Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 06-07-2011) 18-10-2011, n. 37713

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Reggio Calabria, investito ex art. 309 cod. proc. pen. della richiesta di riesame proposta dall’indagato F.M., ha confermato l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari che in data 4 agosto 2010 aveva applicato al ricorrente la custodia cautelare in carcere per il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso.

Secondo l’ipotesi accusatoria il F. era associato alla ‘ndrangheta, ed unitamente al co-indagato G.S.G. era uno dei partecipi "attivi" del locale di Vibo Valentia, posto alle dirette dipendenze dell’organo direttivo dell’associazione, detto Provincia.

1.1. – Il Tribunale – Illustrata la storia delle indagini (operazione (OMISSIS)), la struttura dell’organizzazione criminale nelle sue varie articolazioni, le emergenze relative al "locale di Vibo Valentia"; esposti i principi di diritto cui intendeva ispirarsi – ha evidenziato che a carico del F., militavano essenzialmente i contenuti di alcune conversazioni ambientali effettuate a partire dal mese di luglio del 2009 anche presso la lavanderia "Apegreen" di Siderno, riconducibile a C.G. detto "(OMISSIS)", ritenuto luogo ideale per discutere di argomenti illeciti in quanto non raggiunto da copertura radiomobile, il cui inequivoco tenore consentiva di ritenere raggiunta una grave e solida prova indiziaria.

Nel corso di tali conversazioni (la n. 5319 del 15 ottobre 2009; la n. 3443 del 5 settembre 2009), stando a quanto riportato nel provvedimento impugnato, C.G., nel presentare a A.R. tre individui originari del Vibonese, commentando il matrimonio del F. celebratosi il 6 settembre 2009, aveva riferito dell’avvenuto conferimento al predetto, nell’occasione, della carica di "santista", precisando che l’inequivoco tenore delle captazioni – che aveva trovato riscontro nei servizi di osservazione (video-riprese) che attestavano la presenza in almeno tre occasione dell’indagato, in compagnia di altri soggetti (tra cui il G.), in Siderno, nei pressi della lavanderia del C. consentiva di ritenere raggiunta una grave e solida prova indiziaria e ciò a ragione dell’autorevolezza e spessore criminale delle persone colloquianti, la loro intraneità all’associazione mafiosa e l’assenza di intenti calunniatori.

2. – Ha proposto ricorso l’indagato per il tramite del suo difensore.

2.1. – Nel ricorso con due motivi d’impugnazione tra loro strettamente corredati, si denunzia l’illegittimità dell’ordinanza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione.

Da parte del ricorrente si osserva in particolare, anche attraverso una memoria difensiva redatta il 21 giugno 2011, che il Tribunale – dopo aver premesso che il metodo che intendeva seguire era quello di valutare le affermazioni etero accusatorie rese da terzi nel corso di conversazioni alle quali l’indagato non aveva partecipato direttamente, in relazione agli elementi di conforto acquisiti – non aveva poi rispettato tale regola di giudizio, considerando raggiunto un livello indiziario sufficientemente grave a carico del ricorrente sulla sola base di alcune conversazioni tra terzi asseritamene comprovanti un’affiliazione all’associazione mafiosa dell’indagato, sfornite tuttavia di adeguati riscontri individualizzanti.

Nel valutare tale scarno materiale indiziario, il Tribunale, oltre a recepire acriticamente le argomentazioni svolte in tema di gravita Indiziaria nell’ordinanza cautelare (che a sua volta aveva recepito il contenuto della richiesta del PM), aveva omesso di considerare che la presenza del F. in Siderno, nei pressi della lavanderia del C., non poteva considerarsi un riscontro individualizzante relativamente alla partecipazione dello stesso ad un’associazione per delinquere di tipo mafioso in atti, attesa la mancata individuazione di un concreto apporto personale del ricorrente all’organizzazione delittuosa, e l’assenza di indicatori fattuali sia della effettiva esistenza di un "locale" di Vibo Valentia, di cui risultano Individuati soltanto due partecipi, sia della oggettiva partecipazione dell’indagato allo stesso e della sua condivisione del programma criminoso, contestando il ricorrente, in ogni caso, che anche l’asserita partecipazione dell’indagato ad una cerimonia formale di iniziazione sia sufficiente per ritenere integrata una condotta partecipativa.

Le conversazioni captate che riguardavano il ricorrente, pertanto, non soltanto non forniscono alcuna prova "riscontrata", ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 3, ma soprattutto, costituiscono elemento indiziario incerto e isolato, insufficiente a fondare un quadro indiziario grave a sufficienza secondo i comuni cannoni ermeneutici (ex art. 192 c.p.p., comma 2).

