Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-04-2012, n. 5338

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- C.B. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Cagliari Fi.Gi. per sentirlo condannare al rilascio dell’immobile di sua proprietà dal medesimo detenuto sine titulo oltre al risarcimento dei danni.

Si costituiva in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda; deduceva di essere proprietario dell’immobile de quo in forza di scrittura privata conclusa nel 1976 con l’attrice e il marito, B.S., scrittura poi andata smarrita a seguito di furto;

in via riconvenzionale, chiedeva una pronuncia di trasferimento del diritto e, in subordine, la condanna dell’attrice al pagamento delle indennità di miglioramento con diritto di ritenzione.

In data 31 ottobre 1994 era autorizzato il sequestro giudiziario dell’immobile di cui veniva nominato custode prima il convenuto poi il curatore del fallimento dello stesso convenuto.

Il B., chiamato in causa, si dichiarava estraneo alla lite.

Il 19 luglio 1997 spiegava intervento volontario in giudizio T. M., coniuge del convenuto, assumendo di avere acquistato per usucapione l’immobile de quo.

Con sentenza non definitiva del 5 giugno 2006 il Tribunale riteneva inammissibile la prova testimoniale articolata dal Fi. per dimostrare la perdita incolpevole della scrittura del 1976; la C. e la T. erano dichiarate comproprietarie per metà dell’immobile, avendo l’interventrice esercitato un possesso non esclusivo utile ad usucapire la quota di metà; era ordinato il rilascio del bene con diritto di ritenzione a favore del Fi. e della T. in relazione ai miglioramenti, per la cui determinazione era disposto il prosieguo del giudizio.

Interposti appello principale da parte dell’attrice e incidentale da parte di Fi.Gi. e degli eredi della T., con sentenza non definitiva dep. il 25 marzo 2010 la Corte di appello di Cagliari, in riforma della decisione impugnata, accoglieva la domanda di rilascio proposta dall’attrice, rigettando quella di accertamento della proprietà avanzata dalla T.; condannava Gi.

F. e gli eredi della T. al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede; disponeva il prosieguo del giudizio per l’accertamento dei diritti ai miglioramenti e alla ritenzione.

Secondo i Giudici, era inammissibile la prova testimoniale articolata dal Fi. per dimostrare la perdita incolpevole della scrittura del 1976 non ricorrendo i presupposti di cui all’art. 2724 c.c., n. 3 richiamato dall’art. 2525 cod. civ..

Per quel che concerneva poi la situazione di possesso, la relazione con la cosa, consegnata in forza del contratto preliminare a stregua di quanto dedotto dallo stesso convenuto, era iniziata a titolo di detenzione, per cui non poteva presumersi l’esistenza di un possesso idoneo all’usucapione.

In considerazione della mancanza di prova dell’atto scritto la materiale disponibilità del bene era priva di causa; in va presuntiva doveva ritenersi logicamente ragionevole che fra le parti vi fosse stato un accordo, in virtù del quale gli appellati aveva avuto la materiale disponibilità del bene, accordo il cui contenuto era però ignoto.

Non poteva, pertanto, riconoscersi a favore della T. l’acquisto della proprietà per usucapione, dovendo a questa estendersi le considerazioni formulate a proposito della detenzione del marito.

In ogni caso, il possesso non si sarebbe protratto ininterrottamente dal 1976 al 1997, posto che a seguito del sequestro giudiziario autorizzato nel 1994 e la nomina del custode, lo stesso sarebbe stato interrotto.

La sentenza riteneva che, in relazione alla domanda di indennità per miglioramenti e addizioni, da un lato, non poteva escludersi che la detenzione si fosse trasformata in possesso e che tale indagine andava compiuta anche all’esito della prova articolata dall’appellante per dimostrare che l’immobile era stato completato a sue cura e spese: peraltro, i Giudici precisavano che l’interversione della detenzione in possesso non avrebbe potuto avere influenza sull’usucapione per la mancata durata ventennale del possesso ma avrebbe avuto rilevanza ai fini dei presupposti voluti dall’art. 1150 cod. civ. che riconosce le indennità per addizioni e miglioramenti a favore del possessore e non del detentore.

