Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-06-2011) 18-10-2011, n. 37708

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 25 novembre 2010 il Tribunale di Napoli, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., ha confermato, previa riqualificazione del delitto di cui all’art. 416 bis c.p., contestato al capo A, nel delitto di cui agli artt. 110 e 416 bis c.p., l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa, in data 20 ottobre 2010, dal G.i.p. dello stesso Tribunale nei confronti di T.R..

1.1. Il contributo associativo del ricorrente, quale partecipe del gruppo bidognettiano del clan dei casalesi, sostanziatosi, secondo la contestazione di cui al capo A della imputazione, nel fornire uno stabile contributo causale mediante appoggio logistico all’azione direttiva e militare dell’associazione, preservando i capi dall’azione di contrasto allo Stato, era fondato sulle dichiarazioni convergenti dei collaboratori di giustizia, S.O., A.M. e D.C.E., che avevano attribuito al predetto il ruolo di avere messo la propria abitazione a disposizione per lo svolgimento di incontri e riunioni tra i sodali del clan camorristico, che in quel tempo era sotto il comando di Se.

G..

1.2. Il T., senza contestare l’esistenza del clan, pacifica perchè accertata in numerosi provvedimenti giudiziari, e l’attendibilità dei detti collaboratori, già oggetto di positivo vaglio in sede giudiziaria, aveva contestato – in sede di riesame – la sussistenza di un grave quadro indiziario circa la sua partecipazione al detto clan sulla base delle imprecisioni, che aveva fatto rilevare, nelle dichiarazioni dei collaboratori.

Il Tribunale, che richiamava le dette dichiarazioni come trascritte nel titolo cautelare, evidenziava che, anche ritenendo che vi erano state alcune imprecisioni da parte del D.C. nella indicazione della posizione dell’abitazione, che lo S. aveva confuso le date del sequestro della Moto Honda e l’ A. non aveva riconosciuto in foto l’indagato, i collaboratori erano stati concordi nell’affermare che le riunioni si erano tenute in una casa in (OMISSIS), raggiungibile imboccando una strada alle spalle del negozio indicato come l'(OMISSIS), e che tale abitazione apparteneva a R., parente di B.A., che faceva il meccanico nel medesimo luogo o nel cortile interno.

I collaboratori avevano anche concordemente indicato il periodo in cui le riunioni si erano svolte (da (OMISSIS)), le persone presenti ( Se., S., D.C., G. e Sa.) e lo scambio delle armi, collocando anche temporalmente l’episodio del sequestro amministrativo della moto Honda, utilizzata da Sa.Sa. per portare a (OMISSIS) una catena d’oro acquistata per incarico ricevuto dal Se. durante una riunione a casa del T., e destinata a un nipote dello stesso Se..

I riscontri oggettivi (rapporto di parentela con B. R., come specificato dal collaboratore S.) e individualizzanti (conversazioni intercorse tra il T. e C.A., nel corso delle quali quest’ultimo aveva alluso al fatto che il cugino del primo, B.A., deteneva qualcosa di suo, e quando questi era stato arrestato aveva esibito la carta d’identità intestata al T.) erano indicati nell’ordinanza cautelare.

1.3. Quanto alla qualificazione giuridica della condotta contestata, allo stato degli atti, all’indagato, non era ravvisabile, secondo il Tribunale, un comportamento ascrivibile a un ruolo dello stesso nell’organizzazione camorristica, quale partecipe, operante organicamente e sistematicamente con gli associati, avuto riguardo alle dichiarazioni dei collaboratori ( D.C. aveva detto che T. non era un affiliato, ma una persona di fiducia di Se.Gi.; S. l’aveva indicato come soggetto che prestava la casa, senza riconoscerlo come partecipante ai summit, e alcune volte aveva assistito allo scambio di armi; A. aveva detto di averlo viso di sfuggita).

La condotta del T. era qualificabile, invece, come concorso esterna in associazione mafiosa, tenuto conto del servigio dallo stesso reso al clan per assicurare la continuazione delle attività illecite, dando la possibilità a Se.Gi., suo amico, di dirigere l’organizzazione e di entrare in contatto con gli altri elementi del clan, nonostante il suo status di latitante, e mentre l’associazione era ancora in atto.

