Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 06-07-2011) 18-10-2011, n. 37696 Pena pecuniaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – S.A., titolare di un’azienda di autotrasporti con sede in (OMISSIS), ha proposto ricorso per Cassazione, per il tramite del suo difensore, avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna deliberata il 12 novembre 2010, la quale ha riformato solo limitatamente al trattamento sanzionatorio – ridotto, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, a mesi uno e giorni venti di arresto ed Euro 72.000,00 di ammenda – quella del Tribunale di Ravenna – sezione distaccata di Lugo in data 30 ottobre 2008, che ne aveva affermato la penale responsabilità in relazione all’assunzione di trentuno lavoratori stranieri, tutti di nazionalità rumena, privi del permesso di soggiorno, e dei quali, per altro, solo relativamente a tre di essi, e precisamente quelli indicati al capo a) della rubrica, che risultavano individuati da un pubblico ufficiale come presenti in un’area cortilizia dell’azienda, in occasione di un suo accesso in loco eseguito il 27 agosto 2005 e finalizzato all’esecuzione di un provvedimento di sequestro di alcuni camion, era stata contestata dall’imputata l’effettiva assunzione alle dipendenza della propria azienda, non contestata invece relativamente agli altri ventotto lavoratori – quelli indicati al capo B) – per i quali risultavano invece avanzate formali comunicazioni di assunzione.

1.1 – A sostegno dell’impugnazione in ricorso se ne denunzia l’illegittimità, in primo luogo, per vizio di motivazione, relativamente all’affermazione di penale responsabilità della S. in relazione al fatto contestato al capo a) della rubrica, contestando la ricorrente, per un verso, che la presenza di tre cittadini rumeni privi di permesso di soggiorno all’interno "di un piazzale di pubblico accesso" di sua proprietà, possa costituire valida prova dell’effettiva assunzione dei predetti alle dipendenze della sua azienda; per l’altro, l’incongruità della motivazione addotta dai giudici di appello sul punto, nel senso che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, nè le comunicazioni effettuate dall’imputata alla Direzione provinciale del Lavoro nè la documentazione prodotta dal PM il 30 ottobre 2008, dimostrerebbero la effettività del fatto storico dell’assunzione dei tre cittadini rumeni indicati nel capo d’imputazione.

1.2 – Quanto poi all’affermazione di responsabilità della S. per il fatto contestato al capo b), da parte del ricorrente si denunzia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12), in quanto la sopravvenuta adesione della Romania all’Unione Europea, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito attraverso l’espresso richiamo di alcun decisioni di questa Corte, anche a Sezioni Unite (la sentenza n. del Imp. Magera), quest’ultima, per altro, relativa a una fattispecie diversa, ha determinato il venir meno dell’illiceità della condotta contestata, incidendo tale evento sulla nozione stessa di straniero qualificata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 1. 1.3 Con un terzo motivo d’impugnazione da parte del ricorrente si denunzia la illegittimità della sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, per aver i giudici di appello ritenuto sussistente l’elemento psicologico del reato, pur avendo essi stessi riconosciuto che la S., quanto all’assunzione dei ventotto lavoratori rumeni di cui al capo b), aveva presentato delle regolari comunicazioni alla direzione provinciale stipendiando regolarmente i predetti, tanto da concedere all’imputata l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 1.

In particolare, la circostanza che l’imputata risulta aver agito nella convinzione che ai fini dell’assunzione dei lavoratori rumeni non fosse necessario attendere il rilascio di un regolare permesso di soggiorno, in svariati casi da lei stessa richiesto, avrebbe dovuto condurre, attesa anche la trasformazione del reato di cui trattasi da contravvenzione a delitto e la conseguente sua punibilità a titolo di dolo, al proscioglimento della S., quanto meno sotto il profilo del superamento del ragionevole dubbio.

1.4 Con il quarto ed ultimo motivo d’impugnazione, si denunzia, infine, la illegittimità della sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento sia alla determinazione della pena pecuniaria per effetto del riconoscimento del vincolo della continuazione tra i singoli fatti contestati, con specifico riferimento all’adozione del cumulo materiale per la determinazione della pena base (di Euro 155.000,00), dovendo ritenersi ormai pacifica, in giurisprudenza, l’applicazione dell’istituto della continuazione anche in presenza di pene proporzionali; sia con riferimento alla decisione di rimettere alla competenza del giudice dell’esecuzione la questione sollevata dall’appellante relativamente alla concessione dell’indulto, relativamente ai fatti commessi anteriormente al 2 maggio 2006.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse di S.A. è basata su motivi infondati e va quindi rigettata.