2.- Avverso tale decisione propongono separati ricorsi per cassazione F. e F.G., quali eredi di T.M., sulla base di sette motivi illustrati da memoria e Gi.

F. in base a cinque motivi.

Resistono con separati controricorsi la C. e il B..

Motivi della decisione

Preliminarmente va dichiarato inammissibile il controricorso proposto dal B. il quale non ha interesse nel presente giudizio, essendo stato il rapporto processuale intercorso con il medesimo già definito con la con la sentenza non definitiva di primo grado che ne dichiarava la carenza di interesse e compensava le spese.

A) Ricorso proposto da F. e F.G., quali eredi di T.M..

1.1. – Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324 c.p.c., dell’art. 132 c.p.c., n. 2 e dell’art. 2909 cod. civ., censura la decisione gravata che aveva condannato la T. e i sui eredi al rilascio dell’immobile quando – non essendo stato proposto appello sulla statuizione della decisione di primo grado che aveva dichiarato la comproprietà per usucapione a favore di essa T. – tale capo della sentenza del Tribunale era passato in cosa giudicata.

La sentenza era affetta da nullità per mancata trascrizione delle conclusioni, essendo da ciò derivati i vizi di cui sopra.

1.2. – Il secondo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324 cod. proc. civ. e dell’art. 2909 cod. civ., deduce che per le medesime considerazioni sopra formulate era passata in cosa giudicata la statuizione del tribunale concernente l’affermato diritto di ritenzione a favore della T. e a ottenerne il rilascio in suo favore.

2.2. – Il primo e il secondo motivo – che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.

Alla stregua dell’esame degli atti (consentito dalla natura processuale del vizio lamentato) è risultato – in base al complessivo contenuto dell’atto di appello – che l’attrice aveva specificamente censurato la sentenza di primo grado laddove aveva ritenuto l’acquisto da parte della T. della comproprietà criticando la esistenza della condizioni per il maturarsi del possesso a favore dell’interventrice; quindi, in sede di conclusioni, aveva chiesto il rigetto delle domande tutte proposte dal Fi. e dalla T..

Pertanto, deve escludersi che, in relazione alle statuizioni richiamate dai ricorrenti, si fosse formata la cosa giudicata e, non essendo emersi i vizi denunciati, la mancata trascrizione nella sentenza impugnata delle conclusioni integra una mera irregolarità priva di alcuna rilevanza, non avendo inciso sulla correttezza della decisione.

3.1.- Il terzo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 3 e degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., dell’art. 2697 c.c., dell’art. 2724 c.c., n. 3 e dell’art. 2725 cod. civ., censura la sentenza che, in relazione alla domanda di acquisto della proprietà per effetto di alienazione, aveva omesso di pronunciarsi sull’appello incidentale proposto dalla T. essendosi limitata a esaminare e a rigettare solo quello del Fi..

I Giudici quindi, nel ritenere inammissibile la prova testimoniale articolata, contraddittoriamente – dopo avere ritenuto la mancanza della diligenza necessaria nel lasciare la scrittura privata de qua nella casa di vacanza – aveva poi affermato che non era dimostrata la circostanza che il documento si trovasse nel luogo in cui era avvenuto il furto: quest’ultima circostanza era comunque risultata provata in base a quanto affermato dal Tribunale, dalla sentenza penale del Pretore di Carbonia e non contestato da controparte; in ogni caso, nel caso di dubbio sarebbe dovuta ammettersi la relativa prova.

Rilevato che mancava un parte della motivazione (non trascritta) i ricorrenti censurano la motivazione con la quale era stato ritenuta non diligente la custodia del documento, quando l’art. 2724 n. 3 cit. richiede solo la mancanza di colpa ossia la diligenza del buon padre di famiglia che le modalità del furto, avvenuto in edificio custodito, avevano confermato.

