Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-04-2012, n. 5339 Reintegrazione o spoglio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 6475/06 il Tribunale di Torino rigettava la domanda di reintegrazione del possesso di una servitù di passaggio proposta da O.E. e S.G. nei confronti di E. D..

Con sentenza dep. l’8 luglio 2009 la Corte di appello di Torino, in riforma della decisione impugnata dagli attori, accoglieva la domanda.

Secondo i Giudici, per quel che ancora interessa nella presente sede, dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio era emerso che il tratto di passaggio di cui si discute, posto tra la proprietà D. e la proprietà B. – C. e chiuso all’accesso dalla pubblica via con un cancelletto dall’appellata, permetteva di giungere al cortile inferiore della proprietà degli appellanti tramite un cancelletto pedonale che si apre su un sedime, posto tra la proprietà O.S. e la proprietà B. – C., accessibile dal tratto di passaggio in contestazione attraverso una scala, di collegamento e non proseguente oltre il cancelletto di accesso alla proprietà degli appellanti.

Il cancelletto posto in corrispondenza dell’accesso al tratto di passaggio dalla pubblica via era stato collocato dalla D. senza consegna delle chiavi agli attori.

Sulla base di alcune delle testimonianze escusse era ritenuto provato l’esercizio da parte degli attori del passaggio, mentre le altre deposizioni che avevano riferito circostanze contrarie non erano considerate utili.

L’animus spoliandi era risultato dalla piena consapevolezza della contrarietà dell’iniziativa alla situazione di fatto esistente, a nulla rilevando la convinzione della D. di agire legittimamente in assenza di un titolo che legittimasse gli attori.

La resistente era condannata a restituire agli attori l’importo delle spese processuali poste dalla sentenza di primo grado a carico dei medesimi, sul rilievo che al riguardo non essendovi stata contestazione.

2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione D. E. sulla base di tre motivi.

Resistono con controricorso gli intimati che hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1.1. – Il primo motivo, lamentando omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la decisione gravata che aveva omesso di considerare le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio laddove quest’ultimo aveva affermato che il passaggio in questione non era l’unico accesso alla proprietà degli attori: circostanza che aveva portato il Tribunale a rigettare la domanda, essendo stato per tale ragione esclusa una situazione di possesso tutelabile . I Giudici avevano posto a fondamento della decisione alcune deposizioni che peraltro avevano riferito circostanze tali che non consentivano di ritenere raggiunta la prova di possesso esercitato liberamente prima dell’apposizione del cancello, mentre avevano considerato non utili le deposizioni dei testi che avevano specificato di non avere visto gli attori fruire del passaggio de quo. Neppure era stato motivato l’accertamento circa l’animus spoliandi.

1.2. – Il secondo motivo, lamentando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 1168 cod. civ. cod., deduce che gli attori non avevano assolto l’onere probatorio loro incombente.

1.3. – Il primo e secondo motivo – che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.

Le censure lamentate, in realtà, non denunciano un vizio logico della motivazione ma si concretano in argomentazioni volte a dimostrare – attraverso la disamina e la discussione delle prove raccolte – l’erroneo apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dai giudici laddove, in contrasto con quanto sarebbe emerso dalle prove, era stata ritenuta l’esistenza del possesso della servitù di passaggio. Al riguardo, va sottolineato che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione che non può esaminare e valutare gli atti processuali ai quali non ha accesso, ad eccezione che per gli errores in procedendo (solo in tal caso la Corte è anche giudice del fatto).

In particolare, in relazione al vizio di motivazione per omesso esame delle risultanze della consulenza o delle risultanze della prova il ricorrente ha l’onere, a pena di inammissibilità del motivo di censura, di riprodurre nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza del medesimo, i passi salenti della consulenza e le dichiarazioni rese dai testi in modo da consentire alla Corte, che non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito, di verificare la decisività della censura(Cass. 14973/2006; 12984/2006;

7610/2006; 10576/2003), tenuto conto che in proposito occorre dimostrare la certezza e non la probabilità che, ove esso fosse stato preso in considerazione, la decisione sarebbe stata diversa:

tale onere nella specie non è stato ottemperato dalla ricorrente.

La sentenza ha, con motivazione immune da vizi, accertato la "esistenza del possesso del passaggio esercitato dagli attori e l’apposizione del cancello con cui la ricorrente li aveva, essendo stato in proposito correttamente chiarito che l’animus spoliandi non è escluso dal convincimento dello spogliatore di agire iure, dovendo qui rilevarsi che in tema di giudizio possessorio, può legittimamente presumersi la sussistenza nell’agente dell’animus spoliandi in conseguenza del solo fatto di avere privato del godimento della cosa il possessore contro la sua volontà anche tacita, indipendentemente dalla convinzione del medesimo di operare secondo diritto.

2.1.- Il terzo motivo, lamentando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., censura la sentenza impugnata laddove, nel condannare la ricorrente alla restituzione delle spese processuali liquidate dal primo Giudice, aveva affermato che non era stata contestata la domanda restitutoria quando si era chiesto il rigetto di tutte le domande avversarie.

2.2.- Il motivo va disatteso.

Occorre ricordare che il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione ("petitum" e "causa petendi") e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto ("petitum" immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso ("petitum" mediato). Ne consegue che il vizio in questione si verifica quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato.

Nella specie non è configurabile la violazione denunciata ai sensi dell’art. 112 citato, atteso che, secondo quanto risulta dalle conclusioni dell’atto di appello, la domanda restitutoria era stata formulata e di conseguenza correttamente il Giudice di appello si è su di essa pronunciato. Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste a carico della ricorrente, risultata soccombente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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