Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 05-05-2011) 18-10-2011, n. 37694 Reato continuato e concorso formale

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 22 giugno 2007 la Corte di Assise di S. Maria Capua Vetere dichiarava:

B.F. colpevole dei delitti rubricati ai capi: 10 (concorso nell’omicidio di Mu.Ta. e P.G.) 22 (concorso nell’omicidio di Ta.Sa.) 24 (concorso nella rapina aggravata in danno di Ca.Fr.) 27 (tentata estorsione aggravata in danno di Ta.Sa. ed altri) e 48 (concorso in estorsione aggravata in danno di G. ed G.A.) e lo condannava, per il primo delitto, alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno di mesi 12, per il secondo ed il terzo delitto, unificati a mente dell’art. 81 c.p., alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per la durata di mesi 5, per il quarto delitto, alla pena di anni 7 di reclusione ed Euro 1000,00 di multa, per il quinto delitto, alla pena di anni 16 di reclusione ed Euro 5000,00 di multa eppertanto, complessivamente, alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno di anni tre.

C.S. colpevole dei delitti rubricati ai capi: 10 (concorso nell’omicidio di Mu.Ta. e P.G.) 45 (concorso nell’omicidio di D.F.R. e, per aberractio ictus, concorso nelle lesioni personali gravissime in danno di Ci.Lu.) 46 (concorso in detenzione e porto illegali di armi da sparo, comuni e da guerra) 48 (concorso in estorsione aggravata in danno di G. ed G.A.) 49 (concorso in detenzione e porto illegali di armi comuni da sparo) e lo condannava, per il primo delitto, alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno di mesi 12, per il secondo ed il terzo delitto, unificati a mente dell’art. 81 c.p., alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per la durata di mesi 6, per il quarto ed il quinto delitto, unificati dal vincolo della continuazione, alla pena di anni 14 di reclusione ed Euro 4600,00 di multa, eppertanto, complessivamente, alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno di anni due.

D.V.A. colpevole dei delitti rubricati ai capi: 48 (concorso in estorsione aggravata in danno di G. ed G. A.) e 49 (concorso in detenzione e porto illegali di armi comuni da sparo) e lo condannava, col vincolo della continuazione, alla pena di anni 14 di reclusione ed Euro 4600,00 di multa.

I.G. colpevole dei delitti rubricati ai capi: 12 (concorso nel tentato omicidio di U.S.) e 39 (partecipazione ad associazione per delinquere di tipo camorristico) e lo condannava, per il primo delitto, alla pena di anni 15 di reclusione e, per il secondo delitto, alla pena di anni 9 di reclusione e, quindi complessivamente, alla pena di anni 24 di reclusione. M.G. colpevole dei delitti rubricati ai capi:

29 (concorso nell’omicidio di U.N.) 34 (concorso nell’omicidio di Ca.Lu.) 35 (concorso nel tentato omicidio di Ca.Do.) 37 (concorso nell’omicidio di C. D.) 42 (concorso nell’omicidio di Mu.Gi.) 43 (concorso nella soppressione del cadavere di Mu.Gi.) e 44 (concorso in detenzione e porto illegali di arma comune da sparo) e lo condannava, per il primo delitto, alla pena dell’ergastolo, per il secondo ed il terzo delitto, unificati a mente dell’art. 81 c.p., alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per la durata di mesi 3, per il quarto delitto, alla pena dell’ergastolo, per il quinto, il sesto ed il settimo delitto, unificati col vincolo della continuazione, alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno di mesi tre eppertanto, complessivamente, alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno di anni tre.

T.C. colpevole dei delitti rubricati ai capi: 39 (partecipazione ad associazione di tipo camorristico) 45 (concorso nell’omicidio di D.F.R. e nelle lesioni aggravate in danno di Ci.Lu.) 46 (concorso in detenzione e porto illegali di armi da sparo, comuni e da guerra) e 47 (concorso nella detenzione illegale di munizioni ed armi da sparo, comuni e da guerra e nella ricettazione delle stesse e di una autovettura Fiat Punto) e lo condannava, con l’applicazione della circostanza attenuante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8, per il primo delitto, alla pena di anni 4 di reclusione e per gli altri tre delitti, unificati col vincolo della continuazione, alla pena di anni 15, eppertanto, complessivamente, alla pena di anni 19 di reclusione.

2. All’esito del giudizio di secondo grado, richiesto da tutti gli imputati innanzi menzionati, la Corte di Assise di Appello di Napoli, con sentenza del 24 novembre 2009, dichiarava non doversi procedere nei confronti di T.C. in ordine ai reati di cui ai capi 46 e 47, nonchè in ordine al reato di lesioni di cui al capo 45, perchè estinti per prescrizione, riconosceva il vincolo della continuazione tra i reati 34, 35 e 37 ascritti a M.G. e per l’effetto rideterminava la pena a carico di T.C. in anni 16 di reclusione e riduceva ad anni due l’isolamento diurno a carico di M.G., confermando nel resto l’impugnata sentenza di prime cure.

3. Le vicende di causa, per quanto di interesse nel presente giudizio di legittimità, possono essere in tal guisa riassunte:

Capo 10, duplice omicidio ai danni di Mu.Ta. e P. G. e reati connessi di porto e detenzione di armi.

Per questo reato sono stati condannati B.F. quale mandante, con altri estranei al processo, e C.S., quale co-esecutore materiale.

La causale dell’omicidio è stata individuata dai giudici di merito nella decisione assunta dai vertici della "Nuova Famiglia" camorristica dei casalesi, di eliminare quanti avevano, in passato, aderito alla NCO di Raffaele Cutolo, tra i quali il Mu., il quale aveva in animo di percorre un proprio autonomo percorso criminale.

Il sostegno probatorio della decisione è stato indicato dai giudicanti nelle dichiarazioni autoaccusatorie ed accusatorie di Di.Lu., D.S.D., A.C., D.D. L., L.C., Di.Al. e Ci.Fr..

Capo 12, tentato omicidio di U.S. e connessi reati di porto e detenzione di armi.

Per questi reati, commessi in (OMISSIS), è stato condannato I.G. per aver deciso, insieme ad altri, l’azione delittuosa e per averla eseguita materialmente.

Su tale vicenda hanno fatto dichiarazioni collaborative U. A., autoaccusandosi dei delitti, D.D.L., riferendo circostanze direttamente conosciute, Pe.Ad., D. L., L.C..

Il movente dell’azione delittuosa è stato individuato dai giudicanti nella lotta tra cosche contrapposte, interessate alla gestione del racket in agro di (OMISSIS).

Capi 22, 24 e 27, omicidio di Ta.Sa. e reati connessi in materia di armi e di tentata estorsione aggravata ai danni del medesimo.

Per questo reato, consumato in (OMISSIS), nell’androne di casa della vittima, è stato condannato B. F., quale mandante, secondo l’accusa per non avere la vittima corrisposto la tangente impostagli in relazione a piccoli lavori che la stessa, piccolo imprenditore, stava eseguendo in S. Tammaro.

A sostegno probatorio della condanna i giudici di merito hanno richiamato le dichiarazioni autoaccusatorie di A.A., di Ma.Cl., anch’esse autoaccusazione, di D. A., di So.Pi., di Di.Lu. e di D.D. L.. Capo 29, omicidio di U.N., consumato tra il 10 e l’11 gennaio 1991, davanti all’abitazione della vittima, in Villa Literno. Per questo reato è stato condannato M.G., mandante dell’omicidio, motivato con la necessità criminale di eliminare un confidente dei CC. Fonti probatorie della condanna sono state le chiamate in correità di D.D.L., esecutore materiale dell’uccisione e Di.Lu., mandante anch’egli dell’azione delittuosa, unitamente al M., e portatore di una ulteriore causale omicidiaria, data dalla volontà di vendicare la morte di Pa.Vi., parente del B., ucciso in seguito ad un litigio provocato da U.N..

Dichiarazioni confermative richiamate in motivazioni sono riferite ai collaboratori di giustizia L.C. e T.C..

Capi 34 e 35, omicidio di Ca.Lu. e tentato omicidio di Ca.Do., consumati nel tardo pomeriggio del (OMISSIS) presso l’officina di tale At.Gi., in (OMISSIS), alla presenza di due operai, per i quali sono stati condannati M.G., come mandante dell’esecuzione, inserita dai giudicanti nello scontro armato violentissimo tra i casalesi di Sc.Fr. detto (OMISSIS), nel cui ambito operava il M. ed i fuoriusciti dal clan, tra i quali C. S., al quale le vittime dell’attentato erano considerati vicini. Fonti probatorie della condanna del M. sono state individuate dai decidenti nelle dichiarazioni di D.D.L., esecutore materiale dell’azione delittuosa su mandato dello stesso M., Di.Al., anch’egli mandante dell’attentato unitamente a quest’ultimo, Di.Lu., L.C. e T.C.. Capo 37, omicidio di Ca.Do., commesso il (OMISSIS) in una pubblica via di (OMISSIS), per il quale è stato condannato M.G., mandante dell’omicidio nel quadro del progetto criminale unitario individuato come movente dell’attentato del (OMISSIS), nel quale la vittima era rimasta ferita ed il figlio ucciso.

I collaboranti richiamati in motivazione a sostegno probatorio della decisione sono ancora D.D.L., Di.Al., D. L., L.C., T.C..

Capi 42, 43 e 44, omicidio di Mu.Gi. e soppressione del suo cadavere.

Per queste condotte è stato condannato M.G., mandante delle azioni delittuose, nell’ambito di una vicenda ricostruita sulla base delle dichiarazioni collaborative di D.D.L., autoaccusatosi dell’omicidio e del suo occultamento, di Di.

A., Di.Lu., L.C., concordi nel ritenere che l’azione punitiva venne decisa dal mandante perchè la vittima, assuntore di stupefacenti, "stava dando fastidio" assumendo iniziative criminali in proprio, fino alla partecipazione ad un omicidio non deciso dal capocosca.

Capi 45 e 46, omicidio D.F.R. e reati connessi in materia di armi e lesioni cagionate a Ci.Lu., casualmente presente sul luogo della sparatoria.

Per tali reati sono stati condannati C.S. e T.C., reo confesso quest’ultimo nell’ambito della collaborazione iniziata.

Tele omicidio viene collocato dai giudicanti nella lotta tra clan rivali, Sc., detto (OMISSIS), da una parte e B. dall’altra, non più sodali tra loro per iniziative scissioniste di B.A., figlio di F., detenuto in carcere quest’ultimo, volte al controllo della lucrosa tangente, accertata nella somma mensile di 20.000.000 di lire, imposta ai gestori degli impianti di deputazione di Villa Literno.

Fonti collaborative per l’accertamento della vicenda sono state indicate dai giudicanti in Di.Al. e Di.Lu., i quali hanno spiegato che il D.F. era l’incaricato dei B. presso il depuratore di Villa Literno, ove lavorava, e che fu assassinato alle ore 12 del (OMISSIS) dopo un breve inseguimento in auto.

Reo confesso dell’esecuzione materiale dell’omicidio e della sua programmazione è T.C., collaboratore di giustizia, che accusa del mandato omicidiario il C., rappresentante in loco dello Sc. e nemico dei B..

Conferme alla ricostruzione dei fatti rinvengono i giudicanti nelle dichiarazioni dei fratelli Diana, già innanzi menzionati, L. C. e Ci.Fr..

Capo 47, violazione della legge sulle armi e ricettazione di esse, nonchè di un’autovettura di provenienza furtiva.

Tali condotte sono state imputate a T.C., il quale per questo è stato condannato, avendo egli ammesso le sue responsabilità e dato conto delle ragioni criminali sottese a tali condotte.

Capo 48, estorsione continuata ai danni dei gestori degli impianti di depurazione di Villa Literno.

Per questo reato sono stati condannati B.F., C.S. e D.v.A., sulla base delle numerose testimonianze delle pp.ll. e delle dichiarazioni dei collaboranti Di.Al. e Lu., T.C., U.A., Ci.Ra. e F.R..

Capo 49, detenzione e porto aggravati di armi da sparo per eseguire il delitto estorsivo di cui al capo 48.

Il 9 gennaio 1998 esponenti della cosca liternese dei T., legata a quella casalese degli Sc., dettero vita ad una irruzione armata a scopo intimidatorio presso l’area del depuratore di Villa Literno, per affermare la loro preminenza malavitosa sul contrapposto gruppo facente capo ai Bidognetti.

Di tale condotta sono stati ritenuti colpevoli, tra gli altri, C.S. e D.V.A., in base alle dichiarazioni di T.C. e del dipendente della società di gestione, Al.Ma..

Capo 39, partecipazione all’associazione per delinquere di tipo camorristico operante in Villa Literno, contestata a T. C. e I.G..

Il T., si ribadisce, ormai collaboratore di giustizia, ha ammesso le sue responsabilità, mentre a carico di I. G. i giudicanti hanno valorizzato le dichiarazioni accusatorie di Di.Lu., D.D.L., L.C. e dello stesso T.C., nonchè la partecipazione dell’imputato al tentato omicidio di U.S. di cui al capo 12. 4. Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati.

4.1.1 B.F., assistito dal suo difensore di fiducia ed anche con ricorso personalmente redatto, denuncia difetto di motivazione in relazione ai criteri valutativi delle chiamate di correo e di quelle in reità, nonchè in relazione al disposto dell’art. 125 c.p. in particolare.

La difesa ricorrente, dopo una premessa relativa ai principi giurisprudenziali circa il valore probatorio delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, sia quali correi ovvero quali meri accusatori, sottolineando che nello specifico, questi ultimi, riportano spesso accuse de relato in quanto a conoscenza di fatti e circostanze perchè inseriti in ambienti ed in gruppi malavitosi, affronta partitamente le singole contestazioni giudicate nei due gradi di merito.

Capo 10: concorso nell’omicidio di Mu.Ta. e P. G..

Al riguardo osserva la difesa ricorrente che:

– i giudicanti hanno probatoriamente valorizzato le chiamate in correità di Di.Lu. in ordine al concorso morale nel duplice omicidio, dello stesso Di., questa volta chiamante in reità in ordine alla fase esecutiva del delitto, D.S.D., chiamante in correità, Di.Al., chiamante in reità, A. C., chiamante in correità e B.D., chiamante in reità con dichiarazione resa nel corso del giudizio di appello;

– i predetti collaboratori hanno evocato il movente del delitto perchè già inserito il Mu. nella N.C.O. di Raffaele Cutolo, gruppo perdente rispetto a quello dei casalesi, che ne decretò e richiese la morte;

– l’assunto riferito dai collaboratori non ha però alcun conforto esterno ovvero riscontro estrinseco;

– l’ufficiale di P.G. Se.Um., all’udienza del 25.4.2004, confermò, sulla base di risultanze probatorie precise, che il duplice omicidio poteva inseririsi in un diverso contesto criminale, quello che avrebbe condotto ad U.A., ed alla guerra per bande per il controllo dell’estorsione ai danni dei gestori dell’impianto di depurazione, movente escluso dai giudicanti solo perchè non reo confesso l’ U. stesso, nel frattempo divenuto collaboratore di giustizia, di tale condotta;

– eppure tale ultima ipotesi ha il conforto di una perizia balistica sulle armi sequestrate e rinvenute in possesso dell’ U. e sui bossoli lasciati dagli autori del delitto, secondo il perito compatibili, questi ultimi, con le armi predette;

– detta consulenza meritava più attenta considerazione perchè contrastata da altra perizia di ufficio, redatta però soltanto 15 anni dopo il delitto, perizia confermata da una super perizia;

– ma tale super perizia nega la compatibilità dei bossoli esaminati con il fucile a pompa presumibilmente utilizzato da C. S. per consumare il duplice omicidio;

– questa circostanza nega la veridicità di quanto affermato dal collaborante Di.Lu., il quale sul punto della materiale esecuzione dell’omicidio e dell’arma utilizzata per consumarlo, assume per i giudicanti la veste non più di chiamante in correità, ma di mero chiamante in reità;

– elementi oggettivi di prova non risultano acquisiti al processo, nè a sostegno dell’ipotesi accreditata dai giudicanti, nè a sostegno di quella indicata dalla difesa, di guisa che difetta nella fattispecie un valido riscontro all’accusa nei confronti dell’imputato in ordine al reato in esame;

– la sentenza di secondo grado, richiamando quella di prime cure, ipotizza una mandato omicidiario dell’imputato all’esito di una riunione malavitosa (non si sa dove, quando e con chi) mandato dato per il ruolo di vertice dell’organizzazione ricoperto dal B., mentre è circostanza pacifica che al vertice dell’organizzazione dei casalesi, in quel momento storico, si trovava D.F.V..