Motivi della decisione

1. L’impugnazione proposta nell’interesse di F.M. è basata su motivi manifestamente infondati. Le argomentazioni prospettate dalla difesa, nelle loro polimorfi articolazioni ripropongono, senza addurre significativi elementi di novità, delle questioni decise dai giudici del riesame con motivazioni adeguate ed immuni da vizi logici o giuridici, e segnatamente, per un verso, una questione di diritto e, per altro verso, una censura motivazionale, l’una e l’altra compendiabili nel quesito se, le espressioni intercettate presso la lavanderia del C., figura apicale dell’associazione malavitosa sia a livello locale (in quanto "Mastro" di Siderno), che provinciale, integrino o meno indizi gravi di colpevolezza in ordine al reato associativo contestato, giustificativi della misura cautelare.

Nel formulare le proprie difese il ricorrente, però, non sembra adeguatamente considerare, in primo luogo, che ai fini dell’emissione di una misura cautelare personale, per "gravi indizi di colpevolezza" ex art. 273 cod. proc. pen., devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che, contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova, non valgono di per sè a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato ai fini della pronuncia di una sentenza di condanna, e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso il prosieguo delle indagini, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (principio ampiamente consolidato; tra le tante: Cass., Sez. 6A, 06/07/2004, n. 35671).

Orbene, ciò posto, rileva la Corte che legittimamente sono state considerate gravemente indizianti, attesa la fase processuale in atto, le conversazioni intercettate – il cui contenuto, come diffusamente illustrato nell’ordinanza che ne riporta i passaggi più significativi, riguardava rilevanti questioni interne (distribuzione di cariche tra i sodali, tra i quali lo stesso indagato, proposto per la carica di "santista", e di affari tra le cosche, risoluzioni di dissidi, ecc.), quindi dei temi di pregnante e ben significativa rilevanza, aventi natura ed incidenza probatoria in ordine al reato ascritto – tenuto conto dell’autorevolezza malavitosa di chi le ha pronunciate ( C. è un capomafia), del contesto in cui sono state registrate (conversari riservati tra autorevoli capimafia) e del loro contenuto, espressivo di un collocamento stabile e continuativo dell’indagato nell’organigramma gerarchico ed operativo della cosca.

Nè può indebolire la tesi accusatoria fatta propria dal tribunale la ritenuta equivocità delle frasi in esame, giacchè, se un dubbio può rilevarsi dal contenuto delle stesse, esso riguarda non già l’adesione del F. alla cosca (sulla cui certezza nessuno degli interlocutori dubita e tra essi, in primo luogo, G.S. G., investito della carica di "padrino" nella cosca operativa di Vibo Valentia), bensì il livello di sua responsabilità gerarchica, peraltro noto anche al di fuori della comunità del Vibonese in quanto comunicato, con certezza, anche ad esponenti di vertice di altre emanazioni territoriali del sodalizio criminale ( A.G., C.R.).

Sul valore probatorio, poi, della intercettazione e delle accuse con esse registrate, non sembra vi sia stata una sostanziale contestazione difensiva, comunque superata dall’insegnamento di questo giudice di legittimità, che ne ammette la rilevanza, lasciando alla libera valutazione giudiziale i caratteri di maggiore o minore precisione dei relativi contenuti, valutazione incensurabile in questa sede di legittimità se, come nella fattispecie, sufficientemente motivata (Cass., Sez. 5A, 19/01/2001, n. 13614;

Cass., Sez. 4A, 02/04/2003, n. 22391; Cass., Sez. 5A, 14/10/2003, n. 603).

Del pari soddisfatti nel caso all’esame della Corte appaiono i requisiti minimi richiesti dalla sua lezione interpretativa, circa la ipotizzabilità in capo all’indagato del reato associativo.

In tema di associazione di tipo mafioso, infatti, secondo autorevole precedente di questa Corte nella sua più autorevole composizione, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. Sviluppando poi tale premessa la Corte ha osservato che la partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi l’appartenenza nel senso indicato, purchè si tratti di indizi gravi e precisi – tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di "osservazione" e "prova", l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di "uomo d’onore", la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e però significativi "facta concludentia" – idonei, senza alcun automatismo probatorio, a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione (Cass., Sez. Unite, 12/07/2005, n. 33748, Mannino; Cass., Sez. 1A Sent.

11/12/2007, n. 1470).

E nel caso di specie, giova rimarcarlo, all’indagato risulta riferito un collocamento attivo nel gruppo malavitoso, gerarchicamente rilevante quanto a riconoscimento di ruoli e di funzioni (risultando abbastanza esplicito il riferimento alla carica di "santista" conferitagli in occasione dei festeggiamenti del suo matrimonio).

2. – Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000) – al versamento alla cassa delle ammende di una somma congruamente determinabile in Euro 1000,00. Deve seguire, altresì, la comunicazione di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *