carpaneto Piacentino, per il quale ha chiesto l’autorizzazione alla gestione in regime di deposito fiscale.

Al riguardo va rilevato che mentre la disponibilità di un deposito fiscale costituisce un presupposto per poter svolgere dette operazioni di miscelazione, l’autorizzazione al regime di deposito fiscale ha presupposti suoi propri, che sono quelli innanzi riferiti, tra i quali non risulta rientrare, come di per sé giustificativa del regime di deposito fiscale, la funzionalità ad operazioni di miscelazione o denaturazione (l’art. 23 considera come operanti nel predetto regime, oltre alle raffinerie, gli altri stabilimenti "di produzione" ove si ottengono oli minerali).

Un cenno merita, inoltre, la questione del rilievo da attribuire al D.L. 25.09.2009, n. 135, convertito nella legge 20.11.2009, n. 166, segnalato dall’appellante, che, modificando il testo dell’art. 62 T.U.A., ha soppresso, per i prodotti energetici ottenuti dalla rigenerazione di oli usati, l’agevolazione dell’aliquota ridotta, con la conseguenza che, nel nuovo testo, anch’essi sono soggetti ad aliquota piena. E’ vero che, come, obietta l’appellata il sopravvenuto decreto legge non ha alterato le condizioni necessarie per l’autorizzazione al deposito, ma il rilievo della difesa dell’Agenzia pone in luce come, anche a ritenere che la percentuale del 30% di cui al primo requisito potesse riferirsi ai prodotti "in entrata" nel deposito, la società non sarebbe in grado di dimostrare le predetta percentuale di immissioni esenti o agevolate in quanto i prodotti che la stessa acquista sono ora ad aliquota piena (in sostanza, la difesa dell’Agenzia, prefigura l’infruttuosità di una eventuale rinnovo del procedimento, nel caso di conferma dell’annullamento del provvedimento del 17.3.2010).

Orbene, il diniego del marzo 2010 indica come insussistente il primo requisito in questione, in quanto l’istruttoria condotta aveva evidenziato che l’attività commerciale svolta dalla richiedente si indirizzava essenzialmente ad un parco clienti costituito da consumatori finali, acquirenti di gasolio per autotrazione ovvero gasolio denaturato per uso riscaldamento o agricolo, senza, quindi, estrazione di prodotti energetici in sospensione di accisa, perché i destinatari potevano ricevere esclusivamente prodotti ad accisa assolta.

Essendo incontestato il dato di fatto relativo ai soggetti acquirenti, la valutazione circa il requisito in questione è conforme alle disposizioni sopra richiamate.

Risulta, pertanto, erronea la sentenza di primo grado che ha accolto (assorbite le ulteriori doglianze) la terza censura dei motivi aggiunti, con la quale si sosteneva debba ritenersi integrato il primo requisito oggettivo di cui al predetto punto 2.1 della circolare n. 16/D nel caso l’istituendo deposito sia in grado di ricevere in regime di sospensione almeno il 30% del totale trattato.

Occorre, quindi, prendere in esame le censure di primo grado assorbite.

Va disattesa la contestazione (I motivo dei motivi aggiunti) di violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, considerato che già nel verbale di sopralluogo del 19.1.2010, sottoscritto anche dalla parte, che vi aveva presenziato, e riportante le relative osservazioni, tra cui la presa d’atto di quanto verbalizzato, si evidenziava, argomentandola, l’insussistenza di ciascuno dei requisiti; pertanto, l’interessata era già al corrente del punto di vista dell’amministrazione, onde il "preavviso" si rivelava, in concreto, superfluo, e la società ha, infatti, presentato ulteriori apporti partecipativi, peraltro inidonei a dimostrare la sussistenza di alcuno dei requisiti.

Infondato è anche il secondo motivo aggiunto, con il quale si denuncia la contraddittorietà del diniego del 17.3.2010 rispetto al precedente provvedimento negativo, che aveva riconosciuto la sussistenza del requisito di cui al punto 1), senza, peraltro, ritenerlo sufficiente, in mancanza del concomitante ricorso degli altri requisiti.

