Corte Suprema di Cassazione – Penale Sezione III Sentenza n. 564 del 2006 deposito del 11 gennaio 2006 PENA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

V? M? venne rinviato a giudizio per rispondere dei reati di cui: a) alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, lett. c), per avere realizzato, in zona vincolata e senza concessione edilizia, sulla copertura di un manufatto adibito a garage, un manufatto adibito a salotto delle dimensioni di m. 4 x 4 ed altezza di m. 3, in elementi prefabbricati in legno con copertura in plastica e tamponamenti laterali in parte in lastre di plexiglas fisse e in parte costituiti da tende in plastica avvolgibili; b) al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163 per avere realizzato la detta opera in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed ambientale, in quanto compresa entro una fascia di 150 m. da un torrente, senza la prescritta autorizzazione. Il giudice del Tribunale di Savona, con sentenza 5 marzo 2004, dichiarò estinto il reato di cui al capo A) per intervenuto rilascio di concessione edilizia in sanatoria ed assolse l’imputato dal reato di cui al capo B) perché il fatto non sussiste. In ordine a quest’ultimo reato osservò:

1) che i lavori erano stati autorizzati in sanatoria anche sotto il profilo ambientale, avendo avuto parere favorevole dalla commissione edilizia integrata;

2) che quindi il reato si era estinto ai sensi della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39, comma 8, che prevedeva una causa di estinzione dei reati di portata generale;

3) che in ogni caso nella specie si trattava di una opera inidonea a compromettere i valori ambientali (tenda-gazebo di modestissime dimensioni in materiale ligneo).

A seguito di appello del pubblico ministero, la Corte d’Appello di Genova, con sentenza del 25 gennaio 2005, dichiarò l’imputato colpevole del reato di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163 e lo condannò alla pena di giorni sei di arresto ed Euro 11.000,00 di ammenda.

L’imputato propone ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge, ed in particolare della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39, comma 8, il quale prevede che il rilascio della concessione edilizia o della autorizzazione in sanatoria, subordinato al conseguimento delle autorizzazioni delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo, estingue anche il reato ambientale. Nella specie egli ha ottenuto concessione edilizia in sanatoria ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 13 la quale contiene anche la autorizzazione in sanatoria sotto il profilo ambientale essendo stata preceduta dal parere favorevole della commissione edilizia integrata. L’illecito in questione è stato quindi sanato ai sensi della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39 al quale deve attribuirsi efficacia estintiva di portata generale e non limitata esclusivamente alle opere oggetto di condono edilizio. Del resto oggi la compatibilità tra causa estintiva del reato ambientale ed accertamento di conformità agli strumenti urbanistici è previsto dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 27, lett. d).

Osserva in secondo luogo che, perché sia configurabile il reato di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163 occorre che l’intervento non autorizzato sia idoneo ad alterare lo stato dei luoghi, ossia ad immutarne in modo rilevante ed apprezzabile le caratteristiche essenziali, di modo che non sussiste il reato quando deve escludersi, come nel caso di specie, la pur minima possibilità di vulnus ai valori tutelati.

Motivi della decisione

Il primo motivo è infondato. La Corte d’Appello ha invero osservato che l’imputato non ha dimostrato di avere presentato domanda di condono ai sensi del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 32 e che il rilascio della concessione edilizia in sanatoria ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 13 e 22 (ora D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 art. 36) – al contrario della concessione in sanatoria per condono edilizio ai sensi della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39, comma 8 – estingue le sole violazioni di natura strettamente edilizia, e non anche il reato ambientale, mentre l’eventuale riconoscimento della compatibilità ambientale dell’opera realizzata senza autorizzazione produce l’unico effetto di escludere l’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, che infatti nella specie correttamente la Corte d’Appello ha omesso di impartire.

Si tratta di statuizione corretta e perfettamente corrispondente alla consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte che sul punto ha costantemente affermato che "il nulla-osta in sanatoria rilasciato dall’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico non produce effetti estintivi sul reato commesso per l’esecuzione di lavori in sua assenza, applicandosi la causa di estinzione dei reati prevista dalla L. 28 febbraio 1985 n. 47, artt. 13 e 22 esclusivamente a quelli contemplati dalla medesima legge" (Sez. 3^, 26 novembre 2002, Caruso, m. 223.256); "il reato di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, art. 163 in tema di esecuzione di lavori di qualsiasi genere su beni ambientali in assenza di autorizzazione, non si estingue in conseguenza del rilascio della concessione in sanatoria di cui alla L. 28 febbraio 1985 n. 47, art. 13 come avviene ex art. 22 della stessa legge per il reato urbanistico, atteso che il rilascio della concessione in sanatoria estingue soltanto i reati previsti dalle norme urbanistiche e non anche quelli previsti da altre disposizioni di legge, (nell’occasione la Corte ha ulteriormente affermato la non rilevanza, quale autorizzazione ambientale in sanatoria, del certificato di assenza di danno ambientale rilasciato dall’autorità preposta alla tutela del vincolo, stante la natura di reato dì pericolo e non di danno dell’ipotesi in questione)" (Sez. 3^, 7 giugno 2001, Gandolfi, m. 222.257); "il rilascio in sanatoria delle concessioni edilizie, effettuato ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 13 e 22 come espressamente previsto al terzo comma del citato art. 22, determina l’estinzione dei soli "reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti" e quindi si riferisce esclusivamente alle contravvenzioni concernenti la materia che disciplina l’assetto del territorio sotto il profilo edilizio, ossia alle violazioni della stessa legge, in cui (citata L. art. 13) sono contemplate le ipotesi tipiche suscettibili di sanatoria (opere eseguite in assenza di concessione o in totale difformità o con variazioni essenziali, ecc). Ne deriva l’inapplicabilità della causa estintiva agli altri reati che riguardino altri aspetti delle costruzioni ed aventi oggettività giuridica diversa rispetto a quella della mera tutela urbanistica del territorio, come i reati relativi a violazioni di disposizioni dettate dalla L. 2 febbraio 1974, n. 64, in materia di costruzioni in zona sismica, o dalla L. 5 novembre 1971, n. 1086, in materia di opere in conglomerato cementizio, ovvero dal D.L. 27 giugno 1985, n. 312, art. 1 sexies introdotto dalla legge di conversione 8 agosto 1985, n. 431, in materia di tutela delle zone di particolare interesse ambientale. Ciò trova conferma della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39, comma 11, il quale prevede l’ipotesi di conversione dell’istanza di sanatoria presentata a norma della L. n. 47 del 1985, art. 13 in istanza da considerarsi prodotta a mente del successivo art. 31 ed, all’uopo, richiede che venga avanzata al comune apposita domanda, corredata dal pagamento all’erario degli oneri dovuti" (Sez. 3^, 1 dicembre 1997, Agnesse, m. 209.571).