Capi 22, 24, 27: concorso nell’omicidio di T.S. e reati connessi di rapina aggravata in danno di Ca.Fr. e tentata estorsione aggravata in danno dello stesso T., Fe.An. ed altri. Al riguardo osserva la difesa ricorrente che:

– i giudicanti di merito si sono limitati a richiamare la sentenza cd "(OMISSIS)" al fine di riscontrare le dichiarazioni dei vari collaboratori di giustizia, che indicano in B. il mandante dell’omicidio;

– sono stati depositati numerosi atti giudiziari di pari rilevanza giuridica e processuale, in particolare la sentenza sulla "strage di (OMISSIS)", minuziosamente descrittiva della storia criminale dei gruppi camorristici operanti nel territorio di Maddaloni ove avvenne l’omicidio di cui all’imputazione;

– detti atti e detta sentenza, del tutto immotivatamente, sono stati però ignorati, a beneficio dell’altra e delle propalazioni collaborative;

– eppure la vittima, T.S., sottoposto ad estorsione, operava e lavorava in territori non sottoposti al controllo dell’imputato ma del ben più potente D.F.V.;

– ciò posto avrebbe dovuto spiegare la sentenza impugnata perchè l’imputato ebbe la possibilità di sconfinare in una zona non di sua "competenza";

– non è provato che il T. abbia fatto dichiarazioni processuali sfavorevoli all’imputato;

– non probanti sono le dichiarazioni, contraddittorie e oggettivamente errate, del collaboratore A., nè quelle di altri dichiaranti, peraltro de relato e con fonte informativa data dallo stesso A.;

– neppure di peso probatorio apprezzabile sono le dichiarazioni testimoniali dei congiunti della vittima, i quali, dieci anni dopo i fatti, ricordano circostanze che non ricordarono nell’immediatezza dei fatti;

– palese, pertanto, il difetto di motivazione.

Capo 48; estorsione ai danni dei gestori degli impianti di depurazione dei "Regi Lagni".

Al riguardo osserva la difesa ricorrente che:

– palesemente carente appare la motivazione impugnata là dove liquida le osservazioni difensive in ordine alla impossibilità, da parte dell’imputato, a partecipare alla contestata estorsione continuata dappoichè detenuto;

– l’argomento per questo utilizzato e cioè che il B. è stato arrestato nel 1993, mentre l’estorsione di cui all’imputazione avrebbe avuto inizio otto anni prima, nel 1985, è smentita dal fatto che l’imputato risulta altresì detenuto dal 1982 al 1988 e che nel periodo estorsivo il prevenuto non ricopriva ruoli apicali dell’organizzazione;

– nessuno dei collaboratori afferma di aver visto la consegna delle tangenti al B., a parte D.L., che ha parlato di consegne da parte del D.F. nelle mani di B.A., figlio dell’imputato;

– non credibile deve infine ritenersi l’apporto dichiarativo dell’ultima ora di B.D. (pentitosi nella fase dell’appello) dappoichè questi ha negato la sua partecipazione all’estorsione in parola pur in costanza delle precise accuse a suo carico da parte del collaboratore Di.Al..

4.1.2 Il ricorso del B. è manifestamente infondato, giacchè volto ad una alternativa ricostruzione degli accadimenti che hanno coinvolto l’imputato in costanza di una motivata e logica affermazione di colpevolezza ed, almeno in parte, ripetitivo di doglianze di merito adeguatamente confutate dal collegio di secondo grado. Più nel dettaglio.

A. Quanto alla contestazione di cui al capo 10 (omicidio di Mu.

T. e P.G.) i giudicanti hanno richiamato le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, numerosi, e le loro concordi ricostruzioni accusatorie, riscontrate dagli esiti della rinnovazione dibattimentale richiesta difensivamente, esiti negativi per la difesa. In particolare, attesa la ribadita doglianza di legittimità, la Corte di merito ha richiamato gli esiti della super perizia di un esperto dei ROS dei CC di Roma, che hanno smentito le conclusioni peritali del gen. Sc.Ar. e confermato, viceversa, la incompatibilità dei reperti balistici repertati sul luogo del delitto con le armi sequestrate all’ U., fondamento questo della tesi difensiva del B..

Ha inoltre la Corte di merito opportunamente valorizzato la dettagliata, puntuale e genericamente contestata dichiarazione collaborativa resa da B.D. nel corso del giudizio di appello, dichiarazione pienamente confermativa del movente indicato dall’accusa e delle modalità esecutive dell’azione omicidiaria.

B. Quanto alle contestazioni di cui ai capi 22, 24, 27 (concorso nell’omicidio di T.S. e reati connessi di rapina aggravata in danno di Ca.Fr. e tentata estorsione aggravata in danno dello stesso T., Fe.An. ed altri) la Corte di merito ha valorizzato le chiamate in correità dei pentiti A. e Ma. nonchè le confessioni di Bu.

D. e D.G.G. e, con esse, la dichiarazione collaborativa resa nel coso del giudizio di appello da Mo.

C., tutti componenti della cosca direttamente interessata all’omicidio T. e, quindi, a conoscenza dei fatti di causa.

A ciò la difesa ha opposto in questa sede di legittimità una generica critica delle dichiarazioni dell’ A., l’erronea qualificazione "de relato" di quanto affermato dai pentiti, che hanno invece riferito altresì di circostanze direttamente conosciute, la critica in fatto delle testimonianze dei familiari della vittima, anch’esse fortemente sfavorevoli all’imputato.

C. Quanto infine al capo 48 (estorsione ai danni dei gestori degli impianti di depurazione dei "Regi Lagni") del tutto logicamente ha la Corte di merito smentito le argomentazioni difensive, rilevando che lo stato detentivo non impediva certo il coinvolgimento dell’imputato, comunque personaggio importante del clan malavitoso, nell’estorsione in argomento, che l’ipotesi accusatoria è stata robustamente confermata dalle dichiarazioni rese in appello del collaborante B.D., chiamante in correità e cugino dell’imputato, da questi indicato come vero capo del racket e beneficiario delle consegne del "pizzo". Ha annotato opportunamente poi la Corte di secondo grado che nessuna delle numerose dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia è stata specificamente contestata dalla difesa.

4.2.1 C.S., assistito dal suo difensore di fiducia, illustra tre motivi di impugnazione 1. Col primo di essi denuncia in particolare la difesa ricorrente violazione di legge ( art. 192 c.p.p., art. 530 c.p.p., comma 3 e art. 533 c.p.p.) in relazione al concorso nell’omicidio di Mu.Ta. e P.G., contestato al capo 10 della rubrica, in particolare osservando al riguardo che:

– Mu. voleva il controllo di Villa Literno e fu ucciso per questo da U. dopo che questi aveva eliminato dalla scena T.P., suo cognato;

– tanto viene affermato da Sc.Ca. che dell’esecuzione fu il mandante;

– se così è C.S. non ha responsabilità alcuna nel fatto reato de quo;

– la sentenza non motiva in ordine alla inattendibilità di Sc.Ca. e su quella di Bo.Ri. che conferma tale versione;

– la sentenza impugnata neppure motiva sulla inattendibilità della prima perizia balistica che aveva affermato la compatibilità dei bossoli rinvenuti sulla scena del delitto con le armi sequestrate ad U.;

– U., il cui ruolo viene sottovalutato immotivatamente dai giudicanti, era in realtà il naturale successore del T., da lui eliminato, per il controllo camorristico della zona di Villa Literno;

– U., ormai collaboratore di giustizia, non ha confessato l’omicidio in esame perchè, verosimilmente, teme per i familiari, per i complici in libertà ovvero per altri motivi non riconoscibili allo stato;

– i collaboranti D.S.D., Al.Ca., D.D. L. non sono attendibili, come dimostrato anche con i motivi di appello, nei quali diffusamente vengono evidenziate incongruenze, contraddizioni, errori oggettivi, e con essi una serie diffusa di questioni giuridiche sulle quali la sentenza sorvola;

– sorvola la sentenza impugnata anche sulle osservazioni fatte su Di.Al., che ripete solo quello che gli ha riferito il fratello, e che si è pentito a processo in corso, eppertanto dopo aver letto giornali ed atti processuali;

– la condanna si fonda sulle dichiarazioni di Di.Lu., D. A. e D.S.D., di guisa che si rendeva necessario la confutazione in motivazione delle osservazioni difensive, viceversa omesse per Di.Al. ed illustrate genericamente per Di.

L. (ventenne all’epoca dei fatti, quindi con ruoli necessariamente marginali);

– i collaboranti non fanno dichiarazioni convergenti nemmeno sugli esecutori materiali del delitto, perchè i Di. inseriscono altresi Z.A.;

– gli altri pentiti parlano de relato, mentre Sc.Ca., non creduto dai giudicanti, parla non de relato;

– la sentenza non motiva sui diffusi contrasti delle dichiarazioni assunte a fondamento probatorio della decisione;

– contraddittoria è la prova sul movente, sui mandanti e sugli esecutori materiali e la motivazione non scioglie affatto i dubbi, ma apoditticamente accredita una versione a sfavore dell’altra, con ciò violando i principi in tema di valutazione della prova.

2. Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente la nullità della sentenza nella parte in cui ha dichiarato la colpevolezza del C. in relazione all’omicidio di D.F. R. ed ai reati a questo connessi (lesioni in danno di Ci.Lu. e violazione della legge sulle armi) capi 45 e 46, per violazione di legge ( art. 192 c.p.p., art. 530 c.p.p., comma 2, artt. 533 e 521 c.p.p.) e difetto di motivazione, in particolare osservando che:

– v’è stata violazione dell’art. 521 c.p.p. in quanto la contestazione imputa al ricorrente il concorso materiale nell’esecuzione dell’omicidio, mentre la condanna è stata inflitta sul presupposto di una condotta totalmente diversa, il concorso morale nell’omicidio, avendo l’imputato rafforzato l’intendimento omicida del T.C.;

– su tali premesse non è legittimo invocare il principio di continenza dappoichè il concorso materiale conterrebbe quello morale;

– l’imputato non ha potuto difendersi da un’accusa del tutto diversa da quella contestatagli e gli atti avrebbero dovuto, pertanto, essere trasmessi al P.M. per una nuova contestazione, omissione processuale, questa denunciata, che rende nulla la sentenza impugnata in parte qua;

– la condanna si fonda, inoltre, su un preteso incontro tra il ricorrente e T.C., nel corso del quale si rese operativo un piano criminale inteso ad eliminare dalla scena di Villa Literno e dal racket concernente il depuratore la parte della cosca facente capo ai Bidognetti;

– tale quadro non ha però riscontro nella realtà storica delle vicende malavitose della zona;

– non vi era allora alcuna divisione tra le famiglie Schiavone e Bidognetti, ma una scissione interna al gruppo Bidognetti, tra Di. e C., da una parte, ed i figli di B. F. dall’altra;

– il T. riferisce del suo contrasto con i B. al quale apparteneva la vittima, D.F.R. ed il progetto omicida per riconquistare le tangenti imposte sull’attività del depuratore era tutto di T.C.;

– C. in tutto ciò non poteva rappresentare nulla e la sentenza non motiva sul suo ruolo e sul perchè avrebbe dovuto incontrare T. e, soprattutto, su quanto dichiarato dal T. stesso in ordine all’omicidio in parola;

– la sentenza non risponde alle critiche in tal senso proposte con l’appello;

– non v’è alcuna valutazione critica in ordine alle dichiarazioni accusatorie di Di.Lu.;

– C. non compare in alcuna fase decisoria circa l’azione omicida, nè compare nel processo l’istigazione all’omicidio ovvero una qualche condotta riconducibile al rafforzamento di una decisione in realtà presa da altri e da altri seguita ed eseguita;

– le conclusioni dei giudicanti appaiono per questo apodittiche perchè del tutto pretermesse le ragioni dell’appellante ed i rilievi dell’atto d’appello;

– la sentenza si fonda su un preteso unico incontro, ignorando l’accaduto precedente e le dichiarazioni di Di.Lu., degli zii di T.C. e quelle di Za.Mi..

3. Col terzo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente la nullità della sentenza nella parte in cui ha dichiarato la colpevolezza del C. in relazione alla estorsione aggravata a carico dei gestori degli impianti di depurazione di Villa Literno, capo 48, per violazione di legge (art. 192, art. 530, comma 2, art. 533) e difetto di motivazione, in particolare osservando che:

– secondo i giudicanti di merito l’imputato avrebbe servito due padroni, dapprima B.F. e poi T.C., tanto da essere coinvolto nell’omicidio D.F., appena detto e da far intervenire suoi uomini nella irruzione a danno dei gestori del depuratore di (OMISSIS);

– gli assunti sono apodittici e non riscontrati;

– l’atto di appello aveva sottolineato la mancanza di specifici coinvolgimenti dell’imputato nell’estorsione contestata;

– Di.Lu. nelle sue dichiarazioni non coinvolge il C.;

– T.C. prova che la gestione dell’estorsione era affare di famiglia;

– quando il T. parla di partecipazione al blitz del (OMISSIS) organizzato dallo zio, indica Co.Da. e Pa.Fr., non si sa a quale titolo affiliati all’imputato;

– tale affiliazione, desunta da una dichiarazione indiretta, è però rimasta senza riscontro e senza motivazione;

– U.A. non indica C. e conferma che l’affare depuratore era della famiglia Tavoletta;

– Ci.Fr. viene smentito da T.C., che mai ha riferito di colloqui tra lo zio A. e C., che pertanto non possono mai aver discusso della eliminazione del D. F.;

– nè Di.Al., nè F.R., nè D.D. parlano del C.;

– la sentenza non motiva sui rilievi esposti con l’appello e perviene ad affermazioni di colpevolezza sulla base di mere affermazioni apodittiche e senza alcun riscontro alle dichiarazioni del T. e del Ci..

4.2.2 Il ricorso di C.S. è fondato, nei limiti che si esporranno, quanto al secondo motivo di impugnazione, mentre è infondato nel resto.

A. E’ in particolare, infondata la doglianza di legittimità con riferimento al primo motivo di censura, relativo alla confermata colpevolezza dell’imputato per l’omicidio di Mu.Ta. e P.G. contestato al capo 10 della rubrica, motivo con il quale la difesa ricorrente ribadisce in questa sede la tesi, alternativa a quella motivatamente espressa dai giudicanti di merito, secondo cui il responsabile dell’azione omicidiaria in discorso sarebbe U.A., per questo accusato da Sc.Ca. e Bo.Ri., sulle cui denunciate inattendibilità, lamenta la difesa, nulla avrebbe motivato il giudice di secondo grado. La Corte di merito, viceversa, ha diffusamente, logicamente e correttamente articolato ed illustrato le ragioni di fatto e giuridiche giustificative dell’impugnata condanna e lo ha fatto, preliminarmente, dimostrando l’illogicità di un mandato omicidiario affidato dal clan a persona diversa da T.P., capo- zona di Villa Literno, evidenziando quindi l’assenza di seri motivi di contrasto tra l’ U. e la vittima, nonchè l’assenza dell’ U. da Villa Literno al tempo dell’omicidio e richiamando, poi, gli esiti delle numerose collaborazioni di pentiti, dichiaranti sia per conoscenza diretta che de relato, tutte concordi nell’indicare i mandanti dell’omicidio ( B. ed A.) le sue motivazioni (l’una riferita al B. e l’altra all’ A.) e le responsabilità, tra gli altri, del ricorrente stesso come esecutore materiale insieme a Bi..

La Corte di merito, inoltre, ha motivatamente sostenuto l’affidabilità e la spontaneità delle dichiarazioni collaborative, peraltro tutte convergenti nei loro nuclei essenziali e decisivi.

L’ulteriore indicazione da parte del Di. di Z.A. come esecutore materiale del medesimo delitto è stata anch’essa diffusamente trattata dalla Corte di merito, la quale ha motivatamente sminuito la discrasia denunciata in ricorso, evidenziando che lo Z. è stato non l’esecutore materiale, ma l’autista del commando, circostanza questa che giustifica (ed è logica deduzione) il dire del Di..

Sulle risultanze della super perizia balistica già si è detto a margine della posizione del B., mandante dell’omicidio in esame. B. Altresì infondata si appalesa la doglianza relativa alla ritenuta responsabilità del ricorrente nella estorsione di cui al capo 48 della rubrica, anch’essa ripetitiva delle censure già prospettate in sede di appello nonostante la loro puntuale confutazione con la pronuncia impugnata.

Hanno i giudici di secondo grado rammentato il ruolo dell’imputato, al servizio dapprima del B., eppoi del T., entrambi, costoro, i beneficiari principali, ancorchè in tempi diversi, dell’estorsione continuata, e richiamato le dichiarazioni del collaboratore Di., che ha indicato l’imputato come percettore del "pizzo" per conto del B..

Trattasi di elementi probatori che, unitamente al richiamato coinvolgimento del prevenuto, tramite persone a lui fedeli, nel raid del 9.1.1998 presso gli impianti di depurazione di Villa Literno, giustificano sul piano logico e della sufficienza probatoria la condanna impugnata, infatti censurata con mere considerazioni di merito improponibili in questa sede.

In entrambi i motivi appena valutati la difesa ricorrente ha reiteratamente denunciato la omessa considerazione di particolari ragioni difensive, denunciate al giudice dell’appello e da questi ignorate nella motivazione di condanna.

Orbene, giova ricordare che in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata.

Pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicchè, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico- giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione (Cass., Sez. 2, 19/05/2004, n. 29434).

Ed è quanto accaduto nella fattispecie, sia in riferimento all’omicidio Mu., che in riferimento alla estorsione consumata ai danni della gestione del depuratore di Villa Literno, come sinteticamente innanzi evidenziato ripercorrendo le motivazioni di condanna.

C. Infondata si appalesa, infine, la doglianza difensiva relativa alla condanna inflitta per l’omicidio di D.F.R. e reati connessi (capi 45 e 46 della rubrica) con riferimento alla violazione dell’art. 521 c.p.p..

Osserva al riguardo questa Corte che non può essere condivisa la denunciata violazione per due ordini di ragioni.

Sul piano teorico condivide infatti il Collegio quanto già in precedenza affermato da questa stessa sezione della Corte e cioè che non ricorre un’ipotesi di mutamento della contestazione qualora l’imputato, cui sia stato contestato di essere l’autore materiale del reato, venga riconosciuto responsabile a titolo di concorso morale in esso, tale modificazione non comportando una trasformazione essenziale del fatto addebitato, nè potendo provocare menomazione del diritto di difesa, poichè l’accusa di partecipazione materiale al reato necessariamente implica, a differenza di quanto avverrebbe nell’ipotesi inversa, la contestazione di un concorso morale nella commissione del reato, rappresentando concettualmente, quest’ultima ipotesi, un centro concentrico ricompreso in quello maggiore del concorso materiale (così: Cass., Sez. 1, 25/09/2008, n. 42993;

conforme: Cass., Sez. 5, 17/01/2007, n. 7638). Oltre quanto appena annotato, inoltre, condivisibile appare la motivazione impugnata là dove rileva che la contestazione a carico del ricorrente è stata formulata in termini tali da ricomprendere entrambe le ipotesi, quella del concorso materiale e quella del concorso morale.

D. Il terzo motivo di ricorso è viceversa fondato nella censura più propriamente di natura motivazionale.

D.1 Il C. è stato condannato per i fatti di cui ai detti capi d’imputazione in base alle dichiarazioni di T.C., il quale ha reso al riguardo ampia confessione, accusandosi di aver assassinato il D.F. insieme ad U.M.. Elementi di prova confermativi sono individuati in quanto riferito dai collaboranti Di.Lu., dal fratello di costui, nonchè da L.C. e Ci.Fr.. Le dichiarazioni dette sono tutte de relato quanto alla fase esecutiva e quella di L. è proveniente dallo stesso T..

In forza di questo supporto probatorio i giudici di merito, per quanto qui interessa, hanno ricostruito la vicenda nei seguenti termini (cfr. pag. 55, 117/120 della sentenza impugnata):

– il T., C. e Di.Lu. – questi ultimi quali rappresentanti in Villa Literno dei Casalesi facenti capo alla famiglia Schiavone, contrapposti ai Bidognetti – erano interessati all’eliminazione del D.F., che riscuoteva tangenti per conto dei Bidognetti;

– T.C., appena diciottenne, divenuto nuovo capo-zona dopo la morte degli zii M. e A., riprendendo un disegno di cui era stato messo al corrente dal congiunto Mario si era assunto l’incarico di realizzare il delitto, informandone i cointeressati in apposite riunioni;

– come riferito da Di.Lu., egli e C. si erano offerti di partecipare all’impresa, ma il T. aveva rifiutato, facendo capire di avere già tutto organizzato (macchine, appoggi e quant’altro occorreva);

– in effetti, l’esecuzione era avvenuta a cura esclusiva di T.C..

Ciò posto, i giudici di merito affermano che il C. debba rispondere di concorso nell’omicidio e nei reati connessi per avere rafforzato il proposito criminoso del materiale organizzatore ed esecutore del delitto; osservano che Di.Lu. e C. avevano un consolidato prestigio malavitoso, a differenza del T., "assai giovane, e probabilmente ancora oggetto di valutazione quanto alle attitudini e capacità di guidare la cosca di Villa Literno". In tale contesto "non v’è chi non veda… come l’offerta, da parte del C., di partecipare personalmente, col Diana, all’agguato predisposto dal T. (dovendo, nella logica camorristica, essere interpretata come manifestazione di dubbio circa la capacità dello stesso di portare, da solo, a compimento l’impresa delittuosa, che solo il rifiuto della predisposta collaborazione avrebbe, in termini di riaffermazione della personalità camorristica, potuto fugare), non poteva ex se non aver determinato quel rafforzamento del proposito delittuoso esplicitato T. stesso, che, a quel punto, ormai definitivamente impegnato a tradurlo in atto, non avrebbe più potuto desistere". D.2 Va in proposito rammentato che, ai fini della configurabilità della fattispecie del concorso di persone nel reato ( art. 110 cod. pen.), il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando ha efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando si manifesta in forma di un apporto di agevolazione o stimolo, e cioè quando il reato, senza la condotta in questione, sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori incertezze o difficoltà di riuscita. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta partecipativa si manifesti in un comportamento esteriore che arrechi un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne o sollecitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, perchè in forza della cooperazione prestala diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti (cfr. Cass., Sez. 4, 22.5/26.6.2007 n. 24895; Sez. 5, 13.4/5.5.2004 n. 21082). Nel quadro di tale disciplina normativa si è poi chiarito che, pur se il contributo del concorrente morale può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all’esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso) il giudice di merito è tenuto a motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato ed a precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, restando esclusa qualsiasi indifferenza probatoria circa le forme concrete della partecipazione (Cass., Sez. Un., 30.10/24.11.2003 n. 45276; Sez. 1, 18.2/11.3.2009, n. 10730).

Ora, nel caso di specie i giudici di merito hanno precisamente individuato la condotta partecipativa nella "provocatoria" offerta di collaborazione alla fase esecutiva del delitto. E’ però mancata una verifica puntuale di attendibilità e convergenza delle fonti collaborative sullo specifico episodio, la cui rilevanza in senso rafforzativo dell’altrui proposito criminoso è d’altra parte affermata con espressioni meramente probabilistiche o apodittiche, e comunque deriva da un’ipotesi, non verificata nè riconducibile a massime di esperienza di sicura affidabilità, sulle dinamiche associati ve (non è stato, ad esempio, chiarito se, a seguito dell’offerta del C., la preparazione del delitto sia stata accelerata o perfezionata). La tesi dell’efficienza rafforzativa della condotta del ricorrente è ulteriormente indebolita dalla circostanza che la proposta di cooperare materialmente al delitto proveniva congiuntamente dal C. e dal Di., e fra i due era "soprattutto" quest’ultimo ad essere connotato da prestigio malavitoso (cfr. pag. 118 della sentenza impugnata).

D.3 La sentenza deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte territoriale affinchè, in piena libertà decisionale, rivaluti il quadro probatorio a carico del ricorrente con riferimento ai capi 45 e 46 della contestazione, alla luce di rilievi innanzi sintetizzati.

4.3.1 T.C., assistito dal suo difensore di fiducia, illustra due motivi di ricorso con i quali denuncia, in particolare, il difetto di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche ed all’entità della pena inflitta, al riguardo osservando, in particolare, che:

– la Corte di merito ha negato le invocate attenuanti in ordine ai capi 45 e 46 della contestazione, relativo al concorso nell’omicidio di D.F.R. ed ai connessi reati di porto e detenzione di armi, con l’argomento della sua spiccata personalità criminale per i ruoli apicali assunti da giovanissimo nell’ambito della organizzazione malavitosa e, con riferimento al reato associativo (capo 39 della rubrica) sul rilievo che la pena irrogata appariva determinata quantitativamente in termini vicini ai minimi e comunque in misura insuscettibile di diminuzione ulteriore;

– la Corte di merito non avrebbe considerato la giovanissima età dell’imputato, la sua assunzione di responsabilità criminali per la morte violenta dello zio, la consumazione dell’omicidio dallo zio pianificata e divenuta per lui una sorta di battesimo del sangue;

– la Corte non ha altresì considerato che appena raggiunta la maturità, a 24 anni, l’imputato ha radicalmente mutato le sue scelte di vita, collaborando attivamente ed efficacemente con la giustizia e consentendo il sequestro di ingenti ricchezze, anche proprie, di origine delittuosa;

– anche il riferimento alla pena minima inflitta per il reato associativa appare sostenuto con motivazione apparente, tenuto conto della concessione delle attenuanti generiche in favore di imputati non collaboratori, e con motivazione illogica, in considerazione del comportamento dell’imputato, dal 2004 agli arresti domiciliari perchè ormai estraneo a logiche criminali di natura associativa.

4.3.2 La doglianza è manifestamente infondata. E’ noto, infatti, l’insegnamento di questo giudice di legittimità secondo cui, in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio, trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti, tuttavia, la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Cass., Sez. 2, 22/02/2007, n. 8413; Cass., Sez. 2, 02/12/2008, n. 2769) giacchè il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (Cass., Sez. 2, 23/11/2005, n. 44322).

