Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-06-2011) 18-10-2011, n. 37711

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 20 settembre 2010, il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., ha respinto la richiesta di riesame proposta avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa il 4 agosto 2010 del G.i.p. dello stesso Tribunale nei confronti di G.B., sottoposto a indagini per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., contestato al capo A) della imputazione provvisoria, con riguardo alla partecipazione all’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, operante nel territorio della provincia di Reggio Calabria, nel territorio nazionale ed estero, costituita da molte decine di locali o società di "ndrangheta, articolate in tre mandamenti, e sottoposta all’azione di controllo e coordinamento dell’organo di vertice denominato provincia, con il ruolo di mastro generale della provincia ed elemento di vertice del locale di (OMISSIS).

2. Il Tribunale premetteva che G.B., insieme con altri coindagati, era stato sottoposto a fermo di indiziato di delitto, disposto dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, convalidato il 16 luglio 2010 dal G.i.p. del Tribunale di Locri, che aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere e dichiarato la propria incompetenza per territorio, disponendo la trasmissione degli atti, ai sensi dell’art. 27 c.p.p., al G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria, che, con ordinanza del 4 agosto 2010, aveva disposto l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere con valutazioni, quanto alla gravità del quadro indiziario e alle esigenze cautelari, coincidenti con quelle già espresse dal G.i.p. del Tribunale di Palmi.

3. Tanto premesso, il Tribunale, dopo aver richiamato i principi di diritto regolanti il riesame della misura cautelare e aver rilevato lo stretto collegamento e la complementarietà tra il provvedimento restrittivo della libertà personale e l’ordinanza che decide sul riesame, argomentava la decisione, ritenendo l’infondatezza delle richieste difensive volte a contestare la sussistenza del quadro indiziario e delle esigenze cautelari, per essere specifici e gravi gli elementi indiziari circa la sussistenza della fattispecie criminosa oggetto di addebito e la sua riferibilità all’indagato, e ricorrenti le esigenze cautelari.

3.1. La vicenda sottoposta a esame era preceduta dall’analisi degli elementi caratterizzanti la fattispecie associativa prevista dall’art. 416 bis c.p. e della evoluzione dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, della sua articolazione in plurime locali e società, coordinate in tre mandamenti competenti su specifiche aree (ionica, tirrenica e città), con organo di vertice denominato provincia, attraverso l’esame di numerosi provvedimenti giudiziari definitivi (processo Montalto, processo dei sessanta, processo Primavera, processo Olimpia 1, processo Armonia), ed era inquadrata nel contesto di articolate indagini, costituite dagli esiti delle intercettazioni tra presenti, integrate da servizi di videosorveglianza, di controllo della identità dei soggetti, di riconoscimento vocale soggettivo esperito dagli operanti, di ricorso al sistema di posizionamento satellitare GPS sui veicoli e di intercettazioni telefoniche, che avevano fatto emergere l’esistenza di una struttura piramidale della criminalità di stampo ‘ndranghettistico e l’esistenza di una struttura di vertice, denominata provincia, riconosciuta in (OMISSIS) e fuori regione, le modalità di costituzione della stessa, le sue competenze e la sua consistenza organica.

3.2. Nel complesso assetto della imputazione associativa G. B. era inquadrato (insieme a M.A., G. G. e M.G.) nel c.d. locale di (OMISSIS), con posizione di vertice per aver ricevuto nel corso del matrimonio/summit del 19 agosto 2009 la carica di mastro generale della provincia.

3.3. Gli elementi indiziari a carico di G.B. erano costituititi da più conversazioni intercettate in modalità ambientale:

– all’interno dell’agrumeto di O.D. (in particolare, la conversazione del 20 agosto 2009 tra O.D., il figlio R. e il nipote O.P., nel corso della quale il primo aveva fatto un resoconto agli interlocutori del summit del precedente (OMISSIS) e della "carica data al parente di P.M., di (OMISSIS), B., il macellaio che c’è là sopra").