3.2. – Il motivo è infondato. a) Le considerazioni formulate a proposito della posizione del Fi. ovvero la mancanza delle condizioni dal medesimo invocate per l’acquisto dell’immobile valevano necessariamente e logicamente anche per la T. la quale con la domanda di intervento, in via subordinata (al mancato riconoscimento dell’usucapione) aveva invocato quale coniuge in regime di comunione dei beni l’acquisto della proprietà del bene per effetto dell’avvenuto trasferimento in favore del marito acquirente. b) Premesso che le frasi della motivazione mancanti non sono tali da inficiare la comprensione del ragionamento dei Giudici, la prova testimoniale richiesta per dimostrare l’esistenza e il contenuto della scrittura privata invocata dal Fi. non è stata ammessa sulla base di una duplice motivazione, avendo i Giudici ritenuto in primo luogo che non era stata fornita la dimostrazione della presenza del documento nel luogo in cui era avvenuto il furto e che comunque lo stesso non era stato custodito con la diligenza richiesta.

In relazione alla prima argomentazione – che è di per sè in grado di sorreggere la relativa statuizione ed è evidentemente assorbente delle considerazioni formulate sull’onere di diligenza nella custodia del documento che, pertanto, vanno considerate come formulate ad abundantiam e, perciò, sono prive di valore decisorio – la motivazione si sottrae alle censure al riguardo formulate dai ricorrenti, tenuto conto che i Giudici hanno tenuto conto e correttamente sottolineato le contraddittorie dichiarazioni rese dallo stesso attore il quale in un primo momento aveva sostenuto che il documento si trovasse nella propria abitazione sita in (OMISSIS) e che successivamente aveva sostenuto che lo stesso si sarebbe verificato proprio nel luogo in cui si era verificato il furto.

4.1.- Il quarto motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1141, 1362 e 1363 cod. civ. nonchè dell’art. 360 c.p.c., n. 5, censura la sentenza laddove aveva qualificato il rapporto con la cosa instaurato dagli appellati come detenzione e non come possesso sulla base di un erroneo presupposto ovvero che la scrittura de qua fosse un contratto preliminare e non un contratto definitivo, immediatamente traslativo della proprietà, come invece era emerso in base a quanto allegato e prodotto dal convenuto, il quale aveva sempre chiesto l’accertamento dell’avvenuto passaggio della proprietà: il che aveva trovato obiettivo riscontro nella bozza dell’atto prodotta in atti e confermata dal teste N. che l’aveva predisposta.

I Giudici, pur affermando che non era stata offerta alcuna prova della scrittura de qua, avevano erroneamente escluso la presunzione di possesso sulla base di un contratto preliminare del quale non era stata acquisita la prova; pur avendo ritenuto che la relazione con la cosa era iniziata a titolo di detenzione avevano poi affermato che la disponibilità del bene era priva di causa; ne tali contraddizioni erano chiarite o risolte con il riferimento alla esistenza di un presumibile accordo. D’altra parte, la consegna anticipata del bene oggetto di un contratto preliminare ne attribuisce il possesso e non la detenzione.

4.2.- Il motivo va disatteso.

La circostanza che il convenuto avesse allegato di essere stato immesso nel possesso in base a un contratto preliminare ovvero avesse sostenuto di averne acquistato il possesso in virtù del trasferimento della proprietà deve considerarsi irrilevante al fine di stabilire se nella specie la relazione della cosa sia iniziata come possesso o come detenzione. Ed invero è pacifico che non è stato possibile provare l’esistenza e il contenuto della scrittura de qua, in base alla quale il convenuto sostiene di avere iniziato a intrattenere la relazione con il bene: quel che rileva è che il predetto – in base alle sue stesse dichiarazioni – ha comunque ammesso di avere ricevuto la consegna del bene dall’attrice e quindi è da escludere che egli abbia appreso il bene in contrasto con la volontà del possessore, atteso che in tema di possesso la presunzione stabilita dall’art. 1141 cod. civ. a favore di colui che esercita un potere di fatto sulla cosa non opera quando la relazione con il bene non consegua ad un atto volontario d’apprensione, ma derivi da un iniziale atto o fatto del proprietario-possessore. In tal caso, per la trasformazione della detenzione in possesso occorre un mutamento del titolo che non può aver luogo mediante un mero atto di volizione interna, ma deve risultare dal compimento di idonee attività materiali di specifica opposizione al proprietario- possessore(Cass. 551/2005;14953/2011). La sentenza ha correttamente ritenuto che la relazione della cosa era iniziata a titolo di detenzione, essendo il bene stato consegnato dalla proprietaria, e dunque non poteva operare la presunzione di possesso di cui all’art. 1141 cod. civ.: di qui la necessità dell’interversione del possesso (di cui peraltro si dirà più diffusamente in occasione dell’esame del quinto motivo).

