Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-06-2011) 18-10-2011, n. 37710

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 15 novembre 2010, il Tribunale di Messina, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., ha respinto le richieste di riesame proposte nell’interesse di G.S.P. e C.T. avverso l’ordinanza del 3 novembre 2010 del G.i.p. dello stesso Tribunale, che aveva applicato nei confronti degli stessi la misura della custodia cautelare in carcere, in relazione ai delitti di cui all’art. 110 c.p., D.P.R. n. 570 del 1960, art. 87, comma 1, e L. n. 203 del 1991, art. 7, per entrambi gli indagati, e al delitto di cui agli artt. 110 e 416 bis c.p., per il primo.

2. Limitando l’esame al solo G., ricorrente in questa sede avverso la predetta ordinanza, si rileva che:

– in rito, il Tribunale ha ritenuto infondata l’eccezione di intervenuta prescrizione dei reati elettorali, sul rilievo che l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 configura un reato diverso da quello di cui al D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 87, comma 2, con conseguente inapplicabilità della prescrizione biennale prevista dal cit. Decreto, art. 100, fortemente derogatoria del regime prescrizionale generale contenuto negli artt. 157 e 160 c.p.;

– nel merito, il Tribunale, dopo aver richiamato i principi di diritto regolanti il riesame della misura cautelare e aver rilevato lo stretto collegamento e la complementarietà tra il provvedimento restrittivo della libertà personale e l’ordinanza che decide su riesame, ha argomentato la decisione, ritenendo la infondatezza delle richieste difensive volte a contestare la sussistenza del quadro indiziario e delle esigenze cautelari, per essere specifici e gravi gli elementi indiziari circa la sussistenza delle fattispecie criminose di cui ai capi b) e c) oggetto di addebito, e la loro riferibilità all’indagato, e ricorrenti le esigenze cautelari.

2.1. Quanto al reato elettorale, di cui al D.P.R. n. 570 del 1960, art. 87, comma 1, gli elementi indiziari erano, in particolare, rappresentati:

– dalle dichiarazioni di L.M.G., detto (OMISSIS), che aveva parlato della indebita pressione fattagli da A. L. in occasione delle elezioni amministrative del comune di (OMISSIS), confermando quanto già dichiarato il 5 febbraio 2010 da F.M., e aveva riferito, in particolare, di non avere accolto l’invito rivoltogli a candidarsi nella lista capeggiata da L.S., aderendo alla formazione politica opposta, e di essersi incontrato qualche giorno prima delle elezioni presso il bar (OMISSIS) con il predetto A. e con G. S., detto (OMISSIS), che, chiamatolo in disparte, l’avevano invitato, trattenendolo per circa mezz’ora, ad attivarsi a favore del "candidato dello schieramento", con toni animati e insistenza per vincere l’opposta resistenza;

– dalle dichiarazioni rese da I.A., che aveva riferito il tenore della richiesta di dirottare il pacchetto di voti, di cui disponeva, a vantaggio del L., rivolto al L.M., che gliene aveva subito parlato, da Le. e (OMISSIS), con toni non concilianti, e lo stato di severo turbamento da lui colto nel L.M., aggiungendo che A.L. e G. S. arano noti sia per essere contigui con ambienti della criminalità locale, sia per avere dimostrato il loro risalente interesse per le sorti elettorali del candidato L.;

– dalle dichiarazioni rese il 12 aprile 2010 da P.D., che aveva riferito di avere personalmente assistito alle gravi pressioni esercitate nei riguardi del L.M. dall’ A. e dal G. e aveva parlato della circostanza, notoria tra i sodali del partito, che alcuni candidati della lista che sosteneva il candidato F. erano stati oggetto di "interesse" da parte di alcuni sostenitori della lista opposta.

Secondo il Tribunale le insistenze espresse nei confronti del L. M., connotate da una pervicacia del tutto peculiare, essendo stato il medesimo trattenuto, in luogo appartato, sull’argomento del voto per "un lasso di tempo di per sè compatibile unicamente con la ferma determinazione … di coartarne a tutti i costi la libertà di voto", e il carattere minaccioso della condotta, tale percepito dal predetto e da chi aveva assistito o ne aveva sentito parlare, evidenziavano il condizionamento spiegato sul L.M. dal G. a dall’ A. in sinergia con C.T., dominus di tale indebito interessamento e figura preminente nella compagine mafiosa locale, mentre non scriminava la condotta di pervicace condizionamento, svolta dal G., la solidarietà già dallo stesso espressa verso il L., a lui legato da rapporti di amicizia e comune passione per la caccia, avuto riguardo al "plateale turbamento provocato dall’azione dello stesso nei sostenitori politici del candidato F. e alle sue cointeressenze illecite" e al coinvolgimento dallo stesso spontaneamente riconosciuto nell’attività di investigazione compendiata nelle operazioni di polizia "Pozzo" e "Vivaio", e, quindi, in sicure cointeressenze illecite, anche se non sfociate nell’applicazione di misure cautelari.

