Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-06-2011) 18-10-2011, n. 37709 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 26 gennaio 2011 il Tribunale di Messina, costituito ai sensi dell’art. 310 c.p.p., ha rigettato l’appello proposto dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Messina avverso l’ordinanza del 17 novembre 2010 del G.i.p. dello stesso Tribunale, che aveva sostituito nei confronti di B.A.T. a misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.

1.1. Il Tribunale, nel ripercorrere la vicenda processuale, rilevava che, fermo restando il giudizio di sussistenza del quadro indiziario, non oggetto di alcun gravame, era condivisibile il giudizio espresso dal primo giudice a proposito della mitigazione delle esigenze cautelari poste a fondamento dell’ordinanza genetica, tenuto conto che, a fronte della contestazione originaria del reato associativo ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e di un consistente numero di episodi di spaccio, la B. non era stata ritenuta gravemente indiziata del delitto associativo ed era stata raggiunta da un quadro indiziario grave riguardo a sei condotte di cessione di sostanza stupefacente di quantità non elevata e di tipo leggero.

Secondo il Tribunale, alla stregua di detti rilevi, non era applicabile la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, e la valutazione, unitamente agli indicati elementi, anche del periodo di restrizione della libertà personale già patito faceva ritenere che il mantenimento della custodia in carcere non era l’unico regime idoneo a fronteggiare il pericolo di recidiva dell’indagata e che le sussistenti spinte delittuose potevano essere infrenate con la misura degli arresti domiciliari.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina, che ne chiede l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), erronea applicazione dell’art. 275 c.p.p., comma 3, e mancanza della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, sul rilievo che il Tribunale è pervenuto al rigetto dell’appello facendo riferimento al decorso di un breve periodo di detenzione e attribuendo allo stesso efficacia deterrente, quasi rieducativa nei confronti dell’arrestato, senza spiegarne le ragioni.

Motivi della decisione

1. Il ricorso, che attiene al solo profilo delle esigenze cautelari, è basato su motivi manifestamente infondati.

2. Deve premettersi che il limite del sindacato di legittimità riguardo alla gravità degli indizi – inteso nel senso che a questa Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario (ex plurimis, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828, e, tra le ultime, Sez. 1, n. 1842 del 11/11/2000, dep. 21/01/2011, e Sez. 1, n. 2687 del 17/11/2010, dep. 26/01/2011, non massimate) – deve essere esteso anche alle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della cautela valutare "in concreto" la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata e logica motivazione al riguardo (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998, Martorana, Rv. 210019).

3. Nella specie, il Tribunale, senza far riferimento al solo decorso del periodo di restrizione della libertà personale già patito dall’imputata, come dedotto in ricorso, ha tratto coerenti elementi di convincimento dal detto elemento temporale unitamente agli altri elementi che ha specificatamente evidenziato, concordando con le conclusioni del primo Giudice in ordine alla mitigazione delle esigenze cautelari rispetto a quelle sussistenti al momento dell’adozione della più rigorosa misura genetica.

Non può revocarsi in dubbio, invero, la congruità delle affermazioni spese dall’ordinanza impugnata sul contenimento del ruolo della B. e sul ridimensionamento del numero e della tipologia dei reati per i quali la medesima è in atto ristretta per la persistente gravità del quadro indiziario, ora riferita a sei condotte di cessione di sostanza stupefacente di tipo leggero e per quantitativi non elevati, a fronte della contestazione originaria per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e per un consistente numero di episodi specifici di spaccio.

4. Nè le svolte argomentazioni sono contrarie ai principi di diritto in materia, che risultano invece esattamente interpretati e applicati, senza che l’invocazione del disposto dell’art. 275 c.p.p., comma 3, espressamente e correttamente escluso dal Tribunale, richiamando il disposto dell’art. 51 c.p.p., comma 3 bis, e l’assenza di gravi indizi per il delitto associativo, sia stata accompagnata da parte del ricorrente da alcuna alternativa interpretazione.

5. Consegue la declaratoria dell’inammissibilità del ricorso.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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