Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-04-2012, n. 5232 Danno da infortunio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 9.3.2010, riformava solo con riguardo al capo sulle spese di lite – interamente compensate – la sentenza di primo grado, per il resto confermata, che aveva accolto l’opposizione all’esecuzione (a precetto, prima e a pignoramento, poi) proposta dall’INAIL nei confronti di T. M., vedova di G.G. e dichiarato la nullità del precetto e dell’intera susseguente esecuzione. Rilevava il giudice del gravame che dal tenore della sentenza del 9.2.1999 del giudice del lavoro di Verbania – passata in giudicato, con la quale era stata riconosciuta la natura professionale del mesotelioma pleurico che aveva colpito il G. e ne aveva determinato l’invalidità del 100% ed il decesso – emergeva che la sola domanda descritta in motivazione ed accolta sia in motivazione che in dispositivo era quella inerente alla declaratoria di riconoscimento della malattia professionale, non essendovi alcun riferimento nel corpo dell’intera pronunzia alla richiesta di risarcimento del danno biologico, essendo peraltro il giudizio instaurato sotto il vigore del D.P.R. n. 1124 del 1965.

Per di più, sebbene si fosse potuto ritenere che tale specifica domanda, formulata dall’originario ricorrente prima del decesso, fosse stata richiamata nell’atto di riassunzione, la mancata menzione della stessa nell’ambito della sentenza conclusiva del procedimento di primo grado avrebbe comportato al più il vizio di omessa pronunzia, ormai sanato dalla formazione del giudicato, per non essere stata la questione sollevata in sede di gravame.

Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso gli eredi di T.M., nelle more deceduta, con due motivi.

Resiste l’istituto con controricorso, illustrato nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo, i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione degli artt. 474, 429, 442, 156 e 161 c.p.c., art. 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, sostenendo che il procedimento interpretativo del titolo esecutivo è affetto da vizi logici e giuridici e che il dispositivo di integrale accoglimento della domanda prevale sulla motivazione, onde sarebbe stato onere del soccombente INAIL impugnare la sentenza, non essendo ravvisabile un vizio di omessa pronunzia, per essere quella di risarcimento del danno biologico ricompresa nella domanda e non essendovi, pertanto, interesse all’impugnativa di una statuizione di accoglimento della domanda.

Ritengono che il giudice del gravame abbia erroneamente ritenuto che la domanda di risarcimento del danno biologico non fosse contenuta nella sentenza emessa dal Giudice del Lavoro di Verbania, incorrendo in erronea applicazione del criterio di interpretazione della sentenza per cui è stata formulata dall’INAIL opposizione a precetto che è sindacabile in Cassazione ed incorrendo in violazione dei principi che regolano la legittimità del titolo in base al quale si può procedere ad esecuzione forzata, censurabile, anche sotto tale profilo, con impugnativa per Cassazione, nonchè, in ogni caso, per violazione di norme di diritto, come affermato dalla Corte di legittimità con sentenza n. 15341/2004.

Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1365 e 2909 c.c., dell’art. 12 preleggi, degli artt. 112 e 113 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed all’art. 111 Cost., oltre che la violazione e falsa applicazione di legge, in relazione agli artt. 91 e 92 c.p.c..

Osservano che il giudice del gravame ha trasceso i limiti che regolano l’estensione della cosa giudicata di cui all’art. 2909 c.c. ed all’art. 12 preleggi, che in tema di interpretazione della legge, prevede che, nell’applicare la stessa, non si possa ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse ed invocano anche l’error in procedendo che comporta nullità della sentenza, asserendo che, poichè con il dispositivo veniva accolto il ricorso, in forza dell’interpretazione del giudice del gravame si perverrebbe ad una statuizione diversa da quella risultante dal dispositivo, limitandone la portata ad alcune domande contenute in ricorso, con conseguente vizio motivazionale della sentenza impugnata, censurabile anche sotto il profilo della violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato previsto dall’art. 112 c.p.c. e della pronuncia secondo diritto di cui all’art. 113 c.p.c. Censurano, altresì, la statuizione relativa alla compensazione delle spese, operata in assenza di soccombenza dell’INAIL. Il ricorso deve essere rigettato. Nella specie trova applicazione il principio secondo il quale la portata precettiva di una pronunzia giurisdizionale va individuata tenendo conto non soltanto del dispositivo, ma anche della motivazione, quando il dispositivo contenga, comunque, come nella specie, una pronuncia di accertamento e di condanna che, in quanto di contenuto precettivo indeterminato, si presta ad integrazione, laddove, quando il dispositivo manchi del tutto ricorre un irrimediabile vizio di omessa pronunzia su una domanda o un capo di domanda, denunciarle ai sensi dell’art. 112 c.p.c., non potendo la relativa decisione, con il conseguente giudicato, desumersi da affermazioni contenute nella sola parte motiva (Cfr. Cass 8 luglio 2010 n. 16152). La diversità della rilevanza del dispositivo nel rito del lavoro invocata da parte ricorrente non implica che il principio sopra enunciato non possa trovare applicazione con riguardo a sentenze pronunciate dal giudice del lavoro, ma va intesa nel senso che, in tale rito, in cui il dispositivo della sentenza non è un atto puramente interno, modificabile fin quando la sentenza non venga pubblicata, ma un atto di rilevanza esterna, immodificabile ed irrevocabile, la decisione è affetta da violazione di legge, che comporta il suo annullamento, se fatto valere in sede di ricorso per cassazione, qualora tale vizio sia riscontrabile sulla base della decisione risultante da dispositivo, a nulla rilevando che nella motivazione siano contenute integrazioni che sarebbero idonee a riportare la sentenza ad una corretta applicazione della legge (Cfr. Cass. 1 luglio 1998 n. 6438).