Ciò premesso ed in applicazione degli esposti principi deve concludersi che, ai fini dell’applicabilità o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, assolve all’obbligo della motivazione della sentenza il riferimento ai precedenti penali dell’imputato, ritenuti di particolare rilievo come elementi concreti della di lui personalità, non essendo affatto necessario che il giudice di merito compia una specifica disamina di tutti gli elementi che possono consigliare o meno una particolare mitezza nell’irrogazione della pena (Cass., Sez. 5, 06/09/2002, n.30284;

Cass.,Sez. 2, 11/02/2010, n. 18158) ovvero, il che è lo stesso, la gravità della condotta giudicata.

Nel caso di specie la Corte ha dapprima illustrato le ragioni della doglianza e ad esse ha poi opposto la motivazione di prime cure, ribadendo non solo la estrema gravità dei fatti, le modalità delle condotte giudicate ed il ruolo ricoperto dall’istante, di poi evidenziando, decisivamente, la particolare mitezza della pena inflitta in relazione alla gravità delle contestazioni. Palese pertanto, in applicazione dei principi innanzi esposti, la manifesta infondatezza della censura in esame sia sotto il profilo del difetto di motivazione che della violazione di legge.

4.4.1 D.V.A., assistito dal suo difensore di fiducia, illustra due motivi di ricorso.

1. Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione e violazione dell’art. 192 c.p.p., in particolare osservando che:

– la motivazione di colpevolezza si fonda su dichiarazioni accusatorie tra esse divergenti e contrastanti, non corroborate da quelle delle numerose pp.oo. sentite nel processo;

– la duplice ma non univoca chiamata in reità di Di.Lu. e T.C. non ha riscontri oggettivi esterni individualizzanti;

– con esplicito riferimento all’estorsione contestata al ricorrente al capo 48 della rubrica, la motivazione richiama, travisando gli esiti processuali, le dichiarazioni delle vittime dell’estorsione, mentre in realtà nessuno dei dirigenti ovvero dei dipendenti della CSMI, gestore degli imputati di depurazione, ha mai fatto il nome dell’imputato, nè in ordine alla riscossione, del pizzo, nè in ordine alla partecipazione alla spedizione del gennaio 1998, nè in ordine ad altre condotte minacciose o violente;

– le dichiarazioni accusatorie dei collaboranti Di.Lu. e T.C. non sono genuine, dappoichè rese a processo in corso e, quindi, quando ben ne conoscevano gli esiti;

– comunque il Di. assegna al D.V. il compito di riscuotere le tangenti per conto dei T. per consegnarle ai "casalesi", mentre T.C. assegna all’imputato compiti operativi diversi, come quello di organizzare la famosa irruzione armata del gennaio 1998;

– in costanza della rilevata divergenza di contenuti delle due chiamate in reità, i giudici di merito hanno ignorato l’insegnamento della Corte di legittimità, dappoichè carente in motivazione la individuazione di riscontri esterni idonei a superare la denunciata divergenza;

– le due dichiarazione, inoltre, non possono riscontrarsi vicendevolmente, se non altro perchè tra loro anche diverse.

2. Col secondo motivo di ricorso denuncia ancora la difesa ricorrente difetto di motivazione e violazione dell’art. 521 c.p.p., nonchè degli artt. 629 e 648 c.p., in particolare osservando che:

– a tutto concedere e dando per provata la sua adesione all’associazione malavitosa, la condotta riferibile al D.V. e cioè quella di ricevere il denaro per conto dei T., va inquadrata nella fattispecie di cui all’art. 648 c.p., non – rilevandosi in essa alcun profilo proprio del reato estorsivo ovvero del concorso in essa;

– la Corte distrettuale nulla ha replicato a tale tesi difensiva illustrata nei motivi di appello.

4.4.2 Le doglianze innanzi sintetizzate appaiono manifestamente infondate.

A. Ed invero anche in questo caso la Corte deve registrare, con riferimento al primo motivo di ricorso, la pedissequa riproposizione da parte della difesa ricorrente di argomentazioni proposte in sede di appello, ampiamente confutate con dissertazione logicamente esaustiva e giuridicamente corretta dalla pronuncia impugnata.

Corrispondendo infatti alla regioni di censura innanzi sintetizzate, la Corte di merito ha rilevato che il ricorrente è stato accusato dal Di. e da T.C., collaboratori di giustizia, concordi nell’indicarlo come parte della vicenda estorsiva e per questo l’uno legittimo riscontro dell’altro, dappoichè di carattere marginale le discrasie delle due dichiarazioni, giustificabili per la Corte di merito, con logico giudizio in fatto non censurabile per questo in sede di legittimità, con la considerazione che i propalanti hanno appreso quanto riferito da persone diverse ed in momenti non coincidenti.

B. In riferimento invece al secondo motivo di ricorso, deve osservarsi che esso risulta proposto in violazione del principio di autosufficienza del ricorso di legittimità, dappoichè non provato in questa sede la proposizione del motivo di appello (riguardante la qualificazione giuridica della condotta ai sensi dell’art. 648 c.p.) del quale si denuncia la omessa valutazione da parte della Corte di merito.

A parte ciò non può non rilevarsi come nella fattispecie ricorra comunque una ipotesi scolastica di motivazione implicita, dappoichè chiaramente esposti con la motivazione impugnata le ragioni della imputazione di concorso in estorsione aggravata, attraverso la indicazione specifica delle condotte inserite nella complessa estorsione aggravata per cui è causa (partecipazione al raid armato nel cantiere dei Regi lagni", ricezione della quota di "pizzo" dovuta al "(OMISSIS)" e trasferimento della stessa da Villa Literno a Casal di Principe).

Sulla prospettabilità del denunciato vizio di preterizione si richiama Cass., Sez. 2, 19/05/2004, n. 29434, già innanzi richiamata a margine della posizione di C.S..

4.5.1 I.G., assistito dal difensore di fiducia, illustra due motivi di impugnazione.

1. Col primo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente, in relazione al giudizio di colpevolezza espresso dai giudicanti con riferimento al capo 12 della rubrica, relativo al tentato omicidio di U.S., la nullità della sentenza gravata per difetto di motivazione a mente dell’art. 192 c.p.p., sul punto, in particolare, osservando che:

– i giudicanti riconducono il delitto di cui al capo 12 allo scontro in atto all’epoca della sua consumazione tra il gruppo facente capo ad U.A. ed il cd. gruppo Tavoletta, al quale la vittima avrebbe aderito;

– a sostegno della motivazione di condanna i giudici di merito hanno posto le dichiarazioni di Di.Lu., D.D.L., L. C., T.C. e quelle di I.R., autoaccusatorie, rese nel corso del giudizio di appello;

– dette dichiarazioni, peraltro, non hanno ricevuto alcun vaglio di attendibilità, nè risultano prese in considerazioni le ragioni sul punto illustrate nei motivi di appello;

– D.D.L. ha partecipato per brevissimo tempo all’associazione malavitosa, sempre in ruoli marginali ed è nota (il difensore parla di "notorio giudiziario") la inattendibilità delle sue dichiarazioni perchè espressive di versioni non credibili;

– L.C. ha partecipato all’associazione dopo la morte di T.P., anch’egli con ruolo marginale;

– Di.Lu., T.C. e I.R., i quali si sono autoaccusati di una molteplicità di omicidi e di altri fatti gravissimi, hanno iniziato la loro collaborazione quando conoscevano fatti e contestazioni anche per la diretta conoscenza degli atti giudiziari;

– dette circostanze non risultano prese in considerazione dalla Corte territoriale ancorchè evidenziate, le stesse, dai motivi di appello;

– la colpevolezza del ricorrente è stata affermata però sulla base di un generico giudizio di sovrapponibilità delle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia;

– tra le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, viceversa, non è affatto possibile riscontrare l’evocata sovrapponibilità, considerate le incongruenze, le imprecisioni, le contraddizioni delle stesse (analiticamente richiamate per ogni collaboratore dalla difesa nell’atto di ricorso) sulle quali la motivazione impugnata nulla dice;

– la Corte di secondo grado non ha motivato neppure in ordine al valore probante delle dichiarazioni di I.R. dopo la sentenza di primo grado, ancorchè rese dette dichiarazioni quando gli atti del processo e le chiamate in correità a suo carico ed a carico del ricorrente gli erano perfettamente note;

– nessuna motivazione spende, infine, la sentenza impugnata circa la doglianza relativa alla mancanza di riscontri estrinseci alle chiamate in correità. 2. Col secondo motivo di impugnazione, in relazione alla condanna per partecipazione all’organizzazione criminale cd. dei casalesi, capo 39 della rubrica, lamenta la difesa ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione osservando, in particolare che:

– la partecipazione all’associazione detta viene dai giudicanti sostenuta sulla base delle dichiarazioni di Di.Lu., D.D. L., L.C. e T.C., nonchè sulla sua presunta partecipazione al tentato omicidio di U.S.;

– dalle richiamate dichiarazioni non si evince alcun ruolo dell’imputato nell’organizzazione criminale;

– anche la eventuale partecipazione del ricorrente al tentato omicidio di cui innanzi non può, di per sè, provare il suo inserimento associativo;

– lo stesso non prova un suo ruolo nell’associazione nè la sua adesione ad essa.