ÿ infondato anche il secondo motivo in quanto la Corte d’Appello, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, ha accertato che l’intervento posto in essere dall’imputato, da un lato, ha importato una radicale modificazione della struttura dell’immobile e un consistente aumento della volumetria (e non costituisce quindi un intervento di straordinaria manutenzione o di restauro conservativo) e, dall’altro, è consistito in lavori di proporzioni tutt’altro che modeste ed aventi una obiettiva percettività, che hanno sensibilmente inciso sull’assetto dei luoghi.

ÿ quindi indiscutibile, secondo la Corte d’Appello, l’attitudine dell’intervento in questione a porre in pericolo il bene collettivo protetto.

Anche questa statuizione è corretta e perfettamente corrispondente alla consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, la quale ha costantemente ritenuto che il reato di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163 così come quello di cui al D.L. 27 giugno 1985, n. 312, art. 1 sexies, convertito dalla L. 8 agosto 1985, n. 431, ha natura di reato formale di pericolo che si consuma con la sola realizzazione di lavori, attività o interventi in zone vincolate senza la prescritta autorizzazione paesaggistica e prescinde dal verificarsi di un evento di danno e da ogni accertamento in ordine alla avvenuta alterazione, danneggiamento o deturpamento del paesaggio, essendo per la sua esistenza sufficiente che l’agente faccia, del bene protetto da vincolo paesaggistico, un uso diverso da quello cui esso è destinato o ponga in essere su di esso interventi astrattamente idonei a mettere in pericolo l’ambiente.

E ciò perché il vincolo posto su certe parti del territorio nazionale ha una funzione prodromica al governo del territorio stesso.

ÿ pertanto sufficiente l’accertamento della mancanza del provvedimento amministrativo, ai fini della sua configurabilità (Sez. 3^, 28 febbraio 2002, Barbadoro, m. 221.456; Sez. 1^, 31 agosto 2001, Fontana, m. 219.895; Sez. 3^, 26 giugno 2000, Gregori, m. 216.820; Sez. 3^, 14 febbraio 2000, Tommasi, m. 216.853; Sez. 6^, 24 luglio 1977, Stanzione, m. 209.282; Sez. 3^, 16 gennaio 1996, Re, m. 203.836; Sez. 3^, 12 luglio 1995, D’Emilio, m. 202.883; Sez. 3^, 30 giugno 1995, Montone, m. 202.702; Sez. 3^, 16 marzo 1994, Mastellone, m. 199.181; Sez. 3^, 27 gennaio 1994, Lambri, m. 197.592; Sez. 3^, 4 febbraio 1993, De Lieto, m. 193.636).

Si è solo specificato, fermo restando tale principio generale, che il reato non è configurabile esclusivamente in quelle rarissime ed eccezionali occasioni nelle quali si tratti di un intervento sull’immobile di entità talmente minima ed irrilevante che non sia neppure astrattamente idoneo a porre in pericolo il paesaggio e a pregiudicare il bene paesaggistico-ambientale, ossia in cui si tratti di un intervento ontologicamente estraneo al paesaggio ed all’ambiente (Sez. 3^, 3 marzo 2000, Faiola, m. 216.975; Sez. 3^, 26 novembre 1999, Gargiulo, m. 215.891; Sez. 3^, 2 ottobre 2001, Farà, m. 220.356; Sez. 3^, 17 marzo 1999, Zotti, m. 213.243).

Non è quindi certamente sufficiente, per escludere il reato, la presenza di una certificazione della autorità competente di assenza di danno ambientale, ma occorre l’accertamento, con una valutazione ex ante, che la condotta posta in essere, per la sua minima rilevanza, non aveva l’attitudine a porre in pericolo il bene protetto neppure in astratto (Sez. 3^, 6 febbraio 2003, De Marzi, m. 224, 465).

Nel caso di specie, poi, era evidente la sussistenza di questa astratta possibilità di porre in pericolo l’ambiente, trattandosi della costruzione, sulla copertura di un preesistente edificio, di un nuovo manufatto avente le dimensioni di m. 4 x 4 x 3, sulla cui realizzazione pertanto la competente autorità doveva esprimersi preventivamente.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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