2.2. La condotta ascritta al G. integrava, ad avviso del Tribunale, la fattispecie aggravata di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, sia in relazione alle modalità delle pressioni adottate per convincere il L.M. e riconducibili al c.d. metodo mafioso, per "pervicacia, provocatorietà e idoneità alla intimidazione della vittima", sia per la finalizzazione della condotta ad agevolare l’attività delinquenziale della consorteria, avuto riguardo alle emergenze investigative in ordine alla condotta tenuta da L. S. nella gestione dell’azione amministrativa, volta a saldare il debito con i personaggi del clan che ne avevano sostenuto la candidatura, manifestatasi in particolare in occasione degli eventi meteorologici del dicembre 2008 – febbraio 2009, con l’emanazione di ordinanze urgenti per l’individuazione delle imprese cui conferire l’esecuzione di lavori per la salvaguardia della incolumità pubblica, connotate da evidenti singolarità nella scelta delle ditte individuali, costituite in funzione della esecuzione di attività non compatibili con le competenze richieste, e risultate appartenenti o coinvolgenti gli interessi di soggetti legati al gruppo dei Mazzarroti.

L’indagato G. era, in particolare, il marito di B. A., titolare dell’impresa individuale beneficiaria delle ordinanze sindacali n. 92/08 e 11/04 o 11/09, e il medesimo, titolare di impresa di allevamento di bovini allo stato brado e suini in stalla, era rimasto aggiudicatario di numerosi lavori pubblici, cancellando la sua impresa pochi mesi dopo l’adozione da parte del G.i.p. di provvedimenti cautelari nei confronti, tra gli altri, di C.T., del quale erano stati rimarcati i rapporti di frequentazione con il G., la cui moglie aveva intanto già costituito l’impresa individuale assegnataria degli indicati lavori, senza avere alcuna competenza imprenditoriale.

2.3. Da tali emergenze erano desumibili, secondo il Tribunale, elementi tali da far ritenere integrato un quadro di gravità indiziaria sia dell’aggravante di cui all’indicato art. 7, sia, nei limiti della qualificata probabilità richiesta in questa sede, della qualità di associato esterno del G. rispetto alla già indicata compagine criminale, essendo risultato che il medesimo, piccolo imprenditore legato da un saldo e inquietante rapporto a C.T., che aveva avuto la reggenza della consorteria, aveva conseguito un risultato integrante una ricompensa causalmente riconducibile al rapporto di contiguità allo stesso, ponendosi come imprenditore colluso che, pur privo dell’affectio societatis, aveva dato un contributo specifico, concreto, consapevole e volontario, con efficacia causale, per la conservazione e il rafforzamento della consorteria.

2.4. Le esigenze cautelari erano presunte per legge, come lo era l’esclusiva adeguatezza del più grave regime custodiale.

3. Avverso detta ordinanza, reiettiva della richiesta di riesame, ricorre per cassazione, a mezzo del suo difensore di fiducia, G. S.P. che ne chiede l’annullamento sulla base di quattro motivi.

3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione alla L. n. 203 del 1991, art. 7 e alla previsione del c.d. metodo mafioso per ciò che riguarda il capo b) dell’ordinanza custodiale.

Il ricorrente, in particolare, rileva che non costituiscono elementi sufficienti per configurare il c.d. metodo mafioso la sua conoscenza per motivi di caccia e con contatti limitati nel tempo, in relazione alla campagna elettorale, di C.T., all’epoca incensurato, e l’insistenza nella richiesta di voti a un conoscente nel contesto di una "classica animata discussione", abituale nei piccoli paesi, senza aver mai fatto minacce e senza che le pressioni, soggettivamente avvertite dal L.M., siano state da alcuno collegate alla forza di intimidazione della consorteria mafiosa locale.

3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), violazione della L. n. 203 del 1991, art. 7 e vizio di motivazione sul punto, in relazione alla riconosciuta aggravante, sotto il profilo dell’agevolazione mafiosa, con riguardo al capo b) dell’ordinanza custodiale.