4.5.2 Le doglianze proposte nell’interesse di I.G. si appalesano anch’esse manifestamente infondate, dappoichè ripetitive di quelle motivatamente confutate dal giudice dell’appello e giacchè volte ad una alternativa ricostruzione dei fatti di causa, a loro volta logicamente accreditati nelle sedi di merito.

A. Appare infatti alla Corte del tutto coerente con le regole giuridiche e con quelle della logica affermare la colpevolezza dell’imputato perchè trovato, due giorni dopo l’attentato omicidiario contestato (capo 12) insieme ai complici, in possesso delle armi e delle autovetture utilizzate per il delitto e perchè accusato dei fatti di causa con chiamate in correità da U. A. e D.D.L., con le numerose conferme de relato indicate in motivazione, e perchè accusato, da ultimo, da I. R., correo, che ha reso ampia confessione nel corso del dibattimento di secondo grado.

La Corte di merito ha inoltre esaustivamente dato conto delle ragioni per le quali ha valutato affidabili, autonome e credibili le dichiarazioni collaborative e del perchè le pretese difformità non appaiono idonee a giustificare una diversa valutazione dei fatti di causa.

Anche in relazione al ricorso in esame è d’uopo richiamare, infine, la lezione giurisprudenziale innanzi citata in relazione alla prospettabilità del denunciato vizio di preterizione (Cass., Sez. 2, 19/05/2004, n.29434).

B. Quanto, invece, alla contestazione associativa di cui al capo 39, osserva la Corte che, in tema di associazione di tipo mafioso, secondo autorevole lezione interpretativa di questa Corte nella sua più autorevole composizione, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. Sviluppando poi tale premessa la Corte ha osservato che la partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi l’appartenenza nel senso indicato, purchè si tratti di indizi gravi e precisi – tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di "osservazione" e "prova", l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di "uomo d’onore", la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e però significativi "facta concludenza" – idonei, senza alcun automatismo probatorio, a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione (Cass., Sez. Unite, 12/07/2005, n. 33748, Mannino; Cass., Sez. 1 Sent., 11/12/2007, n. 1470). Orbene, nel caso di specie a carico dell’imputato la Corte di merito ha richiamato la sua partecipazione attiva al delitto di natura omicidiaria di cui al capo 12 della rubrica, di chiara ed evidente significazione mafiosa, nonchè le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia attraverso i quali è stata sostenuta l’accusa in parola.

Consegue da ciò la correttezza giuridica e la coerenza logica della motivazione impugnata, immeritevole delle censure appena trattate.

4.6.1 M.G., assistito dal suo difensore di fiducia, sviluppa quattro motivi di ricorso.

1. Col primo di essi, in relazione al capo 29 della rubrica ed all’omicidio di U.N. ivi contestato, denuncia, in particolare, la difesa ricorrente che:

– i giudicanti riconducono il delitto di cui al capo 29 alla circostanza che la vittima era un confidente dei carabinieri;

– a sostegno della motivazione di condanna i giudici di merito hanno posto le dichiarazioni di Di.Lu., D.D.L., L. C., T.C.;

– dette dichiarazioni, peraltro, non hanno ricevuto alcun vaglio di attendibilità, nè risultano prese in considerazioni le ragioni sul punto illustrate nei motivi di appello;

– D.D.L. ha partecipato per brevissimo tempo all’associazione malavitosa, sempre in ruoli marginali ed è nota (il difensore torna a parlare di "notorio giudiziario") la inattendibilità delle sue dichiarazioni perchè espressive di versioni non credibili;

– lo stesso, inoltre, ha espresso motivi di risentimento personale nei confronti del M., dal quale, a suo dire, temeva di essere ucciso;

– L.C. ha partecipato all’associazione dopo la morte di T.P., anch’egli con ruolo marginale e riferisce circostanze apprese da soggetti ormai deceduti;

– D.L. e T.C. si sono autoaccusati di una molteplicità di omicidi ed altri fatti gravissimi;

– dalle intercettazioni ambientali effettuate nel carcere di Benevento ed acquisite al processo (OMISSIS), emergono circostanze idonee a minare l’attendibilità sia di Di.Al., sia di Di.Lu.;

– il giudice di secondo grado ha valutato l’attendibilità dei collaboranti rimandando al giudizio di prime cure ed osservando, semplicemente, che non emergevano dal processo motivi per non considerare attendibili le dichiarazioni dei collaboratori;

– le dichiarazioni del D.D.L., principale accusatore, e partecipe dell’omicidio (avrebbe colpito al petto la vittima) contrastano sia con gli esami autoptici (la vittima fu colpita sopra la giugulare) sia con le dichiarazioni del teste co., che accompagnava la vittima, quanto agli orari dell’omicidio, sia con le dichiarazioni del teste D.C., il quale ha evocato una – busta di plastica utilizzata per coprire l’arma del delitto, busta dimenticata dal D.D.;

– le dichiarazioni di quest’ultimo sono altresì in contrasto con quelle del fratello della vittima, con gli accertamenti di P.G. circa la posizione del corpo senza vita della medesima e quanto all’autovettura che il D.D. afferma essere stata utilizzata dai killers;

– anche Di.Lu. riferisce fatti e circostanze oggettivamente inesatte sull’epoca del delitto;

– sulla causale poi indicata dal D.D. deve rilevarsi che il ruolo di confidente dei cc. della vittima non è emersa nel processo e non è stata confermata dalla p.g. interessata;

– nessuna motivazione anche in questo caso spende la sentenza impugnata in ordine alla denunciata mancanza di riscontri estrinseci alle chiamate in reità e correità. 2. Col secondo motivo di impugnazione, relativo ai capi 34 e 35 della rubrica ed all’omicidio di Ca.Lu. ed al tentato omicidio di Ca.Do. ivi contestato, denuncia, in particolare, la difesa ricorrente che:

– i giudicanti riconducono il delitto in parola alla circostanza che la vittima aveva partecipato al duplice delitto di tali G. e G. e, con il padre, dato appoggio a V.L. appartenente ad un gruppo malavitoso contrapposto;

– a sostegno della motivazione di condanna i giudici di merito hanno posto le dichiarazioni di Di.Al. e D.D.L., reo confesso, quest’ultimo, di essere stato esecutore materiale del duplice omicidio insieme a I.A., Di.Lu., L.C., T.C.;

– la Corte però non ha motivato in ordine a specifiche emergenze processuali evidenziate dalla difesa, come, in particolare, gli accertamenti tecnici esperiti;

– il consulente tecnico infatti incaricato di accertare le cause del delitto ha fornito dati oggettivi contrastanti con la narrazione del D.D., sul numero dei colpi sparati, sul numero delle armi utilizzate (due e non una), di guisa che l’inattendibilità sulla fase esecutiva del delitto non può non riverberare sull’attendibilità delle accuse a carico del M. di esserne stato il mandante;

– sui relativi rilievi difensivi la Corte di secondo grado ha richiamato la motivazione di prime cure, la quale aveva fatto a sua volta riferimento a possibili incongruenze logiche del consulente tecnico ed aveva richiamato la testimonianza di due testi oculari;

– detti testi oculari peraltro avevano riferito più circostanze in contrasto con il racconto del D.D., delle quali nessuno dei giudicanti si è però fatto carico;

– del pari del tutto contrastanti sono le dichiarazioni dei collaboranti sui modi e sui termini del mandato omicidiario;

– anche sul movente non v’è motivazione adeguata, dappoichè il movente della vendetta per il duplice omicidio Sa. – Li. non ha trovato riscontro probatorio nel corso del processo, mentre personale di P.G. ha accreditato un movente passionale dell’omicidio in parola.

3. Col terzo motivo di impugnazione, relativo al capo 37 della rubrica ed all’omicidio di Ca.Do. ivi contestato, denuncia, in particolare, la difesa ricorrente che:

– i giudicanti riconducono il delitto in parola alla circostanza che dopo l’eliminazione del figlio era necessario completare il progetto unitario che prevedeva anche l’uccisione del padre;

– a sostegno della motivazione di condanna i giudici di merito hanno posto le dichiarazioni di Di.Al., D.D.L., Di.