5.1.- Il quinto motivo, lamentando violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in primo luogo ripropone le censure sollevate con l’appello incidentale laddove era stato riconosciuta la comproprietà anzichè la proprietà esclusiva a favore della T.; quindi, censura la decisione laddove in modo apodittico aveva ritenuto l’estensione nei confronti della T. degli effetti interruttivi dell’usucapione conseguenti al sequestro giudiziario, quando la medesima non aveva avuto alcuna notificazione del provvedimento cautelare e aveva continuato a godere del bene atteso che custode giudiziario era stato nominato originariamente il marito.

5.2.- Il motivo va accolto per quanto di ragione.

Occorre premettere che il sequestro venne autorizzato nel corso del giudizio – con ordinanza del 31 ottobre 1994 – prima che la T. avesse spiegato intervento volontario (19-7-1997), formulando la domanda di acquisto per usucapione: la sentenza, nell’escludere comunque il decorso del periodo utile all’usucapione, ha ritenuto che l’autorizzazione del sequestro costituiva atto idoneo a interrompere il possesso del bene durante l’arco temporale 1976-1997. In proposito, i Giudici hanno affermato che l’interruzione si era verificata nei confronti di Fi.Gi. e quindi anche di T.M..

Tale affermazione è del tutto immotivata, perchè non spiega le ragioni in base alle quali l’effetto interruttivo nei confronti di Fi.Gi. si sarebbe esteso nei confronti della T. che non era parte del giudizio nel momento in cui venne emesso il sequestro nè risulta che sia stata alla medesima notificato il provvedimento cautelare; neppure è risultata la effettiva e consapevole privazione del possesso conseguente all’esercizio dei poteri dominicali esercitati nei suoi confronti dalla proprietaria, dovendo qui ricordarsi che custode giudiziario era stato nominato il marito della T., Fi.Gi., eh era rimasto nel godimento del bene. Al riguardo, va considerato che gli atti interruttivi dell’usucapione eseguiti nei confronti di uno dei compossessori non hanno effetto interruttivo nei confronti degli altri, in quanto il principio di cui all’art. 1310 cod. civ., secondo cui gli atti interruttivi contro uno dei debitori in solido interrompono la prescrizione contro il comune creditore con effetto verso gli altri debitori, trova applicazione in materia di diritti di obbligazione e non di diritti reali, per i quali non sussiste vincolo di solidarietà, dovendosi, invece, fare riferimento ai singoli comportamenti dei compossessori, che giovano o pregiudicano solo coloro che li hanno (o nei cui confronti sono stati) posti in essere (Cass. 6942/199; 6668/1982).

Occorre sottolineare che l’accertamento circa l’esistenza o meno dell’effetto interruttivo dell’usucapione nei confronti della T. (e dei suoi eredi) assume evidentemente rilevanza al fine di stabilire il decorso del termine utile ad usucapionem, posto che – seppure i Giudici hanno ritenuto che la relazione con la cosa era iniziata a titolo di detenzione – hanno pure affermato che non era da escludere che la stessa si fosse poi trasformata in possesso, riservando al prosieguo del giudizio tale verifica attraverso la complessiva valutazione del materiale anche all’esito della prova articolata dalla controparte per dimostrare di avere esse stessa completato l’opera a sue spese. Peraltro, la sentenza ha ritenuto che siffatta indagine avrebbe potuto avere rilevanza al limitato fine del riconoscimento dell’indennità per i miglioramenti, e ciò sulla premessa del mancato decorso del termine ventennale proprio in considerazione dell’avvenuta interruzione del possesso (nel periodo 1976-1997) conseguente al sequestro: essendosi quest’ultima affermazione rivelatasi erronea (perchè, per quel che si è detto prima, immotivata) deve ritenersi che – ove non sia in concreto accertato il presupposto della mancata decorrenza del periodo necessario ad usucapire ovvero l’effetto interruttivo del sequestro nei confronti della T. – i Giudici di rinvio dovranno anche verificare se l’interversione del possesso si sia verificata in un momento utile per il maturare – al momento dell’intervento spiegato in giudizio (19-7-1997) del periodo di venti anni necessario per l’usucapione da parte della T..