1.4. Quanto alle esigenze cautelari, la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, applicabile nella specie in relazione al delitto ipotizzato, non era travolta dalla emersione di circostanze obiettive su cui fondare un convincimento di recisione dei collegamenti del T. con la criminalità organizzata e di cessazione della sua stabile disponibilità nei confronti del sodalizio.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione personalmente T.R., che ne chiede l’annullamento sulla base di unico motivo con il quale denuncia violazione e falsa applicazione della leggi penale in tema di qualificazione della fattispecie di cui all’art. 416 bis c.p.; inosservanze di norme processuali quanto alla sussistenza delle condizioni di applicabilità delle misure cautelari personali; illogicità, contraddittorietà, difetto di motivazione con riferimento alle deduzioni difensive relative al quadro di gravità indiziaria e alla sussistenza delle esigenze cautelari.

Secondo il ricorrente, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non hanno carattere individualizzante e non presentano attendibilità intrinseca ed estrinseca, mentre l’analisi critica degli elementi indizianti e la loro coordinazione sono state svolte dal Tribunale in modo incoerente, senza rilevare la mancanza del requisito della loro gravità.

Le dichiarazioni dei collaboratori, indicate come estremamente generiche, inattendibili e tra loro contrastanti, come evidenziato nella memoria difensiva depositata in sede di riesame, sono esaminate nel ricorso, riportando per ciascun collaboratore gli elementi di contrasto e le discrasie non valutati dal Tribunale, che ha ritenuto erroneamente che le dichiarazioni fossero concordi.

2.1. Dalle risultanze processuali, valutate alla luce dei principi fissati da questa Corte in materia di partecipazione ad associazioni di tipo mafioso, emerge, ad avviso del ricorrente, che la sua condotta è avulsa da qualsiasi forma di partecipazione al sodalizio.

Nè il Tribunale ha motivato in ordine al ruolo del ricorrente nel sodalizio e agli elementi concreti dai quali sia desumibile la partecipazione cosciente e volontaria dello stesso, omettendo anche di considerare e valutare le dichiarazioni rese dal medesimo in sede di interrogatorio di garanzia quanto alle ragioni della reale presenza del Se. nella sua officina e della tolleranza di tale presenza, l’assenza a suo carico di intercettazioni telefoniche e/o ambientali e il silenzio sul suo conto di altri collaboratori di giustizia.

Secondo il ricorrente, il suo eventuale contributo, ove sussistente, è stato, in ogni caso, estremamente marginale e diversamente qualificabile sul piano giuridico, prospettandosi la contestabilità, in via residuale, del delitto di favoreggiamento aggravato dalla L. n. 203 del 1991, art. 7, per avere egli tollerato, per timore per la propria incolumità, la compresenza del Se. e di altri presso la propria officina, e per non averlo denunciato, atteso il suo stato di latitanza.

2.2. Quanto alle esigenze cautelari, si deduce che erroneamente il Tribunale ha ritenuto non offerte dalla difesa deduzioni idonee a superare la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, essendo stati invece prospettati specifici elementi non oggetto di alcuna valutazione, quali la lontananza dei fatti nel tempo, il limitato arco temporale in cui gli stessi si sono svolti (periodo (OMISSIS)), lo svolgimento di un lavoro stabile e la personalità "non allarmante".

Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato in tutte le sue deduzioni.

2. Deve premettersi che le valutazioni da compiersi dal giudice ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio prognostico di "elevata probabilità di colpevolezza", tanto lontano da una sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure presuntivo, poichè di tipo "statico" e condotto, allo stato degli atti, sui soli elementi già acquisiti dal Pubblico Ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte Cost., sent. n. 121 del 2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent. n. 71 del 1996, sent. n. 432 del 1995).

2.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure cautelari personali, non è richiesto il requisito della precisione e della concordanza, ma quello della gravità degli indizi di colpevolezza, per tali intendendosi tutti quegli elementi a carico ancorati a fatti certi, di natura logica o rappresentativa, che non valgono di per sè a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità dell’indagato e tuttavia sono tali da lasciar desumere con elevata valenza probabilistica l’attribuzione del reato al medesimo (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e altro, Rv. 202002, e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995, dep. 22/11/1995, Tomasello, Rv. 203118;

Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep. 15/04/1999, Capriati e altro, Rv.

212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep. 03/07/2000, Dascola, Rv.

217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep. 09/02/2004, Acanfora, Rv. 227511), e la loro valutazione, a norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, deve procedere applicando, tra le altre, le disposizioni contenute nell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, (Sez. F, n. 31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n. 29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n. 36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441 del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del 04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601).