Quello descritto, però, non è sicuramente il caso verificatosi nell’ipotesi sottoposta all’esame, che presuppone una interpretazione della formula decisoria di cui al dispositivo – espresso in termini di accoglimento della domanda – in connessione con le istanze delle parti in sede di riassunzione del giudizio originariamente proposto dal G..

Tanto considerato, la Corte non ignora il principio espresso dalle S.U. di questa Corte con riguardo alla natura del procedimento di interpretazione del giudicato esterno, assimilato agli "elementi normativi", con la conseguenza che la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, essendo sindacabili sotto il profilo della violazione di legge gli eventuali errori interpretativi.

Corollario di tale principio è stato ritenuto quello ulteriore secondo il quale il giudice di legittimità può direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito (cfr. Cass. s. u. 28.11.2007, n. 24664 e successive conformi, tra cui, Cass. 5.2.2008 n. 2732, Cass., s.u., 9.5.2008 n. 11501). Tuttavia, nello specifico ambito del giudizio di opposizione all’esecuzione, è stato ritenuto, con indirizzo giurisprudenziale di legittimità consolidato, che l’interpretazione del titolo esecutivo consistente in una sentenza passata in giudicato compiuta dal giudice dell’opposizione a precetto o all’esecuzione si risolve nell’apprezzamento di un "fatto", come tale incensurabile in sede di legittimità se esente da vizi logici o giuridici, senza che possa diversamente opinarsi alla luce dei poteri di rilievo officioso e di diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimità, atteso che, in sede di esecuzione, la sentenza passata in giudicato, pur ponendosi come "giudicato esterno" (in quanto decisione assunta fuori dal processo esecutivo), non opera come decisione della controversia, bensì come titolo esecutivo e, pertanto, al pari degli altri titoli esecutivi, non va intesa come momento terminale della funzione cognitiva de giudice, bensì come presupposto fattuale dell’esecuzione, ossia come condizione necessaria e sufficiente per procedere ad essa (cfr., da ultimo, Cass 6 luglio 2010 n. 15852 e, precedenti, in senso conforme, Cass 25.3.2003 n, 4382; Cass. 4.8.2005 n. 16379; Cass. 5.6.2006 n. 19057).

La Corte territoriale ha esaminato compiutamente il dictum della sentenza di cognizione e l’ha interpretata in termini razionali facendo riferimento sia alle espressioni letterali, sia alla ratio (collegata anche alla circostanza che si trattava di fattispecie cui non era applicabile, ratione temporis, il D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, che prevede l’indennizzo del danno biologico), indicando compiutamente le ragioni della interpretazione compiuta, rispetto alla quale i ricorrenti neanche hanno riportato i termini precisi dell’atto di riassunzione, cui si collega la pronunzia di accoglimento. Ed invero, rispetto all’indagine volta ad accertare l’oggetto ed i limiti del giudicato esterno, il giudice non può limitarsi a tenere conto della formula conclusiva in cui si riassume il contenuto precettivo della sentenza pronunziata e divenuta immodificabile, ma deve individuarne l’essenza e l’effettiva portata, da ricavarsi non solo dal dispositivo, ma anche dai motivi che la sorreggono, costituendo utili elementi di interpretazione le stesse domande delle parti, il cui rilievo a fini ermeneutici, se non può essere proficuamente utilizzato per contrastare i risultati argomentagli alla stregua di altri elementi univoci che inducono ad escludere un obiettiva incertezza sul contenuto della pronuncia, può, tuttavia, avere una funzione integratrice nella ricerca degli esatti confini del giudicato, ove sorga un ragionevole dubbio al riguardo (cfr. Cass. 7 febbraio 2007 n. 2721). Negli stessi termini è stato da ultimo affermato che "l’interpretazione del giudicato esterno deve essere effettuata in primo luogo sulla base del tenore letterale del titolo giudiziale, valutato alla stregua del dispositivo e della motivazione che lo sostiene e che solo se all’esito di tale operazione ermeneutica persista un’obiettiva incertezza sul contenuto della statuizione, residua la possibilità di prendere in considerazione le domande delle parti sulla base delle quali il titolo si è formato (cfr. Cass 20 luglio 2011 n. 15902).

Nel caso considerato deve aversi riguardo alla circostanza che il procedimento conclusosi con sentenza divenuta irrevocabile, sulla portata ed estensione della quale si controverte, era stato riassunto a seguito del decesso del lavoratore e che dell’atto di riassunzione non vengono neanche riportate nel presente ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza, le richieste conclusive.

Al riguardo deve osservarsi che, anche se la riassunzione non impone di riprodurre nella comparsa di cui all’art. 125 disp. att. c.p.c. tutte le domande originariamente proposte, possono tuttavia prospettarsi domande qualitativamente e/o quantitativamente minori rispetto a quelle già avanzate al giudice (cfr., sia pure in rapporto ad ipotesi di traslatio iudicii, ex art. 50 c.p.c., Cass. 4 novembre 2004 n. 21162). La censura, che tende ad accreditare una interpretazione diversa da quella accolta dalla sentenza impugnata, è, dunque, infondata, tenuto conto che proprio al contenuto dell’atto di riassunzione il giudice del gravame si era riportato per individuare l’esatta delimitazione del contenuto della domanda ai fini della valutazione della portata del precetto.

Ogni altra doglianza deve ritenersi assorbita dalle considerazioni che precedono onde il ricorso deve essere complessivamente respinto.

Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, vanno poste a carico dei ricorrenti, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per onorari, oltre spese generali IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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