Per quanto concerne le censure formulate con l’appello incidentale, le stesse andranno prese in esame dal giudice di rinvio nell’eventualità che sia riconosciuto a favore della T. l’invocata usucapione.

6.1.- Il sesto motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1150, 1152 e 1147 cod. civ., dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deduce che la Corte di appello in modo immotivato aveva escluso il diritto di ritenzione ed erroneamente ritenuto inapplicabile l’art. 1150 cod. civ., dovendo presumersi il possesso ex artt. 1141 e 1147 cod. civ. La Corte aveva ritenuto che non era stato accertato il fatto costitutivo della pretesa relativa alle addizioni e ai miglioramenti, che erano stati riconosciuti dal Tribunale alla stregua delle risultanze probatorie già acquisite.

6.2.- Il motivo è infondato.

La sentenza, per quel che si è detto, ha ritenuto che la relazione con la cosa era iniziata a titolo di detenzione, per cui ha necessariamente escluso che potesse operare la presunzione di possesso sancita dall’art. 1147 cod. civ. e quindi il diritto di ritenzione di cui all’art. 1150 cod. civ. Ha quindi ritenuto necessario ammettere la prova articolata dall’appellante, avendo ritenuto che dalle risultanze istruttorie acquisite non era emersa la prova certa della realizzazione delle addizioni e dei miglioramenti in epoca successiva al momento in cui gli appellati avevano avuto la disponibilità del bene. Sotto quest’ultimo profilo, la doglianza si risolve nella censura della valutazione compiuta dai Giudici di appello circa la valenza probatoria delle risultanze processuali in merito alla effettiva esistenza delle addizioni e dei miglioramenti: trattasi di un accertamento di fatto riservato all’indagine del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità se non per il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, e che deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione che non può esaminare e valutare gli atti processuali ai quali non ha accesso, ad eccezione che per gli errores in procedendo (solo in tal caso la Corte è anche giudice del fatto).

7.1. Il settimo motivo (violazione ex art. 112 cod. proc. civ.) censura la sentenza impugnata laddove aveva condannato la T. al risarcimento dei danni senza che nei suoi confronti fosse stata proposta domanda; in ogni caso, censura la motivazione con la quale era stata ritenuta illecita la condotta di Fi.Gi. e della T. che avevano avuto la consegna del bene da parte dei proprietari.

7.2.- Il motivo è fondato nei limiti di quanto si dirà.

Dall’esame delle conclusioni rassegnate dall’attrice risulta che la domanda di risarcimento dei danni non vene formulata anche nei confronti della T., per cui deve ritenersi illegittima e va cassata la statuizione di condanna emessa nei suoi confronti: tale considerazione è, per quanto concerne la posizione della T., assorbente delle censure sulla non illiceità della condotta posta in essere dal Fi. e dalla T., atteso che gli attuali ricorrenti – che agiscono quali eredi della seconda – non hanno interesse a fare valere le relative doglianze (nè sono legittimati a dedurle nell’interesse di Fi.Gi.).

B) Ricorso di Fi.Gi..

1.1.- Il primo motivo propone le doglianze e la argomentazioni formulate con il terzo motivo del ricorso proposto da F. e F.G. in merito all’ammissibilità della prova testimoniale articolata per provare l’esistenza e il contenuto della scrittura intercorsa fra le parti nel 1976. 1.2.- Il motivo va disatteso, dovendosi in proposito ribadire quanto si è detto in occasione dell’esame del terzo motivo del ricorso proposto da F. e F.G..