1.1 – Con riferimento al primo motivo, lo stesso, così come formulato, deve ritenersi senz’altro inammissibile, riproponendo lo stesso argomentazioni disattese dai giudici di merito, con argomentazioni adeguate ed immuni da vizi logici o giuridici. Ed invero, premesso che i giudici di merito, con decisioni sintoniche, che si integrano per ciò reciprocamente, hanno chiaramente illustrato gli elementi ritenuti indicativi della penale responsabilità della ricorrente – rappresentati, essenzialmente, quanto alla imputazione contestata al capo A, specifico oggetto della censura, dall’accettata presenza dei tre cittadini rumeni nei pressi dell’azienda della imputata e dalla mancata emersione di altro motivo plausibile diverso da quello connesso alla prestazione di lavoro – il collegio deve rilevare che, pur denunziandosi in ricorso l’esistenza di un vizio di contraddizione della motivazione rispetto ai dati acquisiti e cioè di "travisamento della prova" con riferimento, in particolare, alle dichiarazioni dell’imputata, la quale, si sostiene, mentre avrebbe effettivamente ammesso di aver assunto ventotto lavoratori extracomunitari privi di permesso di soggiorno, mai avrebbe riconosciuto, invece, il fatto contestato al capo A, e cioè l’assunzione anche dei tre cittadini rumeni ivi indicati, è agevole rilevare come tale argomento si ponga, in realtà, come una generica, non consentita, censura sul significato e sulla interpretazione dei predetti elementi valorizzati dai giudici di merito, i quali, per altro, hanno fatto si riferimento, quale significativo ed ulteriore elemento indiziante a carico della S., anche al contenuto delle dichiarazioni rilasciate dalla stessa, ma solo in quanto ammissione della effettiva pregressa assunzione da parte sua dei ventotto lavoratori extracomunitari di nazionalità rumena, di cui all’imputazione sub B, e non anche quale un esplicito riconoscimento di responsabilità della stessa, relativamente alla specifica imputazione di cui trattasi.

Tanto precisato, non resta che ribadire come l’unico "travisamento" prospettabile in questa sede per effetto della novella che ha modificato l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dovrebbe concernere il significante, non il significato. Il neointrodotto rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza impugnata per essere compatibile con il giudizio di legittimità non può difatti che essere inteso in senso stretto (classico) di rapporto di negazione sulle premesse, al giudizio di legittimità continuando ad essere estraneo ogni discorso meramente confutativo sul significato della prova e sulla sua capacità dimostrativa: ogni censura, cioè, con la quale si prospetti – come di fatto avvenuto, invece, nel caso in esame – in via di mera contrapposizione dialettica, l’esistenza di argomenti che attengono alla plausibilità della valutazione compiuta dai giudici del merito.

1.2 – Infondato deve ritenersi anche il secondo motivo d’impugnazione. Ed invero, la tesi esposta dalla Corte territoriale – secondo cui la circostanza che la Romania sia entrata a far parte dell’Unione Europea dal 2007, con conseguente libera circolazione dei cittadini romeni nell’ambito dei Paesi aderenti, non ha alcuna influenza sulle condotte criminose commesse in data antecedente alla ratifica del Trattato di adesione (ovvero all’entrata in vigore di nuove norme regolamentari in tema di visto d’ingresso), in quanto il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12 può considerarsi norma penale in bianco solo in relazione alla definizione di alcune connotazioni della condotta, ma non nella parte in cui assume come mero presupposto della condotta incriminata la qualifica di straniero extracomunitario, con la conseguenza che, In caso di mutazione di tale "status" dopo la commissione del reato, non si verifica una successione di norma penali integratrici della condotta e non trova applicazione la disciplina prevista dall’art. 2 c.p., commi 2 e 4, – si ricollega ad un univoco indirizzo giurisprudenziale da tempo enunciato da questa Corte (si veda ex multis, la sentenza n. 5875 del 11/1/2007, dep. il 13/2/2007, Rv. 235992, imp. Capelluto, sia pure in tema di reato di favoreggiamento all’ingresso clandestino di stranieri, e relativa all’adesione all’Unione Europea della Polonia) che ha trovato, da ultimo, autorevole avallo anche nella sentenza n. 2451 delle Sezioni Unite del 27 settembre 2007 imp. Mogera Paul, che sia pure con riferimento ad un processo a carico di un cittadino rumeno imputato del reato previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-ter, per inosservanza dell’ordine di lasciare il territorio italiano, emesso dal Questore a seguito di decreto prefettizio di espulsione, ha escluso che trovi applicazione l’art. 2 cod. pen. in conseguenza dell’ingresso della Romania nell’Unione Europea e debba, quindi, essere pronunciata l’assoluzione dell’imputato perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