L., Di.Al., L.C. e T.C.;

– i giudici di merito hanno ritenuto di riscontrare la sostanziale sovrapponibilità delle dichiarazioni accusatorie a carico del M.;

– la sentenza però non motiva in ordine alle numerose discrasie emergenti dal raffronto delle citate chiamate in correità puntualmente illustrate ed evidenziate dalla difesa;

– la ricostruzione di Di.Al. contrasta con quella del fratello Lu.;

– L. e T. riferiscono de relato indicando fonti non riscontrabili;

– le singole doglianze difensive non sono state delibate e le dichiarazioni di I.R. appaiono genericamente valutate;

– non viene neppure valutato p. logico, offerto dalla difesa, secondo cui è improbabile che il M., dopo l’omicidio del figlio e con le indagini relative in corso, prendesse una iniziativa omicidiaria ulteriore a danno del padre della prima vittima.

4. Col quarto motivo di impugnazione, relativo ai capi 42, 43 della rubrica ed all’omicidio di Mu.Gi. ivi contestato, denuncia, in particolare, la difesa ricorrente che:

– a sostegno della motivazione di condanna i giudici di merito hanno posto le dichiarazioni D.D.L., reo confesso di essere stato esecutore materiale dell’omicidio insieme a I.R., nonchè di Di.Al., Di.Lu., L.C., T.C. e, da ultimo, dello stesso I.R., divenuto collaboratore di giustizia dopo il primo grado di giudizio;

– i giudici di merito hanno ritenuto di riscontrare anche in questo caso la sostanziale sovrapponibilità delle dichiarazioni accusatorie a carico del M.;

– i giudici di merito non hanno però valutato specifiche emergenze processuali e specifiche doglianze difensive;

– in particolare non è stato valutato, ancorchè di palese rilevanza, il mancato ritrovamento del corpo della vittima, nonostante il collaboratore abbia condotto gli inquirenti sul luogo dell’accreditato sotterramento;

– la sentenza non motiva in ordine alle numerose discrasie emergenti dal raffronto delle citate chiamate in correità puntualmente illustrate ed evidenziate dalla difesa;

– i fratelli Di. ed il D.D. indicano moventi diversi dall’omicidio in parola ed il fratello della vittima ha indicato un movente alternativo nel carattere litigioso ed attaccabrighe della vittima.

4.6.2 Anche le censure proposte nell’interesse di M.G. appaiono manifestamente infondate perchè essenzialmente volte alla sovrapposizione di valutazioni di merito proprie rispetto a quelle motivatamente accreditate dalle istanze di merito e perchè anch’esse ripetitive di rilievi censori già negativamente delibati dal giudice dell’appello.

A. quanto al primo motivo di impugnazione, relativo al capo 29 della rubrica con il quale all’imputato è stato contestato l’omicidio di U.N., osserva la Corte che legittimamente ha ritenuto la Corte di merito pienamente provate le accuse a carico dell’imputato richiamando le dichiarazioni accusatorie ed autoaccusatorie di D. D.L., co-esecutore materiale dell’omicidio, su mandato di Di.Lu., anch’egli autoaccusatosi, e del ricorrente M. e che altrettanto legittimamente risultano evocati a riscontro confermativo delle appena evocate collaborazioni, i rilievo autoptici, la testimonianza di c.e. (confermativa della presenza della vittima all’ora e sul luogo del delitto) le ulteriori dichiarazioni collaborative di L.C. e T.C. e, da ultimo, le confessioni dibattimentali in sede di appello rese da I.T. ed O.C., i quali furono partecipi dell’impresa omicidiaria quali "specchiettisti". A tutto ciò torna la difesa ricorrente a contrapporre una serie di perplessità circa l’attendibilità delle fonti collaborative, del D.D. in particolare e circa le discrepanze tra le acquisizioni rinvenienti dai racconti dei pentiti e tra il racconto del D.D. e gli esiti autoptici.

Anche al riguardo non può non rilevare questa Corte che invoca la difesa istante giudizi di merito in ordine alla motivata irrilevanza di quanto difensivamente denunciato, a fronte delle robustissime ed assolutamente decisive sovrapponibilità di quanto reso dai diretti esecutori dell’omicidio, ognuno nel ruolo concretamente assunto in quella triste circostanza.

I pochi centimetri di distanza della ferita provocata dai colpi omicidi sul corpo della vittima rilevabili tra quanto dichiarato dallo sparatore, reo confesso, e quanto rilevato dal medico legale, ovvero l’ora o la mezz’ora di differenza del momento in cui la vittima venne a trovarsi sul logo del delitto tra quanto riferito dal D.D. e quanto dichiarato dal teste c., ovvero ancora il movente diverso da quello accertato indicato dal D.D., peraltro molto genericamente, ovvero, infine, la reale proprietà dell’automezzo utilizzato dagli assassini).

B. In riferimento al secondo motivo di impugnazione relativo alla condanna per l’omicidio di Ca.Lu. ed il tentato omicidio di Ca.Do., capi 34 e 35 della rubrica, replica questa Corte la piena legittimità e congruenza della motivazione illustrata dal giudice dell’appello, il quale ha ritenuto di dare credito alle accuse mosse al M. dai due esecutori materiali dal medesimo incaricato dell’azione omicidiaria in danno dei due Ca. e di ritenere affidabili, altresì, le confessioni di I.T., coinvolto nell’azione delittuosa come "specchiettista". Del pari logica valutazione di merito si appalesa essere quella che da maggiore rilievo probatorio alle coincidenti accuse dei diretti interessati all’azione omicidiaria rispetto alle eventuali discrasie ineludibili nell’racconto reso da più persone coinvolte nella medesima azione, quando questa ha caratteristiche di complessità come quella in esame. Ha comunque offerto la Corte di merito puntuale argomentazioni dei singoli rilievi difensivi, sempre pervenendo a logiche considerazioni di irrilevanza dei medesimi a fronte dell’importanza probatoria ed alla precisione dei segmenti salienti del fatto delittuoso, offerti da imputati rei-confessi dei delitti.

C. Analogo modulo argomentativo ritiene di svolgere questa Corte in relazione al terzo motivo di ricorso, relativo all’omicidio di Ca.Do. (capo 37) per il quale il ricorrente M. è stato condannato perchè accusato di esserne il mandante.

Ed invero non può non considerarsi anche su questo punto la legittimità della ritenuta colpevolezza del M., accusato da uno dei due esecutori materiali dell’omicidio, I.R., riscontrato nel suo dire, quanto all’esecuzione, dal concorrente in essa, O.C., il quale ha confessato le sue responsabilità nell’omicidio nel corso del giudizio di secondo grado. Alle doglianze difensive poi, sempre indirizzate a screditare l’attendibilità dei pentiti e le differenze risultante dalle varie collaborazioni ( D.D., Di.A., Di.L., T. C.) opportunamente ha il giudice di merito opposto le nuove acquisizioni probatorie in grado di appello, e cioè le confessioni dei due esecutori materiali dell’omicidio, di sontuosa robustezza probatoria, contro cui sono destinati a cedere sia gli argomenti logici dell’ultima parte del motivo in esame, sia le tesi difensive innanzi richiamate.

D. Va infine ribadita la legittimità della motivazione di condanna del ricorrente quale mandante dell’omicidio di Mu.Gi.

(capi 42 e 43) fondata dalla Corte territoriale sulle accuse in correità dell’esecutore materiale del delitto, I.R., e su quelle precedenti dell’altro sicario D.D., sulla coincidenza dei loro racconti, sulle conferme dei numerosi collaboratori innanzi indicati. Quanto allo specifico delle censure difensive, rileva la Corte che le incongruenze denunciate in nulla incidono sulla credibilità dei racconti accusatori e che le omissioni motivazionali, in quanto sostanzialmente considerate dalle argomentazioni accusatorie dappoichè con queste incompatibili, non possono ritenersi idonee ad incidere apprezzabilmente come vizio di legittimità.

L’avere, in particolare, omesso di dare conto del mancato ritrovamento del cadavere del Mu. nel luogo ove gli assassini hanno riferito essere stata la vittima seppellita, ad esempio, non può di per sè far venir meno e rendere comunque non credibile il particolareggiato racconto dell’omicidio e delle fasi preparatorie di esso, di guisa che l’omissione in argomento palesa in ciò la sua irrimediabile irrilevanza ai fini motivazionali.

5. In conclusione: la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio limitatamente alla condanna di C.S. per i reati contestatigli ai capi 45 e 46 della rubrica; va nel resto rigettata l’impugnazione del medesimo C..

I restanti ricorsi vanno invece dichiarati inammissibili ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa per le ammende, somma che si stima equo fissare in Euro 1000,00 per ciascuno degli istanti.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata nei confronti di C. S. limitatamente ai capi 45 e 46 (omicidio di D.F. R. e reati connessi) e rinvia per nuovo giudizio sulle relative imputazioni ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli. Rigetta il ricorso del C. nel resto.

Dichiara inammissibili i ricorsi di B.F., D. V.A., I.G., M.G. e T. C. e condanna i predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento di Euro 1000,00 alla cassa per le ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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