Secondo il ricorrente, indipendentemente dal perseguimento di suoi interessi personali con il suo impegno nella campagna elettorale, era necessario per la sussistenza della contestata aggravante che la vittoria elettorale avvantaggiasse l’associazione mafiosa e che esso ricorrente fosse consapevole di dare un apporto all’associazione mafiosa.

Nè ha rilievo, secondo il ricorrente, l’argomentazione congetturale relativa alla cancellazione dell’impresa e alla costituzione di altra impresa da parte del coniuge, non essendo stata formulata alcuna imputazione a suo carico all’epoca ed essendo state spiegate dal suo commercialista le operate scelte societarie.

Nè prova il dolo specifico del ricorrente la circostanza che il sindaco eletto voleva e sapeva di favorire imprese facenti capo a soggetti malavitosi, mentre non è contestata e non è contestabile l’assoluta necessità e urgenza delle ordinanze di affidamento dei lavori al ricorrente per arginare i danni conseguenti alle alluvioni.

3.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione agli artt. 110 e 416 bis c.p., per ciò che riguarda il capo c) dell’ordinanza custodiale.

Secondo il ricorrente, il Tribunale ha omesso di tenere conto delle specifiche doglianze difensive non adeguatamente rivisitando il quadro indiziario posto a fondamento della misura cautelare, poichè esso ricorrente ha perseguito fini personali e, nel febbraio 2007, si è interessato per scopi personali della competizione elettorale di (OMISSIS), come già aveva fatto in passato ottenendo piccoli incarichi pubblici connessi alla sua qualifica, e dopo la decisione già assunta l’anno precedente con il dott. Ch., medico di famiglia e futuro compare.

La metodologia usata per la ricerca dei consensi elettorali (con richiesta di voto disgiunto e ricerca di voti anche a chi era schierato o candidato) era ordinaria, e il ricorrente, che perseguiva interessi personali, era incensurato ed estraneo ai circuiti criminali e non sapeva che il C. fosse un mafioso, essendo limitata la loro frequentazione alle battute di caccia e al sostegno del candidato L.; nè il ricorrente sapeva che vi fossero patti scellerati tra il politico L. e il mafioso C.; nè i piccoli lavori affidati erano la ricompensa causalmente riconducibile al rapporto di contiguità al C.; nè erano certe le motivazioni del G.i.p. sulle vicende societarie del ricorrente e sui motivi della costituzione della nuova impresa intestata alla moglie;

nè le condotte (opera di proselitismo elettorale e affidamento in tempi straordinari di due modesti lavori pubblici) erano assimilabili a quelle del concorrente esterno, poichè il dolo doveva investire sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione mafiosa.

3.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 275 c.p.p., deducendo la mancanza delle esigenze cautelari, poichè esso ricorrente è incensurato, la sua condotta è stata occasionale in un contesto politico e di relazioni personali non più esistente, è estraneo a ogni circuito criminale, e ha cessato ogni rapporto con il C. dopo le elezioni amministrative del maggio 2007 e comunque con l’arresto dello stesso.

4. In data 16 giugno 2011 è stata depositata memoria difensiva nell’interesse di G.S.P., con la quale, nell’insistere sui motivi di ricorso, si è evidenziato che questa Corte all’udienza del 4 maggio 2011 ha annullato con rinvio per nuovo esame l’ordinanza custodiale nei confronti di A.L., coimputato per il reato di condizionamento del voto elettorale di cui al D.P.R. n. 570 del 1960, art. 87, comma 1, aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7.

Con detta memoria si è anche rappresentato che il Tribunale non ha indicato in che cosa sia consistita la minaccia e le ragioni della ritenuta idoneità della stessa alla costrizione di voto, non avendo il L.M. votato per il L. e non integrando minaccia l’indicata discussione della durata di circa trenta minuti, e si è osservato che il proselitismo elettorale è stato posto in essere con condotte lecite in un quadro di assetti politico-elettorali ben consolidati da anni in cui elemento esclusivo e decisivo era il rapporto personale e familiare tra il ricorrente e il Ch..