1.2.1 – Infondato è anche l’ulteriore argomento prospettato in ricorso, secondo cui nel caso in esame difetterebbe l’elemento soggettivo del reato, avendo l’Imputata agito in perfetta buona fede, senza finalità speculative, nella convinzione che per l’assunzione dei lavoratori extracomunitari alle sue dipendenze non fosse necessario il preventivo rilascio di permesso di soggiorno. Ed invero, avendo il Tribunale motivatamente escluso che la S. ignorasse che i lavoratori rumeni da lei assunti fossero sprovvisti di permesso di soggiorno, plausibilmente ricollegando tale convincimento alla circostanza, pacifica, che in alcuni casi fu la stessa imputata ad avanzare la relativa richiesta, è agevole rilevare che l’errore in cui sarebbe incorsa l’imputata relativamente alla necessità della preventiva esibizione da parte del lavoratore di un regolare permesso di soggiorno, si sostanzia in un errore sulla stessa previsione normativa e non può costituire, per ciò, elemento riconducile alla "buona fede", nè escludere resistenza dei presupposti dell’elemento soggettivo del reato.

1.3 – Quanto poi al terzo motivo, con il quale si contesta l’adozione del cumulo materiale relativamente alla determinazione della pena pecuniaria, lo stesso deve ritenersi infondato, riproponendo le argomentazioni svolte in ricorso una questione decisa dalla Corte territoriale con motivazione adeguata ed immune da vizi interpretativi relativamente alla disciplina del reato continuato. Al riguardo deve precisarsi, innanzi tutto, che in tema di pene proporzionali necessita fare una fondamentale distinzione. In alcuni casi, il legislatore in presenza di fattispecie a struttura pluralistica (con possibilità di ripetizioni della stessa condotta anche se non contestuale) commina una pena per ogni singola violazione del precetto, in tale modo, precisando che il trattamento sanzionatolo deve essere quello del cumulo materiale; per tali ipotesi di pena (impropriamente) proporzionale, fondatamente ravvisata dai giudici di merito con riferimento al delitto contestato alla S., è certamente corretta la tesi della inapplicabilità dell’art. 81 cod. pen.. Diversa è la situazione quando le pene pecuniarie (propriamente) proporzionali sono comminate per fattispecie a struttura unitaria (quale ad esempio il reato di contrabbando) nelle quali la determinazione della sanzione viene solo vincolata dal legislatore a parametri predeterminati con riguardo all’offesa arrecata al bene tutelato dalla norma. In questi casi, il legislatore non prevede una speciale disciplina riferita al concorso formale o materiale dei reati, ma pone solo un limite al potere discrezionale del Giudice di quantificare la pena;pertanto, non vi sono ostacoli o incompatibilità alla applicabilità del regime del cumulo giuridico previsto dall’art. 81 c.p.. Alla stregua di tali considerazioni, ripetutamente affermate da questa Corte, sin da un risalente arresto delle Sezioni Unite (Sentenza n. 5690 del 07/02/1981, dep. l’8/06/1981, Rv. 149262, imp. Viola), nessun profilo di illegittimità è ravvisarle nella decisione della Corte territoriale di ritenere inapplicabile l’Istituto della continuazione, in presenza di pena pecuniaria "impropriamente proporzionale". 1.4 – Quanto, infine, alla censura relativa alla mancata applicazione dell’indulto, questo Collegio ritiene di dover confermare il principio secondo il quale il problema dell’applicazione dell’indulto può essere sollevato nel giudizio di legittimità soltanto nel caso in cui il giudice di merito lo abbia preso in esame e lo abbia risolto negativamente, escludendo che l’imputato abbia diritto al beneficio, e non, invece, quando abbia omesso di pronunciarsi, riservandone l’applicazione al giudice dell’esecuzione (in tal senso, Sez. U, Sentenza n. 2333 del 03/02/1995, dep. il 7/03/1995, Rv.

200259, imp. Aversa).

Nel caso di specie, non essendovi, alcun giudicato sul punto, la questione va evidentemente riproposta davanti al giudice dell’esecuzione.

2. – Al rigetto del ricorso consegue per legge (art. 616 cod. proc. pen.) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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