Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ordinanza del 14/04/2006, il Tribunale di Catania respingeva l’appello proposto, nell’interesse di B.S., avverso il provvedimento emesso dal GIP di Catania, in data 28/03/2006, con cui era stata disposta a carico dell’imputato la misura cautelare della custodia in carcere. Il B.S. era stato sottoposto a detta misura, perchè ritenuto gravemente indiziato del delitto di maltrattamenti in danno della propria madre B.M.G.. Gli elementi a carico dell’imputato erano rappresentati dagli esiti dell’attività investigativa svolta dai Carabinieri di ? in seguito alle denunce presentate da B.M.G.. Sulla base della ricostruzione dei fatti erano stati ritenuti presenti gravi indizi di colpevolezza nei confronti del B.S. per tutti i delitti a lui ascritti. Dalle dichiarazioni della madre dell’imputato emergeva un quadro familiare caratterizzato da intimidazione e sopraffazione, che culminava con pressioni verbali e fisiche del B.S. nei confronti della madre, costretta a fare ricorso a cure mediche per le lesioni subite. L’incapacità totale o parziale dell’imputato paventata dalla difesa non appariva decisiva al fine di ritenere sussistente un’infermità psichica al momento della commissione dei fatti in contestazione. La persistente pericolosità sociale del reo faceva ritenere inadeguata qualsiasi misura cautelare diversa dalla custodia in carcere. Il Tribunale di Catania, quindi, confermava la custodia cautelare in carcere.
Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione, il 24/04/2006, il difensore di fiducia di B.S., avv. C? V?. Come motivo del ricorso deduceva la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e lett. e) in relazione agli artt. 199, 273, 274, 275 e 286 c.p.p..
Per la difesa erano importanti le condizioni socio-psicologiche della famiglia, vissuta ai margini della società nonché composta da soggetti con semi-infermità mentali o ridotte capacità intellettive. In questa situazione familiare andava ad inquadrarsi la condizione dell’imputato B.S., soggetto seminfermo di mente e pertanto non imputabile.
La sussistenza degli indizi di colpevolezza si basava solo sulle dichiarazione della parte offesa, dei nipoti della stessa e dell’assistente sociale. Per la difesa l’evidenza dei referti medici sarebbe stata in contrasto con la verità denunciata nelle querele e evidenziava come ai sensi dell’art. 199 c.p.p., comma 2, le testimonianze della madre e dei nipoti dell’imputato erano da ritenersi nulle, in quanto questi non erano stati messi a conoscenza della facoltà di astensione di cui all’art. 199 c.p.p., comma 1.
Per il ricorrente l’unica dichiarazione valida sarebbe stata quella dell’assistente sociale, la quale tuttavia aveva dichiarato di essersi occupata della situazione della famiglia B. nel suo complesso e di non aver mai riscontrato episodi di violenza.
Aggiungeva la difesa che, ai sensi dell’art. 273 c.p.p., comma 2, la misura cautelare era preclusa in presenza di cause di non punibilità. L’imputato B.S. era stato riconosciuto affetto da vizio parziale di mente accertato da perizia giudiziale, che aveva dimostrato che il B.S. soffriva di disturbi psicotici che rasentavano la schizofrenia in modo permanente.
Continuava la difesa affermando che queste circostanze erano state minimizzate dal GIP e che i vari episodi di violenza con cui si argomentava la capacità a delinquere e la pericolosità sociale erano, in concreto, costituiti da precedenti episodi che rientravano in un’unica condotta criminosa.
Aggiungeva che ai sensi dell’art. 286 c.p.p. la misura più idonea, viste la condizione di seminfermità mentale, sarebbe stata il ricovero in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero.
Chiedeva pertanto l’annullamento della ordinanza impugnata.
Questa Corte osserva come l’ordinanza impugnata non sia caduta in violazioni di legge o in carenze motivazionali tali da giustificare l’invocato annullamento del provvedimento medesimo. Al contrario, i giudici di Catania hanno saldamente motivato le proprie scelte, ed in particolare le ragioni per le quali ritenevano di escludere il vizio parziale di mente, utilizzando argomenti coerenti e puntuali che vanno esenti da vizi rilevante in sede di legittimità. Parimenti corretta risulta essere l’applicazione che i medesimi giudici hanno dato delle norme di legge invocate dalla difesa ricorrente, ed in particolare dell’art. 286 c.p.p.. Tale norma infatti, nel prevedere il ricovero in un’idonea struttura per servizio psichiatrico ospedaliero, in luogo della custodia cautelare in carcere, prevede che all’atto dell’applicazione della misura, la persona che deve esservi sottoposta si trovi in stato di infermità di mente che ne escluda o ne diminuisca grandemente la capacità di intendere e volere. Non sono emersi elementi che comprovino che una tale situazione sia in atto per il B.S., il quale piuttosto è risultato autore di episodi di violenza ai danni della madre nelle occasioni, peraltro ricorrenti, in cui abusa dell’alcol o quando scientemente intende "vendicarsi" sulla madre per le denunce da questa presentate.
Con giudizio espresso in termini logici e puntuali il Tribunale di Catania ha escluso che in capo all’indagato potesse sussistere un’infermità psichica al momento dei fatti in contestazione. Con un’analisi attenta alle richieste della difesa e condotta in linea con le indicazioni della giurisprudenza di questa Corte, opportunamente richiamata, i giudici di Catania hanno escluso che ricorresse la condizione di non punibilità di cui all’art. 273 c.p.p., comma 2.
Del tutto infondato è poi il rilievo della nullità delle dichiarazioni rese dalla madre e dai nipoti della stessa per non essere stati questi messi a conoscenza della facoltà di astensione di cui all’art. 199 c.p.p., comma 1. La medesima norma infatti stabilisce un obbligo dei prossimi congiunti a deporre quando gli stessi abbiano presentato denuncia o allorché un loro prossimo congiunto sia offeso dal reato.
Può ancora osservarsi che non è possibile ottenere da questa Corte una diversa valutazione degli elementi di prova sui quali già compiutamente e coerentemente si sono espressi i giudici della cautela. Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello della "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice del merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U. 30/04-2/07/97 n. 6402, ric. Dessimone e altri).
L’art. 606 c.p.p. non consente una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perchè è estraneo al giudizio di legittimità il controllo della correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Cass. Sez. 5^, 15/04-13/05/2004 n. 22771).
Le censure formulate dal ricorrente appaiono quindi infondate. Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento; inoltre, poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 Disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal citato art. 94, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma all’art. 94 Disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
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