5. Nel corso della discussione, all’odierna udienza camerale, la difesa ha depositato copia della dichiarazione di ricorso, datata 4 febbraio 2011, con autonomo motivo, con il quale è denunciata violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazioni – agli artt. 273 e 649 c.p.p., sul rilievo che, per orientamento giurisprudenziale pacifico, l’adozione di una misura cautelare è preclusa per un medesimo fatto già valutato nella fase della cautela, e che, nella specie, i fatti sono stati già valutati dal G.i.p. del Tribunale di Messina con l’ordinanza di rigetto della richiesta di applicazione della misura cautelare in carcere avanzata dalla Procura della Repubblica di Messina nel procedimento penale denominato "Vivaio".

Motivi della decisione

1. Il motivo, con il quale è denunciata la violazione del principio del ne bis in idem, anche quanto al difetto di motivazione, è manifestamente infondato sotto diversi profili.

1.1. Si tratta, infatti, di motivo contenuto in atto, che, pur recando la data del 4 febbraio 2011, è stato depositato solo all’odierna udienza.

E’ conseguente a tale dato fattuale il rilievo della novità del motivo, che, pur non soggiacendo ai limiti temporali previsti dall’art. 585 c.p.p., comma 4, in relazione all’art. 167 disp. att. c.p.p., attesa la previsione normativa dell’art. 311 c.p.p., comma 4, è soggetto alla regola della necessaria sua proponibilità nell’ambito del devolutum, e quindi all’interno dei capi e dei punti che hanno formato oggetto di tempestiva impugnazione, ulteriormente illustrandone le ragioni di diritto e gli elementi di fatto, posti a suo fondamento, in coerenza con la previsione della sua proponibilità entro il limite temporale prescritto a pena di decadenza.

Esaminato in tale ottica, il motivo si presenta del tutto autonomo dai motivi oggetto della originaria impugnazione ed è quindi estraneo al thema decidendum.

1.2. A tale rilievo, che ha valore assorbente, deve aggiungersi, per completezza, la considerazione dell’aspecificità del motivo, da apprezzarsi sotto un duplice profilo: da un lato viene in considerazione la mancanza di correlazione della censura con le ragioni argomentate dalla decisione impugnata, non risultando che la stessa sia stata sottoposta all’esame del Tribunale del riesame, nè che abbia denunciato, facendone oggetto di critica, la motivazione o l’omessa motivazione sul punto da parte dello stesso Tribunale;

dall’altro lato, si rileva la genericità della censura, che, nel riferirsi al procedimento penale denominato "Vivaio", afferma l’evidenza della identità dei fatti valutati nel detto procedimento e in questo, affidando tale deduzione alla inidoneità – ritenuta dal G.i.p. dell’indicato procedimento – degli elementi emersi a supportare l’accusa di partecipazione in associazione mafiosa, senza corredarla con l’allegazione degli atti giustificativi del suo fondamento e con l’indicazione di elementi, suscettibili di valutazione, che ne confermerebbero l’identità. 2. Le argomentazioni svolte in merito alla novità del motivo devono essere estese anche alle deduzioni espresse con la memoria depositata all’udienza odierna, nella parte in cui, richiamando le motivazioni della sentenza resa da questa Corte il 4 maggio 2011 sul ricorso proposto dal coindagato A.L., ne mutuano il contenuto con riguardo alla imputazione, elevata in via provvisoria a carico del ricorrente per il reato elettorale, che non ha formato oggetto dei motivi del ricorso proposto in termini.

3. Il ricorso è, invece, fondato, nelle parti in cui è contestata, nel primo e nel secondo motivo, con riguardo al reato elettorale, l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, sotto il duplice profilo del ricorso al metodo mafioso e dell’agevolazione dell’associazione mafiosa.

3.1. Il Tribunale, che ha ampiamente richiamato le risultanze processuali, specificatamente descritte nel loro contenuto, ha ritenuto che la condotta tenuta dal ricorrente è stata tale da integrare la fattispecie aggravata per le modalità delle pressioni esercitate su L.M.G. per convincerlo ad attivarsi a favore del "candidato dello schieramento" secondo le indicazioni date e per la sua "pervicacia, provocatori età e idoneità alla intimidazione" del medesimo.

Non ha, tuttavia, il Tribunale indicato in che cosa sia consistita la pressione, le modalità della sua espressione e la ragioni per le quali essa sia apparsa pervicace, provocatoria e idonea a intimidire la vittima e a costringerla a tenere la condotta richiesta, e, per tali ragioni, riconducibile al metodo mafioso.

L’aver invitato il L.M. a conferire in un luogo appartato e l’aver discusso per oltre trenta minuti sull’argomento del voto con toni concitati e insistenti, non integra, infatti, di per sè, gli indizi gravi della minaccia giuridicamente valutabili, per il metus indotto dall’associazione mafiosa, ai sensi del contestato art. 7.