Relativamente alle regole da seguire, alla stregua del condivisibile orientamento espresso da questa Corte, l’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, nel delineare i confini del libero convincimento del giudice cautelare con il richiamo alle regole di valutazione di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, pone un espresso limite legale alla valutazione dei "gravi indizi".

Con specifico riferimento alla chiamata di correo, l’indicata norma richiede, infatti, che tale elemento conoscitivo per valere quale grave indizio di colpevolezza deve essere apprezzato nella sua attendibilità intrinseca (avuto riguardo alla personalità di coloro che rendono le dichiarazioni, alle loro condizioni socio-economiche e familiari, al loro passato, ai loro rapporti con gli accusati, alla genesi remota e prossima della scelta processuale compiuta, alle caratteristiche di precisione, coerenza, costanza, spontaneità), e nella sua capacità dimostrativa e persuasività probatoria per mezzo dei riscontri esterni individualizzanti, inerenti alle modalità oggettive del fatto descritto dal chiamante e soggettivamente indirizzati, coerentemente agli "effetti rigorosamente ad personam" del provvedimento cautelare al quale la valutazione è strumentale, fermo restando che detta valutazione, avvenendo nel contesto incidentale del procedimento de liberiate e, quindi, come già detto, allo stato degli atti, sulla base di materiale conoscitivo ancora in itinere, deve essere orientata ad acquisire non la certezza, ma l’elevata probabilità di colpevolezza del chiamato (Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, dep. 31/10/2006, P.G. in proc. Spennato, Rv. 234598, citata).

E’ ritenuto, tra l’altro, pacifico che il riscontro possa consistere in altre chiamate in correità, che, per poter essere reciprocamente confermative, devono mostrarsi indipendenti, convergenti in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione e specifiche: la convergenza del molteplice deve cioè essere individualizzante nel senso che le plurime dichiarazioni accusatorie, pur non necessariamente sovrapponigli, devono confluire su fatti che riguardano direttamente sia la persona dell’incolpato sia le imputazioni a lui attribuite.

2.2. Si è, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai limiti che a esso ineriscono, all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del 17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del 12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565; Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre, Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez. 1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331).

Il detto limite del sindacato di legittimità in relazione alla gravità degli indizi riguarda anche il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della cautela valutare "in concreto" la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998, Martorana, Rv. 210019).

3. Nel caso di specie, la ricostruzione dei fatti e l’indicazione del quadro indiziario a carico dell’indagato, operate dal Tribunale, sono conformi ai principi di diritto suddetti, congrui e coerenti con le acquisizioni processuali, richiamate nella decisione, e conformi ai canoni della logica e della non contraddizione.

3.1. Il Tribunale, infatti, esattamente interpretando le norme applicate alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, e dando conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione, ha ritenuto sussistente a carico del ricorrente una solida piattaforma indiziaria, con riferimento alla ritenuta condotta di concorrente esterno in associazione mafiosa, e ha ancorato il proprio giudizio a elementi specifici risultanti dagli atti, dalla cui valutazione globale ha tratto un giudizio in termini di qualificata probabilità circa l’attribuzione della condotta ipotizzata al predetto.

A tali conclusioni il Tribunale è pervenuto attraverso la coerente valorizzazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, la cui attendibilità intrinseca, già positivamente valutata in sede giudiziaria, non era stata contestata in sede di riesame, in rapporto al ruolo svolto dal ricorrente rispetto al gruppo bidognettiano del sodalizio criminale denominato clan dei casalesi, la cui esistenza, accertata e confortata da plurimi provvedimenti giudiziari, neppure era stata contestata.

Nell’ordinanza impugnata si è, in particolare, evidenziato, con ampi richiami al loro contenuto, diffusamente riportato nell’ordinanza genetica, che dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia si trae un nucleo di elementi concordanti e significativi, confluenti sul ricorrente, risultante come la persona, parente di B. A., alla quale apparteneva la casa in (OMISSIS), ove erano tenute le riunioni del gruppo con la presenza anche del latitante Se.Gi., ed esercente attività di meccanico nello stesso luogo o nel cortile antistante l’abitazione, raggiungibile imboccando la strada posta alle spalle del negozio (OMISSIS).