2.1.- Il secondo motivo censura la sentenza laddove aveva qualificato come detenzione anzichè possesso la relazione con il bene de quo, riproponendo in sostanza le medesime censure sollevate con il quarto motivo del ricorso proposto da F. e F.G..

2.2.- Il motivo va disatteso, dovendosi in proposito ribadire quanto si è detto in occasione dell’esame del quarto motivo del ricorso proposto da F. e F.G..

3.1. – Il terzo motivo, dopo avere rilevato che l’attuale ricorrente aveva chiesto l’accoglimento della domanda di acquisto per usucapione avanzata dalla T. che doveva essere considerata possessore e non detentore per le medesime ragioni formulate con il motivo precedente, censura la sentenza laddove aveva ritenuto che l’autorizzazione del sequestro avesse comportato l’interruzione del possesso utile ad usucapire anche nei confronti della T.; ripropone in proposito le medesime censure sollevate con il quinto motivo del ricorso proposto da F. e F.G..

3.2.- Il motivo va accolto per quanto di ragione, dovendosi al riguardo ribadire quanto si è detto in occasione dell’esame del quinto motivo del ricorso proposto da F. e G. F. a proposito e limitatamente all’errore in cui sono incorsi i Giudici circa l’estensione dell’effetto interruttivo del sequestro nei confronti della T..

4.1.- Il quarto motivo propone le doglianze e la argomentazioni formulate con il sesto motivo del ricorso proposto da F. e F.G. circa il diritto di ritenzione, le indennità per i miglioramenti e le addizioni.

4.2.- Il motivo va disatteso, dovendosi in proposito ribadire quanto si è detto in occasione dell’esame del sesto motivo del ricorso proposto da F. e F.G..

5.1.- Il quinto motivo censura la sentenza impugnata laddove aveva condannato i coniugi F. al risarcimento dei danni, quando la disponibilità dell’immobile era conseguita alla consegna delle chiavi da parte della C. sicchè perfettamente lecita era stata l’immissione in possesso dell’immobile; d’altra parte, non era dato comprendere dall’insufficiente motivazione quale sarebbe stato il comportamento illecito posto in essere.

5.2. Il motivo è infondato.

Occorre premettere che la sentenza ha accolto la domanda di condanna generica al risarcimento dei danni (e di rilascio) proposta con l’atto di citazione notificato il 20 novembre 1992 nei confronti di Fi.Gi., avendo accertato che questi non aveva alcun titolo a detenere l’immobile de quo. In sostanza, i Giudici hanno correttamente fondato la decisione sulla circostanza che la disponibilità del bene era priva di alcuna causa giustificatrice:

seppure potesse ritenersi che il bene fosse stato consegnato dalla proprietaria, poi la detenzione, protrattasi nel tempo e senza che fosse risultato che essa fosse stata consentita o autorizzata, comportava una condotta illecita da parte del Fi. e dunque il risarcimento dei danni maturati che erano stati chiesti per il periodo in cui l’attrice era comunque la proprietaria dell’immobile ed era legittimata a pretenderli da colui che deteneva l’immobile sine titulo, posto che l’eventuale usucapione in astratto configurabile (per effetto e al compimento del periodo ininterrotto di possesso ventennale) sarebbe comunque potuta maturare – peraltro in favore della T. che aveva formulato la relativa domanda – a decorrere da un momento (non prima del 1996, essendo stata indicato dal Fi. e dalla T. nel 1976 la data di inizio dell’invocato possesso), certamente successivo a quello in cui era stata proposta la domanda di rilascio e di danni nei confronti del predetto Fi..

La sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Cagliari.

P.Q.M.

Accoglie il quinto e il settimo motivo del ricorso proposto da F.F. e F.G. nei limiti di quanto in motivazione rigetta gli altri; accoglie il terzo motivo del ricorso proposto da F.G. nei limiti di quanto in motivazione rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivi accolti e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Cagliari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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