– all’interno della lavanderia (OMISSIS) di C.G., detto (OMISSIS):

1. la conversazione del 20 agosto 2009, progr. 2665, tra C. G., Br.Ca. e S.R., nel corso della quale si era parlato delle cariche assegnate durante il matrimonio della figlia di P.G., e il C. aveva chiarito che mastro generale era un certo B. di (OMISSIS), che aveva la macelleria a (OMISSIS), e per la cui nomina vi era stata una disputa tra i rappresentanti del suo paese e quelli di (OMISSIS);

2. la conversazione del 22 agosto 2009, progr, 2762, nel corso della quale lo stesso C. aveva chiarito ai suoi interlocutori la situazione delle c.d. cariche di (OMISSIS), e cioè dei mandati speciali di ‘ndrangheta assegnati il (OMISSIS) in occasione del matrimonio della figlia di P.G., da ratificarsi nei primi giorni di settembre al santuario di (OMISSIS) in occasione della festività in onore della Madonna delle Montagne, indicando tra le altre cariche quella di mastro generale conferita a uno di (OMISSIS), "un certo B. si chiama, che … ha la baracca nella festa a (OMISSIS)";

3. la conversazione del 5 settembre 2009, progr. 3431, nel corso della quale ancora C.G. aveva riferito ai suoi interlocutori, come risposta alla richiesta di C.F., appena ritornato dal Canada, in merito alla riunione del (OMISSIS) per fare le cariche, indicando tra le altre quella di mastro generale data a uno di (OMISSIS), che "ha la baracca là";

4. la conversazione del 2 novembre 2009, progr. 6170, nel corso della quale C.G. aveva illustrato all’amico L.B. le nuove cariche provinciali di ‘ndrangheta, e tra le altre aveva indicato quella di mastro generale, concessa per (OMISSIS) "a un certo B. che ha la baracca là a (OMISSIS)", anche riferendo in merito alle tormentate trattative avvenute prima dell’assemblea deliberante;

5. la conversazione del 2 novembre 2009, progr. 6171, nel corso della quale C.G. aveva riferito a L.B. e ad altri non identificati con certezza che "se facciamo un vangelo … dobbiamo dire al capo società che siamo rimasti così con B.", a conferma dell’accordo infrangibile preso direttamente con il mastro generale di (OMISSIS).

3.4. Da tali dichiarazioni etero-accusatorie, provenienti da soggetti intranei all’organismo ‘ndranghettistico con ruoli preminenti, erano desumibili, secondo il Tribunale, elementi tali da far ritenere integrato un quadro di gravità indiziaria in ordine al delitto associativo di cui al capo A);

– attesa la specificità dei riferimenti fatti dai due accreditati esponenti al nome di battesimo e all’attività di macellaio a (OMISSIS) svolta dal G., senza che assumesse carattere dirimente la circostanza dell’omessa menzione del cognome;

– avuto riguardo al servizio di osservazione svolto dai carabinieri di (OMISSIS) e dal personale del nucleo investigativo del comando provinciale di Reggio Calabria, che aveva consentito le riprese del G. all’interno e nei pressi del chiosco adibito a macelleria, sito nelle vicinanze del santuario di (OMISSIS), in atteggiamento di gestore della macelleria, a prescindere dalla titolarità dell’esercizio o dell’autorizzazione per lo svolgimento dell’attività commerciale nel mercato in località (OMISSIS);

– tenuto conto delle videoriprese effettuate dalla polizia giudiziaria l’1 settembre 2009 e delle estrapolazioni fotografiche delle stesse, che avevano permesso di rilevare che presso il chiosco della carne erano andati O.D. e altri esponenti criminali del mandamento di Reggio e di quello tirrenico, singolarmente identificati nel momento dell’arrivo e dell’allontanamento dal luogo, secondo "un antico e complesso rituale che inevitabilmente si inserisce nel momento della maggiore autoaffermazione in un simbolismo e in un sistema di credenze e riferimenti simbolici che rafforzano la potenza e il consenso dell’organizzazione";

– tenuto conto della conferma di tale appartenenza alla ‘ndrangheta, derivante dalla conversazione ambientale del 19 marzo 2010, progr.