Il Tribunale, che ha anche rappresentato la confluenza delle dichiarazioni in ordine al periodo delle riunioni, alle persone che hanno partecipato alle stesse e allo scambio di armi avutosi, non ha trascurato i riferimenti ai riscontri oggettivi e di carattere individualizzante, che ha analizzato con richiami alle puntuali indicazioni dell’ordinanza custodiate e con riguardo alle dichiarazioni volta volta riscontrate, nè ha omesso di valutare le deduzioni difensive in merito ad alcune imprecisioni delle dichiarazioni dei collaboratori, ritenute di carattere terminologico e recedenti rispetto al complesso degli elementi acquisiti.

Le argomentazioni difensive sono state valutate anche in rapporto alla qualificazione giuridica della condotta del ricorrente, ricondotta, con coerenti e logiche argomentazioni, alla figura del concorrente esterno per avere lo stesso dato la possibilità al Se., in stato di latitanza, di entrare in contatto con altri elementi del clan e di continuare a dirigere l’organizzazione.

La condotta, come delineata, è stata ritenuta dal Tribunale rispondente ai principi di diritto, esattamente interpretati e correttamente applicati, che ne caratterizzano la configurazione giuridica, rispetto a quella di favoreggiamento personale suggerita dalla difesa, e non collegata alla prestazione dell’aiuto a uno o più partecipi in quanto componenti del gruppo criminale.

3.2. A fronte di detta ricostruzione delle emergenze processuali, il ricorrente ha opposto censure che, pur prospettate come deduzioni dimostrative della illegittimità e inadeguatezza della motivazione, sono censure di merito volte a prospettare una lettura alternativa e parziale della vicenda processuale e dei dati fattuali, riproponendo l’analisi delle dichiarazioni dei collaboratori e delle ritenute discrasie del loro racconto, già svolta dal Tribunale in modo del tutto compatibile con le valutazioni richieste nella procedura de liberiate.

Il dissenso di merito è stato, peraltro, espresso dal ricorrente anche richiamando a fondamento delle sue deduzioni atti del processo, non allegati nè integralmente ritrascritti in contrasto con il principio di autosufficienza del ricorso, già elaborato dalle Sezioni civili (da ultimo, Sez. 3, n. 18375 del 07/07/2010, dep. 06/08/2010, Rv. 614390, in motivazione sub 5, non massimata sul punto) e recepito e applicato anche in sede penale con giurisprudenza costante (tra le altre Sez. 1, sent. 6112 del 22/01/2009, dep. 12/02/2009, Rv. 243225), incorrendo, in tal modo, il ricorrente nell’equivoco di fondo di ritenere che sia questa la sede di un ulteriore giudizio del fatto, in contrasto con la peculiare funzione attribuita a questa Corte di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito, cui le parti non abbiano prestato autonomamente acquiescenza, non sia puramente assertiva o palesemente affetta da errori logico-giuridici.

3.3. Del tutto infondate sono anche le argomentazioni svolte con riguardo alla qualificazione giuridica della condotta, che sfociano nell’aspecificità per la mancanza di correlazione con le ragioni argomentate della decisione impugnata, che, inquadrando nei termini detti la condotta del ricorrente ed escludendo l’ipotesi del favoreggiamento, hanno già affrontato le deduzioni ora riproposte, diversamente qualificando la condotta in senso più favorevole al ricorrente.

La deduzione dell’omessa considerazione delle dichiarazioni del ricorrente e della mancanza di intercettazioni telefoniche e/o ambientali e di dichiarazioni di altri collaboratori sono doglianze che, ancora una volta, introducono argomentazioni fattuali, inammissibili in questa sede.

4. Anche sotto il profilo delle esigenze cautelari, il ricorso censura una corretta valutazione del giudice del riesame, opponendo la lontananza dei fatti nel tempo, la durata circoscritta della condotta ascritta, la presenza di un lavoro stabile e la totale incensuratezza, senza correlarsi alle ragioni poste a fondamento della decisione.

Il provvedimento impugnato, con argomentazione logicamente sviluppata, dopo aver richiamato il disposto dell’art. 275 c.p.p., comma 3, ha, infatti, ritenuto che i collegamenti del ricorrente con la criminalità organizzata, la mancanza di prova della loro recisione e la conseguente stabile disponibilità dei medesimo nei confronti del sodalizio, dimostrano, nel rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza fissati dalla predetta norma, l’esclusiva idoneità della misura inframuraria in atti.

5. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè – valutato il contenuto del ricorso e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione dell’impugnazione – al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

La Cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento del Direttore dell’Istituto Penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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