E’ vero che il diniego del 20.3.2009 dava atto che il sopralluogo del 12.01.2009 aveva evidenziato che risultava rispettato il criterio oggettivo di cui al punto 1 dell’art. 2.1 della circolare n. 16 del 2006, mentre non erano soddisfatti gli altri requisiti. Ma, come si legge al punto 7 del verbale di constatazione relativo al sopralluogo predetto, "Per la valutazione dell’esigenza di estrarre in regime sospensivo prodotti per un ammontare pari almeno al 30% del totale delle estrazioni, si è proceduto al controllo a campione dei documenti relativi ad alcune forniture effettuate dalla Società nel 2008".

Emerge, dunque, innanzitutto, che anche allora era stato considerato l’aspetto delle forniture effettuate (e non di quelle ricevute) dalla N. E. P.; inoltre si era trattato di controllo "a campione", relativo al precedente anno 2008.

Il sopralluogo del 19.1.2010, su cui si basa il diniego impugnato coi motivi aggiunti, ha riguardato la "consultazione dei tabulati relativi ai clienti… per gli anni 2008 e 2009, messi a disposizione dalla Parte"; quindi un riscontro più completo e relativo anche all’anno 2009; dal più recente periodo, in particolare, non poteva prescindersi, considerato che il requisito deve sussistere al momento del provvedimento che definisce l’istanza, oltre che permanere nel tempo, come si desume dalla richiamata circolare, ove si indica (art. 2.2) che l’autorizzazione rilasciata può essere revocata qualora da successivi controlli emerga che la condizione prevista dall’art. 23 T.U.A. non sia soddisfatta.

Non sussiste, dunque, alcuna contraddittorietà tra provvedimenti, essendo il secondo fondato su una nuova istruttoria, che aveva fornito elementi diversi dalla precedente; né risulta fondata la critica di illegittimità del rinnovo dell’istruttoria, tenuto conto della necessità di verificare l’attualità dei requisiti (i provvedimenti sono intervenuti circa ad un anno di distanza).

Non persuade, infine, l’ulteriore censura, di cui all’ultima parte del terzo motivo, con la quale si contesta l’illegittima negazione della sussistenza degli ulteriori requisiti. In particolare si valorizza l’interesse all’istituzione del deposito anche da parte della società Viscolube.

Ma i consolidati rapporti commerciali con la Viscolube s.pa. non valgono ad integrare il requisito di cui al punto 2, il quale richiede che l’impianto costituisca "propaggine di un esistente deposito fiscale ubicato nelle immediate vicinanze" e, dunque, pur ammettendo una diversa titolarità del deposito esistente e di quello costituendo, purché operativamente collegati, in presenza di consolidati rapporti commerciali tra i titolari, postula una accessorietà connotata da una stretta vicinanza. Nella specie, il verbale di sopralluogo, evidenzia che non sussiste il presupposto della "immediata" vicinanza (il provvedimento parla di 60 km.). L’appellata, sul punto, non offre elementi diversi e, quindi, per ciò solo non può dirsi abbia comprovato la ricorrenza del requisito. La stessa accessorietà, peraltro, non appare comprovata, considerato che il deposito della appellata non integra una propaggine di quello della Viscolube, ossia un aggiuntivo elemento strumentale alle esigenze del deposito di questa.

Né risultano sussistere le difficoltà logistiche che rendono difficoltoso l’approvvigionamento di cui al requisito n. 3. La fornitrice Viscolube si trova a circa 60 km.; l’impianto in questione è ubicato (v. verbale di sopralluogo del 12.1.2009) su una strada provinciale "agevolmente percorribile dagli automezzi", distante meno di 6 km. dalla strada Emilia Parmense; dunque, la zona è servita da adeguate infrastrutture. Il più recente verbale di sopralluogo indica, inoltre, la presenza di un "elevato numero di depositi fiscali situati nelle vicinanze" e la documentazione presentata dalla società appellata per evidenziare la difficoltà di trovare un deposito fiscale esistente in grado di ricevere la tipologia di prodotto rivela non tanto una oggettiva impossibilità di trovare ove stoccare e denaturare i prodotti acquistati quanto piuttosto profili di natura eminentemente economica (la nota datata 22.2.2010 della società parla di alcune soluzioni ritenute antieconomiche).

In conclusione, l’appello va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va dichiarata l’improcedibilità del ricorso principale di primo grado, diretto avverso un atto superato dal diniego successivo, e vanno respinti i motivi aggiunti rivolti al nuovo diniego di autorizzazione.

Le spese del giudizio, stante la componente interpretativa della vertenza, possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara improcedibile il ricorso principale e respinge i motivi aggiunti di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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