5558, tra G. e la moglie, dalla quale era emerso il timore dei due di essere controllati e il pericolo che l’uomo potesse essere preso.

4. Le esigenze cautelari trovavano fondamento nelle diffuse argomentazioni svolte dal P.M. nel decreto di fermo e riprese dal G.i.p. e nell’elevatissimo coefficiente di pericolosità e allarme sociale promanante dalle gravi condotte contestate.

L’unica misura adeguata era quella della custodia in carcere, attesa la presunzione fissata dall’art. 275 c.p.p., comma 3, nei confronti dell’indagato del delitto di associazione di tipo mafioso, superabile con la dimostrazione della stabile rescissione da parte del medesimo dei legami con l’organizzazione criminosa, nella specie non provata, tenuto anche conto della provata perdurante operatività del sodalizio.

5. Avverso detta ordinanza, reiettiva della richiesta di riesame, ricorre per cassazione, per mezzo del suo difensore di fiducia, G.B. che ne chiede l’annullamento sulla base di due motivi.

5.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in correlazione agli artt. 125 e 273 c.p.p. e art. 416 bis c.p. per inosservanza ed erronea applicazione della legge e per mancanza, incompletezza, illogicità e irrazionalità della motivazione, emergente dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti del procedimento specificatamente indicati nella memoria con allegati, depositata ai sensi dell’art. 309 c.p.p., vizio di travisamento della prova ai sensi della L. n. 46 del 2006 in ordine alla valutazione e/o omessa valutazione delle questioni dedotte con la stessa memoria.

Secondo il ricorrente, difettano in modo assoluto i presupposti legittimanti l’emissione e il mantenimento della misura cautelare adottata, essendosi ravvisata la sussistenza di un grave quadro indiziario in contrasto con le emergenze processuali e trascurando le doglianze difensive.

La sua appartenenza alla consorteria mafiosa è stata ritenuta, ad avviso del ricorrente, sulla base dell’omonimia del solo prenome, emergendo dai dialoghi intercettati solamente che un B. di (OMISSIS), avente la baracca a (OMISSIS), è stato nominato mastro generale della provincia durante il matrimonio della figlia di P. G. il (OMISSIS), e che tale carica è stata ufficializzata a (OMISSIS) nei primi di settembre, senza che sia stato fatto il suo cognome, neppure ricordato dagli interlocutori, e senza che la sua attività sia "proprio quella di macellaio, svolta occasionalmente durante la festa della (OMISSIS) ai primi di settembre".

In tal modo, il Tribunale è incorso, secondo la prospettazione difensiva, nel vizio dell’evidente travisamento della prova e della sua identificazione con il B. delle intercettazioni senza la certezza sufficiente richiesta per integrare la qualificata probabilità di colpevolezza, anche tenuto conto del rilievo che nella conversazione del 2 novembre 2009, progr. n. 6170, l’interlocutore ha ritenuto che il B. indicato fosse un tale V.; dell’omessa valutazione della documentazione anagrafica afferente la mancanza di legami di parentela con Pe.Mi., indicata come esistente nei dialoghi intercettati; dell’omessa attenzione prestata alle indagini svolte dalla difesa in merito all’omessa partecipazione del ricorrente al matrimonio della figlia di P.G.; delle irragionevoli e illogiche argomentazioni in merito alla consulenza tecnica promossa dalla difesa sulle caratteristiche della baracca e sulla sua idoneità a una riunione di capi ‘ndranghettisti; della illogica attribuzione della valenza di vertice di ‘ndrangheta a un incontro di quindici minuti, anche tenuto conto del dato emerso che l’attribuzione delle cariche era stata preceduta da contrasti tra i vari locali, e dell’omesso vaglio della circostanza che il ricorrente non si era trattenuto in compagnia dei coindagati durante la riunione.

