Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-04-2012, n. 5229 Mobbing

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

F.G. proponeva al Giudice del lavoro tre ricorsi in via di urgenza nei confronti del datore di lavoro società Italgas spa, i primi due aventi ad oggetto la richiesta di cessazione di comportamenti lesivi della propria professionalità e la reintegra nelle mansioni spettanti ed il terzo la reintegra nel posto di lavoro, dopo il recesso datoriale per superamento del periodo di comporto. Dopo il rigetto dei ricorsi di natura cautelare, il F. riproponeva tali domande assumendo di avere subito, dopo la nomina nel 1994 a capo area, gravi maltrattamenti di tipo psicologico, seguiti da un trasferimento, che avevano causato serie ripercussioni psico-fisiche con un radicale demansionamento rispetto alle mansioni di spettanza. A ciò si era aggiunto il licenziamento per superamento del periodo di comporto, addebitabile ad assenze in realtà causate dall’atteggiamento del datore di lavoro. Chiedeva l’accoglimento delle domande proposte in via cautelare nonchè la dichiarazione di illegittimità del recesso con reintegrazione nel posto di lavoro e risarcimento del danno.

Il Tribunale di Cosenza con sentenza del 27.9.200 rigettava la domanda.

La Corte di appello di Catanzaro sull’appello del F., con sentenza del 1.7.2008 lo rigettava.

La Corte territoriale osservava che la tesi del ricorrente secondo cui la malattia subita fosse, in realtà, l’effetto di un comportamento datoriale improntato ad uno spirito di persecuzione e discriminazione non era stata comprovata in alcun modo. I due fatti specifici addotti a giustificazione di tale intento erano il primo, anche a dare per ammesso l’episodio, non lesivo nella sua materialità della dignità e professionalità del ricorrente, il secondo non era stato neppure circostanziato. Non era stato peraltro comprovato alcun demansionamento, nè una illegittima privazione di benefit aziendali, in quanto lo spostamento dall’area tecnica a quella amministrativa, in mancanza di una ricostruzione precisa delle mansioni precedentemente svolte e di quelle poi affidate, non poteva essere ritenuto di per sè un demansionamento. Le prove addotte in primo grado erano effettivamente inammissibili in quanto articolate su circostanze generiche o ininfluenti o ancora dirette a far esprimere giudizio da parte dei testi e non ad accertare fatti obiettivi.

Ricorre il F. con due motivi; resiste controparte con controricorso. La parte intimata ha depositato memoria difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio. Non erano state modificate le prove dedotte in primo grado nel ricorso in appello ed immotivamente si era rigettata la chiesta CTU che doveva confermare quanto già emergente dalla CTP prodotta.

Il motivo appare infondato in quanto si sviluppano doglianze di merito inconferenti in questa sede. La Corte territoriale ha attentamente esaminato la tesi del demansionamento a carattere persecutorio subito dal ricorrente e ha osservato che non risultava supportata dall’allegazione di circostanze specifiche idonee a comprovarla, che non emergeva un demansionamento, anche perchè non si era neppure tentato un confronto tra mansioni svolte e mansioni poi assegnate dopo la pretesa dequalificazione, ed infine che le prove dedotte in primo grado erano, oltre che ininfluenti e generiche, anche inammissibili perchè dirette a suscitare giudizi e valutazioni più che a provare situazioni di fatto. Nel motivo non si offre alcuna specifica dimostrazione della non correttezza di tale valutazione (comunque riservata alla discrezionalità del Giudice di merito, pur nell’obbligo di una adeguata motivazione), ma si assume apoditticamente la rilevanza ed ammissibilità delle prove e l’indispensabilità della CTU, tesi che non possono essere accolta la prima per difetto anche solo di una argomentazione a sostegno nel ricorso e la seconda in quanto appare evidente come la richiesta di una CTU sia stata implicitamente respinta, sulla base della mancanza di presupposti di ordine fattuale per il suo utile svolgimento e cioè la dimostrazione di un demansionamento e di atti persecutori da parte del datore di lavoro, come origine della malattie sofferte dal ricorrente (che la Corte dà per scontato siano effettive, ma non ascrivibili a fatto illecito della controparte). L’allegazione per cui le prove articolate in primo grado siano uguali a quelle dedotte in appello non è stata in alcun modo documentata, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso in cassazione. La motivazione appare congrua e logicamente coerente; le censure sono di merito e assolutamente generiche.

Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2103, 2043 e 2087 c.c., nonchè la violazione dell’art. 4 Cost.. Si trattava in realtà di un caso di mobbing o di bossing. C’era stato un radicale demansionamento e la malattia era stata provocata dal datore di lavoro. Era stato violato l’art. 32 Cost..

Il motivo è infondato sviluppando censure del tutte generiche con le quali si prospettano comportamenti di mobbing e bossing (spadroneggiamento), esclusi anche per difetto di allegazione, dalla Corte territoriale con motivazione congrua e logicamente coerente, come si è già detto in precedenza. Gli episodi menzionati a pag. 10 non risultano documentati e non emergono dalla decisione impugnata e sulla pretesa privazione della macchina aziendale la Corte territoriale ha accertato, con richiamo puntuale all’istruttoria espletata, che non vi era alcuna dotazione individuale di una vettura di proprietà aziendale. Pertanto non emerge nessuna violazione del diritto costituzionale alla salute o dell’art. 4 Cost., per cui il ricorrente sarebbe stato privato del lavoro per superamento del periodo di comporto, sebbene la malattia fosse stata causata dal datore di lavoro. Le censure, in conclusione, appaiono di fatto e sono generiche ed apodittiche.

Va quindi rigettato il ricorso. Le spese di lite in favore della parte intimata seguono la soccombenza e vanno liquidate come al dispositivo della presente sentenza.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso, Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 40,00 per esborsi ed in Euro 2.500,00 per onorari di avvocato, oltre IVA e CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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