Nè la tenuta logica del discorso motivazionale in merito al carattere illecito della condotta del ricorrente è sorretta da riferimenti fattuali e concreti, che vadano oltre la percezione della vittima, che ha affermato di avere resistito alle richieste rivoltegli a favore del candidato L., e le dichiarazioni di coloro che hanno descritto i connotati dell’azione del ricorrente, e del coindagato A. con lui presente, per aver assistito all’approccio "non certo cortese", o perchè ne avevano sentito parlare, e oltre i riferimenti alla fame criminale e al fare spavaldo degli intervenuti.

3.2. Anche sotto il profilo della finalità dell’agevolazione dell’attività delinquenziale della consorteria mazzarrota, la valutazione della gravità indiziaria non supera il vaglio della logicità e della congruità, essendo stata tale finalità illecita ancorata da un lato alla condotta di proselitismo elettorale contestata all’imputato, e dall’altro all’attività politica svolta dal sindaco eletto, L.S., indicato come il beneficiario del proselitismo svolto dai personaggi vicini al clan dei mazzarroti e come il debitore di condotta amministrativa di favore nei loro confronti.

Non emerge, infatti, dal provvedimento impugnato alcuna valida motivazione dalla quale possa dedursi che il comportamento tenuto dall’indagato non abbia avuto un suo personale fine illecito, ma sia stato posto in essere per agevolare il clan mafioso, essendosi al riguardo formulate solo ipotesi che sono riferite all’attività amministrativa di un terzo soggetto, estraneo a questo procedimento, e attengono ai dedotti vantaggi conseguiti dall’indagato e dal coniuge nella loro attività imprenditoriale individuale.

Nè il riferimento al contenuto della conversazione intercettata, intercorsa il 13 febbraio 2009 tra il L. e Bi.Ca., e agli ammonimenti fatti al primo dal secondo, come dominus all’interno del sodalizio criminale di appartenenza, è accompagnato dalla indicazione, in rapporto alla persona del ricorrente, di elementi che indichino lo stesso come beneficiario di favori e ricompense per il suo rapporto privilegiato con il sodalizio.

4. Le argomentazioni svolte nell’ordinanza manifestano la loro limitatezza anche in ordine al reato associativo, la cui gravità indiziaria è stata ravvisata con riguardo alla qualità del ricorrente come associato esterno rispetto alla compagine criminale, in dipendenza della sua qualità imprenditoriale posta in rapporto sinallagmatico con l’associazione, e con la stessa collusa.

Stando al provvedimento impugnato, il ricorrente è rientrato nel genus dell’imprenditore colluso per avere usufruito dell’appoggio della consorteria mafiosa, della quale era membro qualificato C.T., al fine di "lavorare in un determinato contesto territoriale e conseguire significativi guadagni", entrando in rapporto sinallagmatico con la stessa associazione in forza della condotta tenuta di condizionamento del voto, la cui efficacia causale sulle capacità operative dell’organizzazione criminale, che ha determinato le scelte di intervento del primo cittadino, ha formato oggetto di valutazione ex post.

Tale motivazione, tuttavia, suppone l’individuazione di condotte e fatti significativamente idonei a collegare l’attività di proselitismo elettorale, contestata al ricorrente, al sostegno dell’associazione mafiosa, pure ravvisata a carico dello stesso, e a porre la stessa attività in rapporto causale con l’attività imprenditoriale svolta e con i suoi sviluppi.

Nè il Tribunale ha indicato, al di là dei rilievi connessi alla posizione di C.T. nella consorteria locale e alla contestazione delle deduzioni difensive in merito alle ragioni della loro conoscenza, in che cosa si siano esplicati i rapporti tra il predetto e il ricorrente con riguardo alle vicende in esame e si sia in concreto manifestato il loro agire mafioso e il raccordo illecito dei loro ruoli.

5. L’aver trascurato, con motivazione inadeguata, l’approfondimento delle predette circostanze, anche in rapporto alle ulteriori emergenze acquisite, ha determinato lacune motive che rendono necessario l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio per nuovo esame al Tribunale di Messina che, in coerenza con quanto rappresentato, dovrà, in piena autonomia di giudizio ma con motivazione completa e immune da vizi logici, riconsiderare la vicenda cautelare del ricorrente.

La Cancelleria provvederà all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Messina.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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