Nè a carico del ricorrente, nel periodo di decretazione d’urgenza, dal 30 novembre 2009 al 19 aprile 2010, vi sono state altre intercettazioni oltre a quella del 19 marzo 2010, dalla quale è emersa solo la normale preoccupazione di un cittadino che scopre di essere intercettato e si preoccupa che nell’auto non si parli di "cazzate e barzellette". 5.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in correlazione agli artt. 125, 274 e 275 c.p.p., per inosservanza ed erronea applicazione della legge e per mancanza, incompletezza, illogicità e irrazionalità della motivazione emergente dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti del procedimento specificatamente indicati.

Secondo il ricorrente, mancano le esigenze cautelari legittimanti il ricorso a una misura cautelare e i presupposti per l’applicazione dello strumento coercitivo più afflittivo, ed è da escludere la pericolosità sociale, assistita dalla presunzione relativa ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, per gli argomenti sviluppati e per essere la presunzione stridente con il dato oggettivo della sua incensuratezza.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. Quanto al primo motivo, deve premettersi che le valutazioni da compiersi dal giudice ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio prognostico di "elevata probabilità di colpevolezza", tanto lontano da una sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure presuntivo, poichè di tipo "statico" e condotto, allo stato degli atti, sui soli elementi già acquisiti dal Pubblico Ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte Cost, sent. n. 121 del 2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent. n. 71 del 1996, sent. n. 432 del 1995).

2.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure cautelari personali, non è richiesto il requisito della precisione e della concordanza, ma quello della gravità degli indizi di colpevolezza, per tali intendendosi tutti quegli elementi a carico ancorati a fatti certi, di natura logica o rappresentativa, che non valgono di per sè a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità dell’indagato e tuttavia sono tali da lasciar desumere con elevata valenza probabilistica l’attribuzione del reato al medesimo (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e altro, Rv. 202002, e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995, dep. 22/11/1995, Tomasello, Rv. 203118;

Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep. 15/04/1999, Capriati e altro, Rv.

212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep. 03/07/2000, Dascola, Rv.

217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep. 09/02/2004, Acanfora, Rv. 227511), e la loro valutazione, a norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, deve procedere applicando, tra le altre, le disposizioni contenute nell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che delineano, pertanto, i confini del libero convincimento del giudice cautelare (Sez. F, n. 31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n. 29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n. 36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441 del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del 04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601).

2.2. Si è, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai limiti che a esso ineriscono, all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del 17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del 12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565;

Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828;

Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre, Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez. 1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331).

Il detto limite del sindacato di legittimità in relazione alla gravità degli indizi riguarda anche il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della cautela valutare "in concreto" la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998, Martorana, Rv. 210019).

2.3. Deve anche rilevarsi che la categoria logico-giuridica del travisamento della prova, cui si ricollega la censura attinente alla valutazione e/o omessa valutazione delle questioni dedotte con la memoria depositata con allegati ai sensi dell’art. 309 c.p.p., implica la constatazione dell’esistenza di una palese difformità tra i risultati probatori obiettivi e quelli che il giudice di merito ne abbia tratto, per essersi utilizzata nella decisione e rappresentata in motivazione un’informazione probatoria rilevante non esistente nel processo, o per essersi omessa la valutazione di una prova decisiva, o per essere una determinata informazione, oggetto di analitica censura chiaramente argomentata, contraddetta da uno specifico atto probatorio processuale.

L’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nell’ammettere, nella sua vigente formulazione, un sindacato esteso a quelle forme di patologia del discorso giustificativo riconoscibili solo all’esito di una cognitio facti ex actis, colloca il vizio di travisamento della prova, cioè della prova omessa o travisata, rilevante e decisiva, nel peculiare contesto del vizio motivazionale, poichè inerisce al tessuto argomentativo della ratto deciderteli (tra le altre, Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006, dep. 27/04/2006, Vecchio, Rv. 233621; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, dep. 22/02/2007, Messina, Rv. 235716; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, dep. 21/06/2007, Musumeci, Rv. 237207;

Sez. 1, n. 35848 del 19/09/2007, dep. 01/10/2007, Alessandro, Rv.

237684; Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, dep. 12/10/2009, Belluccia, Rv. 244623), conferendo pregnante rilievo all’obbligo di fedeltà della motivazione agli atti processuali/probatori, di cui risultano valorizzati, oltre alla tenuta logico-argomentativa, anche i criteri di esattezza, completezza e tenuta informativa, e rafforzando l’onere di "indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto" a sostegno del singolo motivo di ricorso, fissato dall’art. 581 c.p.p., lett. c), (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, dep. 24/11/2003, P.G., Andreotti e altro, Rv. 226093).

2.3.1. Il vizio di prova "omessa" o "travisata" sussiste, tuttavia, soltanto quando la dedotta distorsione disarticoli effettivamente l’intero ragionamento probatorio e renda illogica la motivazione, per l’essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio trascurato o travisato, secondo un parametro di rilevanza e di decisività ai fini del decidere, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una rilettura e reinterpretazione nel merito del risultato probatorio, da contrapporre alla valutazione effettuata dal giudice di merito (tra le altre, Sez. 1, n. 8094 del 11/01/2007, dep. 27/02/2007, Ienco, Rv. 236540; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, dep. 28/09/2007, Servidei, Rv. 237652; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, dep. 06/05/2008, Ferdico, Rv. 239789).

Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice di merito.

3. Nel caso di specie, la ricostruzione dei fatti e l’indicazione del quadro indiziario a carico dell’indagato, operate dal Tribunale, sono conformi ai principi di diritto suddetti, congrui e coerenti con le acquisizioni processuali richiamate nella decisione, e conformi ai canoni della logica e della non contraddizione.

3.1. Il Tribunale, infatti, esattamente interpretando le norme applicate alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, e dando conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione, ha ritenuto sussistente a carico del ricorrente una solida piattaforma indiziaria, con riferimento alla contestata condotta di partecipazione all’associazione criminosa di stampo mafioso denominata ‘ndrangheta, e ha ancorato il proprio giudizio a elementi specifici risultanti dagli atti, dalla cui valutazione globale ha tratto un giudizio in termini di qualificata probabilità circa l’attribuzione del reato contestato al predetto.

Sono stati, infatti, valorizzati gli elementi indizianti, costituiti dal contenuto delle conversazioni intercorse tra terze persone e intercettate, richiamato nella precedente parte espositiva, coerentemente inquadrato nel più ampio contesto degli accertamenti relativi alla evoluzione e articolazione della ‘ndrangheta e alla istituzionalizzazione della sua struttura sovraordinata, sulla scorta delle plurime fonti di conoscenza specificatamente richiamate e analizzate dal Tribunale.

3.2. Il Tribunale, procedendo a logica lettura e plausibile interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate, ha rilevato, con ampi e significativi richiami alla loro trascrizione, che dalle stesse si traggono univoci elementi della intraneità del ricorrente nel c.d. locale di San Luca e della sua posizione di vertice connessa alla carica di mastro generale della provincia, conferitagli all’atto dell’assegnazione delle cariche, effettuata il (OMISSIS), in occasione del matrimonio della figlia di P. G., e ratificata il 2 settembre 2009 a (OMISSIS) in occasione della festività in onore della (OMISSIS).

Tale analisi, completata dai riferimenti alle ulteriori fonti di prova (esiti dei servizi di osservazione, delle videoriprese e delle estrapolazioni fotografiche delle stesse), non è stata disgiunta dalla valutazione delle deduzioni difensive, delle quali è stata esclusa la fondatezza, adeguatamente evidenziandosi che;

– alla individuazione del ricorrente, tratta dai chiari riferimenti nelle conversazioni intercettate al nome e all’attività di macellaio dallo stesso svolta a (OMISSIS), non ostava l’omessa menzione del cognome;

– l’atteggiamento del ricorrente all’interno e nei pressi del chiosco, adibito a macelleria e ubicato nei pressi del santuario di (OMISSIS), rilevato dall’espletato servizio di osservazione, era quello del gestore e non dell’avventore, senza che influissero su tale rilievo la sussistente, o meno, sua qualità di effettivo titolare dell’esercizio alla persona e la titolarità dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività nel luogo;

– l’accesso presso l’indicato chiosco di O.D. e di altri esponenti criminali del mandamento di Reggio e di quello tirrenico era stato rilevato dal servizio di videoripresa e di estrapolazioni fotografiche, lo stesso avendo consentito di identificare i singoli soggetti intervenuti all’atto del loro arrivo e del loro allontanamento;

– il timore di eventuale controllo e di una cattura del ricorrente, emergente dalla conversazione dello stesso con il coniuge, intercettata il 19 marzo 2010, confermava la rilevata appartenenza al sodalizio.

3.3. Tale sviluppo argomentativo della motivazione è, quindi, fondato su una coerente analisi critica degli elementi indizianti, ritenuti essenziali, e sulla loro coordinazione in un organico, unitario e globale quadro interpretativo, alla luce del quale appare adeguata e plausibile, sul piano logico e su quello giuridico, l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, in quanto ritenuti conducenti, con elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità del ricorrente in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis c.p. allo stesso contestato.

Pertanto, dovendo la valutazione demandata al Tribunale in sede di riesame vertere sull’attitudine dimostrativa degli elementi indiziari in termini di qualificata probabilità di colpevolezza dell’indagato, alla luce dei principi di diritto suddetti, condivisi dal Collegio, la motivazione dell’ordinanza resiste alla verifica del rispetto delle regole della logica, della conformità ai criteri di diritto che governano l’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, demandato a queste Corte, che non può attingere l’intrinseca adeguatezza e congruenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

3.4. A fronte di detto articolato e logico giudizio espresso dal Tribunale, non possono trovare accoglimento le censure del ricorrente, che, prospettate come deduzioni dimostrative della illegittimità e inadeguatezza della motivazione e dell’incorso travisamento della prova, sono volte a impegnare la Corte in una rilettura nel merito delle singole circostanze, in un’alternativa analisi valutativa, estranea, per sua natura, al tema di indagini legittimamente proponibile come oggetto di censura di legittimità.

Non solo, infatti, le doglianze attinenti alla individuazione del ricorrente e alla dedotta omonimia del solo prenome si riferiscono a dati fattuali, emergenti dagli elementi di conoscenza già logicamente valutati, ma anche le doglianze che attengono ai dati probatori che si assumono travisati, non accompagnate dall’allegazione degli atti che tali dati contengono, in contrasto con il principio dell’autosufficienza del ricorso, e dalla deduzione del loro peso reale sulla decisione, in coerenza con i principi che presiedono la deduzione del vizio in rapporto alla resistenza logica del ragionamento del giudice di merito, si risolvono in un dissenso di merito e nella prospettazione di una diversa, alternativa e congetturale interpretazione delle risultanze delle indagini e della specifica consistenza e concludenza dei dati indizianti.

3-5. Il primo motivo è, pertanto, palesemente infondato.

4. Del tutto infondato è anche il secondo motivo che attiene alla mancanza delle esigenze cautelari legittimanti il ricorso a una misura cautelare e dei presupposti per l’applicazione dello strumento coercitivo più afflittivo, per il ritenuto superamento della presunzione di legge al riguardo in forza dell’elemento della incensuratezza del ricorrente e del richiamo agli "argomenti sopra sviluppati", e quindi sviluppati per sostenere l’insussistenza del quadro indiziario di responsabilità.

Il provvedimento impugnato, con argomentazione logicamente sviluppata, dopo aver richiamato il disposto dell’art. 275 c.p.p., comma 3, ha, infatti, ritenuto che l’elevatissimo coefficiente di pericolosità e allarme sociale, derivante dalla gravità della condotta del ricorrente di partecipazione a organizzazione criminale transnazionale, e la mancanza di specifici elementi per ritenere l’insussistenza delle presunte esigenze cautelari, dimostra, nel rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza fissati dalla predetta norma, l’esclusiva idoneità della misura inframuraria in atti.

5. Il ricorso deve essere, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè – valutato il contenuto del ricorso e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione dell’impugnazione – al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

La Cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento del Direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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